ROMA - WORKSHOP DI RECITAZIONE DIRETTO DALLA REGISTA LISA FERLAZZO NATOLI

ROMA - WORKSHOP DI RECITAZIONE DIRETTO DALLA REGISTA LISA FERLAZZO NATOLI

L'Associazione culturale Monkey Mood organizzerà un workshop di recitazione indirizzato ad attori professionisti e diretto dall'autrice e regista Lisa Ferlazzo Natoli nel week end del 15/16/17 aprile p.v. dalle ore 11:00 alle ore 18:00 sul testo "Hamelin" di Juan Mayorga.

La sede del lavoro sarà Roma - zona Tiburtina.

Il workshop è a numero chiuso.

Per info e prenotazioni: monkeymood.produzione@gmail.com
+39 3333646349 - +39 3477920756

Evento Facebook https://www.facebook.com/events/1729663153912862/
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Struttura del workshop

Il workshop sarà diviso in una prima parte di ‘training’ fisico e vocale. Non esattamente un ‘riscaldamento’ ma piuttosto un’anticamera al testo tutta particolare, per mettere in posizione corpo, voce e immaginazione, verso Hamelin.

La seconda parte sarà dedicata al lavoro sul testo con una serie di tre Esercizi inglesi per appropriarsi del testo con improvvisazioni ‘scontornate’ dalla struttura delle scene, per riscoprire istintivamente tempi, le posture, i silenzi, i dubbi, i cattivi umori, il crescendo, il pianissimo, il non detto, i malintesi e tutte le altre variabili di quell’interazione tra testo e attori, tra attori e attori che troppo spesso scompare dalla scena.

Nella terza parte si tornerà all’analisi del testo e a quel magnifico lavoro che è il ‘tavolino’, per riportarlo poi sul palco in un andare e venire senza posa che faccia fuori il concetto di battuta e quello stare in scena come se improvvisamente fosse svanita ogni leggerezza.

E poi ci sono i dettagli, perché come dice Warburg ‘è lì che si nasconde Dio’, e vanno curati e inseguiti quando sembrano sul punto di svanire. E aspettare. Aspettare che qualcosa che somigli a Dio, qualcosa che si chiama vita, faccia capolino.

Hamelin verrà inviato in anticipo ai partecipanti, assieme a una versione della favola de Il Pifferaio magico. E’ consigliabile leggere Hamelin il più possibile per appropriarsi della struttura e del linguaggio, per scegliere eventualmente un personaggio. Per intercettarne gli indizi e i colori, l’atmosfera e il meccanismo narrativo.

Note al lavoro

Hamelin - testo di Juan Mayorga autore spagnolo ancora poco noto da noi –riflessione sul gracile confine che divide innocenza e colpevolezza, giustizia e giustizialismo, senso comune e opinione pubblica, è in effetti un’opera sul linguaggio, sul ruolo del linguaggio nel processo d’interpretazione dei fatti e di ricerca della verità; e di conseguenza sul potere della parola nel processo immaginativo dello spettatore. Hamelin riscrivendo Il Pifferaio magico racconta di una comunità che non sa prendersi cura dei propri figli, siano essi figli naturali o un’intera generazione a venire. E racconta di un ritorno alla parola così radicale da suggerire che la ‘rappresentazione’ avvenga nello spettatore - non più, non tanto - tra la scena e quest’ultimo.
Grazie alla sua singolare natura, e alla bellezza della fiaba, Hamelin servirà per indagare i dispositivi teatrali che certe scritture mettono in campo, così da restituire all’attore un “parolare” - dicendolo con Pessoa - e una forma che gli facciano ripensare, verificare o ri-costruire il ’motivo’ - inteso come desiderio, opinione, ragione e cadenza – del proprio ‘mettersi’ in scena.
Perché Mayorga – come alcuni altri in giro per il mondo, ma non poi molti - costruisce una drammaturgia che costringe a rivedere abitudini, immaginazioni e contesti noti, fino alla stessa costruzione dei personaggi.
Infatti Hamelin mette in campo un dispositivo linguistico e teatrale molto particolare che continua a giocare con una falsa traccia naturalistica ma che, anche partendo dalla più semplice delle situazioni narrative, via via rivela altro, grazie a una lingua, una postura e un accadimento fatto d’improvvise derive, intromissioni, escamotage, falsificazioni della stessa storia, dei fatti e dei temi che la fiaba apparentemente racconta.
Un’amica mi ha detto: “In giro c’è un gran bisogno di parola. Parola che racconti l’’essere’ di adesso, che non somiglia più – non del tutto – al Novecento. E’ che sembra diventato così difficile far parlare l’attore con il pubblico e che questo lo ascolti, o farlo parlare con un altro attore e che questo lo ascolti”. E’ come se il teatro dovesse allora ricominciare, da capo, una grande conversazione tra testi, spettacoli, attori e pubblico, anche solo per imparare di nuovo a raccontare una storia o ciò che ne resta in questo nostro terzo millennio.

