Incontriamo Alessandro Benvenuti al Teatro Cilea di Napoli, durante una tappa del tour de L'Avaro di Molière, nella versione adattata e diretta da Ugo Chiti.
Cominciamo subito da questo lavoro che stai portando nei teatri italiani: come mai questa scelta?
È un caposaldo, uno di quei personaggi con il quale prima o poi ci si deve confrontare? Si, ci si confronta con Arpagone e con i grandi interpreti del passato che lo hanno già affrontato perché L'Avaro è uno di quei ruoli (in parte comico, in parte no, ma sostanzialmente molto brillante) che hanno fatto i grandi del teatro, per cui c'è sempre la sfida di trovare un aspetto tuo nuovo...
Un lavoro ad hoc per Ugo Chiti, quindi... cosa siete, più colleghi, più amici o più complici?
Fra di noi c'è un gioco di sponda, siamo fratelli di sangue, lui è un mio maestro in drammaturgia ed io sono il terminale giusto per lui in teatro, come nell'Avaro che è una sorta di partitura musicale molto ritmica, uno spettacolo rock più che pop che trova qualcosa di nuovo in Arpagone, con trovate drammaturgiche molto interessanti tipo un epilogo ed un prologo che in qualche modo spiegano e concludono in maniera decisamente più convincente l'avventura di Molière.
Quindi riscrivere può perfino aiutare a migliorare, in alcuni casi.
L'Avaro non è una delle commedie scritte meglio da Molière (né ebbe successo subito), perché scritta in maniera molto frettolosa, e così chi è venuto dopo ha avuto la possibilità di “correggere” un po' il testo; Ugo si è ispirato a Balzac ed a Marivaux, soprattutto negli intrecci sentimentali dei personaggi e nel dare corpo a tutti i protagonisti. Qui i personaggi sono nove, otto antagonisti ed un protagonista, e tutti sono stati vestiti di sentimenti che non ci sono nell'originale ma che servono a completare ed a rendere molto più affascinante lo spettacolo, che non perde nulla della sua carica comica ma guadagna in sintesi e sottosignificati.
Le paure e le grettezze di Arpagone sono attuali perché lo sono quei sentimenti, oppure perché in questa epoca ne avvertiamo maggiormente il peso?
Sono sentimenti eterni perché sono personaggi archetipi, quindi finché c'è l'uomo ci sarà sempre il vizio capitale, su questo non ci piove! Poi i vizi capitali possono anche migliorare (in senso peggiorativo...). L'avarizia la vedo come un egoismo da parte degli uomini che hanno tanta ricchezza rispetto ai miliardi che di ricchezza ne hanno pochissima. Il mio Arpagone si rifà più alla finanza che non all'accumulo, ed il suo vero problema è quello di avere figlio che non capisce proprio la bellezza dell'investimento.
Surreale, amaro, tagliente, ironico: fra le tante definizioni che ti hanno dato, c'è un minimo comun denominatore? Non che debba per forza esserci, né che ciò sia una necessariamente una virtù...
Beh, si, direi senz'altro la ricerca: sapendo di essere fortemente imperfetto, questa sicurezza mi stimola sempre, tutti i giorni ed in qualunque cosa faccia, è un desiderio di migliorare in tutti i sensi, sia come persona sia come artista.
C'è una divisione nel pubblico, fra chi preferisce che nella comicità si affrontino temi esistenziali e chi reagisce più alle mode del momento? Oppure se ben guidato con testo e mestiere, risponde sempre? Il cabaret degli anni '70 oggi farebbe ridere allo stesso modo?
I veri talenti lo farebbero, si! Mi viene in mente ad esempio Massimo Troisi, sarebbe un talento eterno; non mi pare che in quello che diceva allora o in ciò che dicevamo noi Giancattivi ci fosse qualcosa che oggi non sarebbe attuale; era lui ad essere straordinario, e la straordinarietà dovrebbe essere sempre attuale. Cerco di essere una sorpresa per il pubblico, quindi anche la scelta dei personaggi comici avviene per fare un regalo al pubblico, per sorprenderlo, quindi non è tanto il parlare di plastica o di vita... certo se parli di vita, visto che le persone che sono in platea almeno in quel momento sono sicuramente vive, apprezzano che gli parli di qualcosa che li riguarda, ma c'è anche tanto fascino a parlare di spazzatura e di plastica perché se senti uno che mette alla berlina le cose che usi ogni giorno, la cosa ti fa ridere, perché esorcizzi in qualche modo il lato brutto del tuo carattere. Il comico è sempre una fascinazione, ed è anche questione di ritmi: a volte ci sono delle cazzate mostruose, ma dette con un ritmo tale da farti ridere, perché è proprio il ritmo che ti frega. È un linguaggio enorme quello comico, non voglio dare giudizi su cosa è meglio e cosa è peggio, so soltanto che ci sono delle persone che possono farti ridere perché sono musicali e hanno i ritmi giusti ed altre che non ti possono far ridere perché non conoscono la musica.
A proposito dei Giancattivi, proprio qui a Napoli nel '500 venne fondata la Santa Casa della Redenzione dei cattivi... lo stesso concetto di "Iam Captivus" da cui derivava il vostro nome...
Allora eccomi qui, sono un nuovo adepto! Si, il nostro nome significava proprio “schiavi liberati”, siamo perfettamente in linea.
Qual è l'onda energetica più forte che arriva dal pubblico, quella di quando lo fai ridere o di quando lo commuovi?
Energia comica o drammatica? No, è uguale, è vita... la vita ha tanti aspetti, l'importante è che non ci sia l'indifferenza e la noia ovviamente, però chiaramente se c'é, è merito o colpa nostra.
Cosa ha aggiunto alla tua esperienza la Direzione artistica di un teatro? Ed in particolare, di un teatro come quello di Tor Bella Monaca?
Tor Bella Monaca è un luogo pieno di complessità, con della gente meravigliosa! Siamo l'unico teatro a Roma a chiudere in attivo tutti gli anni, tanto per dire di quanto bisogno c'è del teatro in una zona di frontiera come quella. Aggiungiamo anche la stessa esperienza nel Teatro Mario Spina di Castiglion Fiorentino: posso dire di essere sempre stato un operatore culturale che ha aiutato gli altri, in questo nostro mondo ed in questo nostro modo di lavorare da precari assoluti, e sono contento di essermi completato con questi mestieri, perché bisogna stare da tutte e due le parti e sapere che ci si deve aiutare anche fra colleghi.
I giovani pensano di diventare artisti senza fare gavetta. Perché non esiste più il gusto del capire, dello sperimentare, del passare il tempo anche a sbagliare...?
Se vuoi intraprendere questo mestiere devi essere pronto al sacrificio. Questo non è un lavoro che ti perdona: in qualche modo ti può andare bene per un anno, se vai di moda e apri la porta della fortuna giusta, se incontri la persona giusta oppure se qualcuno si innamora di te in tutti i sensi, da quello intellettuale a quello fisico... ma poi alla fine il rischio di diventare un disadattato che prima è stato uno di successo. Come in tutte le cose, se non hai le capacità meglio lasciar stare, qui non si bluffa, quello che semini non sai mai quando lo raccogli ma quando lo raccogli, se hai seminato bene, allora è tanta roba...
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