5 dicembre – 17 dicembre
orario 10-15
teatroinscatola roma
I
LABORATORIO TEATRALE “ROMEO E GIULIETTA” DIRETTO DA GIUSEPPE MARINI
l laboratorio è rivolto ad attori e si richiede un CV
(con selezione dei partecipanti da parte di Giuseppe Marini) da inviare a:
info@teatroinscatola.it
Maggiori informazioni
“La favola è stata la mia prima suggestione nell’accostarmi a quest’opera di Shakespeare, la più “giovanile” delle sue tragedie ma indubbiamente la più popolare, amata e depositata nella memoria collettiva al punto da diventare mito (e da sempre non è cosa semplice trattare coi miti… si possono riscrivere o se ne può accettare la tirannia del “già visto” o “già detto”, si possono rivestire di forme contemporanee o lasciarli parlare da soli, senza pre-testi o ammodernamenti, confidando piuttosto sul loro potere di irradiazione di senso).
Una favola d’Amore e Morte amara, ambigua, visionaria, crudelissima, ma non priva di ironia, offre a Shakespeare lo spunto per una meditazione profonda sul Linguaggio e sulle fatali conseguenze dell’affidamento di un raffinato strumento linguistico a personalità troppo acerbe, non in grado di coglierne la potenziale pericolosità.
Romeo e Giulietta è la tragedia di due adolescenti intrappolati nel Libro che adeguano il loro sentimento alla parola, piuttosto che il contrario, e che si inoltrano e inciampano nelle zone più estreme del discorso amoroso, quelle in cui il desiderio dell’altro convive con un morboso corteggiamento della Morte che, una volta evocata, non si lascerà più risospingere ai margini del racconto.
Con la consueta e sottilissima strategia decostruttiva, Shakespeare mette in scena la più alta e suprema celebrazione del “vero amore” e allo stesso tempo, attraverso una fitta rete indiziaria di rimandi e allusioni, ne rivela il carattere illusorio, mitopoietico e, in ultima analisi, codificato.
Quando in quest’opera si parla di Amore, affiorano immagini molto concrete: libro, lettura, rima, memorizzazione e recitazione che insieme lavorano a un’immagine sorprendentemente sovversiva: amare vuol forse dire leggere libri, memorizzarne il contenuto e enunciarlo quando se ne dà occasione opportuna? Pertanto l’amore potrebbe non essere affatto quel mistero che sorge in maniera autonoma dall’incontro di due anime (tanto caro alla tradizione romantica), quanto una coincidenza culturale, un comportamento altamente convenzionale, un linguaggio, un codice. Ed è proprio in quel codice linguistico – frainteso – che inciampano rovinosamente i due adolescenti di Verona (già predisposti e programmati per l’amore prima ancora di incontrarsi, di innamorarsi, di conoscersi) cresciuti e addestrati a quel misterioso Libro dell’Amore dove è scritto che la prova massima della sua autenticità e perfezione risiede nel fatale abbraccio con la Morte.
Ovviamente il genio di Shakespeare provvede a tenere questo “secondo” discorso in filigrana e tra le righe del suo romance (altrimenti l’opera non sarebbe diventata così popolare) e a far coesistere in palcoscenico differenti discorsività, secondo l’irrinunciabile tecnica metadrammatica e autoriflessiva di tutta la sua drammaturgia.
Credo che a questo punto siano chiare le intenzioni, i moventi e le possibili ulteriorità che la mia messinscena può apportare al mito, senza inoltrarmi troppo a spiegare il perché di alcune scelte. Posso dire che l‘aspetto visivo dello spettacolo ha un chiaro riferimento alla cinematografia burtoniana… soprattutto nei costumi, che inseguono non filologicamente un vago e favolistico Ottocento vittoriano a cui fa da sfondo e contenitore una scena tutta nero e oro, metafora di una città-cripta, dotata di un secondo livello… un più piccolo palcoscenico tutto per sé, o luogo della meraviglia e dell’incanto o, ancora, lirico (o macabro) teatrino dell’Amore da dove i tragici protagonisti potranno “recitare” a se stessi e per se stessi quel copione di cui credono di essere gli autori.”
Giuseppe Marini