Scrive Mayorga nella nota introduttiva: “Il pifferaio di Hamelin per me è sempre stata una fiaba ‘di paura’. Una fiaba nella quale una città riceve il peggiore dei castighi. Sì, sì lo so che ce n’è una versione meno spaventosa: per dare una lezione all’avaro sindaco, il musicista si porta via i bambini; il buon popolo si ribella all’ingrato, che paga ciò che aveva promesso; i bambini ritornano e Hamelin torna a sorridere. Anche io ho sentito molte volte questa versione, senza mai riuscire a crederci fino in fondo. Fino a quando qualcuno mi raccontò la fiaba in un altro modo: tutti gli abitanti di Hamelin condividono la colpa e quando desiderano redimersi è troppo tardi: gli innocenti non tornano più. La versione inclemente della fiaba è più verosimile e somiglia di più al mondo nel quale viviamo. Nel nostro mondo i bambini sono i primi a pagare. Pagano i vizi dei grandi, la violenza dei grandi, la cattiva politica dei grandi, le bugie dei grandi. In questo senso, l’Hamelin che non sa proteggere i suoi bambini è come tante città del nostro mondo. Decisi di raccontar la fiaba di una di queste città. Tuttavia, quando all’inizio cominciai a pensarci, alle diverse ambientazioni, ai suoi svariati personaggi, mi vennero dei dubbi: “Questo è cinema”, mi dissi. “Questo non può essere teatro”. […] Abbiamo abbandonato tante trincee, tante posizioni, che il teatro si è ridotto a sembrarci inadeguato a rappresentare se non una piccola parte dell’esperienza umana. Davanti all’affermazione “Questo non può essere teatro”, bisogna opporre – nella pratica scenica – l’affermazione che il teatro può rappresentare tutto. L’origine del teatro, la sua forza maggiore, è nell’immaginazione dello spettatore. Se fa dello spettatore il suo complice, il teatro è insuperabile come mezzo di rappresentazione del mondo. Solo con le parole, e con la complicità dei loro spettatori, Sofocle, Shakespeare o Calderon potevano trasformare il piccolo palcoscenico in una città invasa dalla peste, in un mare tempestoso o in un castello polacco. Usavano le parole come quei narratori capaci di materializzare in aria una scarpetta di cristallo o un bosco. Come le usano i bambini, che solo nominandoli, possono trasportare qui e ora qualsiasi luogo e qualsiasi tempo. Mio padre mi raccontò che andava in una scuola tanto povera che doveva portarsi la sedia da casa. Hamelin è un’opera teatrale tanto povera che ha bisogno che lo spettatore metta, con la propria immaginazione, la scenografia, i costumi e molte altre cose. In cambio, gli offre la possibilità di entrare in una fiaba, dal “C’era una volta” fino al “E vissero tutti felici e contenti”. La fiaba di una città che non ama bene i suoi bambini. Guarda caso la fiaba di questa città.”