Il giornalista e scrittore presenta al Festival di Spoleto il suo nuovo lavoro, "Mussolini: io mi difendo!", un'indagine su uno dei momenti più difficile della storia italiana.
Corrado Augias è al Festival di Spoleto 2018 per presentare Mussolini: io mi difendo!, lo spettacolo scritto a quattro mani con lo storico Emilio Gentile e interpretato in scena da Massimo Popolizio. Lo incontriamo per una breve chiacchierata sulle ragioni che lo hanno spinto a immaginare uno spettacolo su quella che è forse la figura più controversa della storia contemporanea italiana.
Non possiamo che partire da questo: perché uno spettacolo su Mussolini? Ce n’era davvero bisogno?
Certo, proprio così. Anzi, potrei dire che si tratta di uno spettacolo doveroso, il contributo a intervenire su una memoria che spesso può risultare distorta. Bisogna in qualche modo rimettere le cose a posto, proprio per evitare inutili e pericolose strumentalizzazioni politiche.
Ma nel suo spettacolo Mussolini si difende. Dunque, rimettere le cose a posto significa anche riabilitare la sua figura?
Vede, lo spettacolo parte da stralci di memoriale che lo stesso Mussolini aveva preparato per sostenere un’eventuale accusa con relativo processo da parte delle truppe alleate. La storia come sappiamo è andata diversamente, ma non c’è dubbio che Mussolini avesse pronte le ragioni politiche e personali che erano state alla base del suo agire. Ed è proprio da lì che io e il professor Gentile abbiamo deciso di ripartire. Da quelle ragioni, per indagarle e vedere quanto possano risultare ancora valide, nell’ottica chiaramente di chi le aveva concepite. Abbiamo voluto dare, in un certo senso, a Mussolini quella chance che appunto la storia stessa non ha potuto dargli.
E in un’Europa come quella attuale, un’Europa in cui sembrano rifiorire posizioni di chiusura e governi di destra, come si colloca uno spettacolo del genere?
Questa è una bella domanda e tra l’altro una domanda alla quale non so rispondere. Lo spettacolo prevede un momento finale d’interazione con il pubblico, la platea è chiamata a votare a favore dell’accusa sostenuta dalle testimonianze del professor Gentile o per Mussolini stesso, interpretato in scena dal bravissimo Massimo Popolizio. Sono molto curioso di capire quali possano essere le posizioni del pubblico, voglio dire che il suo voto potrebbe essere un termometro, seppur limitatissimo, di una rilettura contemporanea del passato o anche di semplici simpatie. Vede, quello che è certo è che la materia che riguarda Mussolini e la storia del fascismo italiano non è così granitica come si possa pensare, è invece una materia ancora molto scivolosa e magmatica.
Qual è il percorso drammaturgico dello spettacolo? Voglio dire, come si è passati da stralci di memoriali a una scrittura per la scena?
Il primo passo è stato quello di creare un contraddittorio, porre cioè l’uno di fronte all’altro l’accusa, ovvero il professor Gentile, che in pratica interpreta se stesso, essendo sicuramente uno dei maggiori esperti italiani di storia del fascismo, e dall’altra Mussolini. L’idea del contraddittorio mette già di per sé in moto una dimensione teatrale, se poi questo contraddittorio si articola nelle forme di un processo allora la dimensione teatrale non può che uscirne esaltata. Il processo è una delle forme teatrali più antiche che l’uomo conosca, mi verrebbe da dire. In questo modo anche il semplice documento, che Popolizio interpreta con la sua riconosciuta abilità, acquista forza drammaturgica e teatrale.
Lei è sicuramente un uomo della comunicazione a tutto tondo, ma Spoleto resta un Festival dello spettacolo dal vivo e soprattutto del teatro. Quale ruolo, secondo lei, può ancora ritagliarsi il teatro nelle forme della comunicazione contemporanea?
Il teatro possiede una specificità che mai la televisione, il cinema e nemmeno la carta stampata potranno eguagliare, vale a dire la possibilità di riunire nello stesso spazio e nelle stesso tempo attori e spettatori, come dire, mittente e destinatario. La compresenza e la contemporaneità tra evento scenico e reazione emotiva dello spettatore resta una specificità solo ed esclusivamente teatrale. E’ come se attori e spettatori fossero chiusi in una stessa cella, se mi si passa l’immagine. In teatro perfino il silenzio ha un suo colore, c’è il silenzio di chi si sta annoiando e non vede l’ora di tornare a casa e c’è il silenzio di chi viene rapito dall’emozione scenica e ne rimane folgorato. Tutto questo è patrimonio esclusivo del teatro, e glielo dice chi di televisione ne ha fatta e ne fa ancora tanta.
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