Il regista Andrea De Rosa, nuovo direttore artistico della Fondazione TPE di Torino, espone il suo progetto di lavoro triennale e la sua visione di teatro
Processo Galileo è lo spettacolo inaugurale della stagione 2022/2023 del Teatro Astra di Torino, la prima con la firma di Andrea De Rosa come direttore artistico di TPE.
Liberamente ispirato alla vita e all’opera di Galileo Galilei, lo spettacolo nasce da una singolare coincidenza: due registi (Andrea De Rosa e Carmelo Rifici) diversi per formazione e stile, ma accomunati dalla sensibilità artistica, erano intenti a lavorare entrambi sul rapporto tra teatro e verità scientifica: si sono confrontati, decidendo così di misurarsi con un’esperienza di regia collettiva.
Teatro.it ne parla con Andrea De Rosa, che, in questa intervista illustra il suo progetto artistico per i prossimi tre anni alla Fondazione TPE di Torino: un’articolata indagine sul rapporto tra verità, scienza e potere.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
La verità scientifica è una tematica molto interessante: perché portarla a teatro?
Riguarda il modo in cui io intendo il teatro, ovvero la possibilità che si occupi non soltanto di intrattenimento, ma anche di ciò che sta capitando al mondo. D’altronde la tragedia greca, fin dalla sua nascita, ha rappresentato il momento in cui la città si rispecchiava nei propri conflitti, cercando di elaborarli. In questo senso il teatro può diventare il centro di una comunità, perché offre una forma di conoscenza-consapevolezza “alternativa” attraverso gli strumenti dell’illusione e dell’inganno. Non a caso, per il lancio della stagione abbiamo utilizzato una frase del filosofo Gorgia da Lentini, secondo il quale “il teatro è un inganno in cui è più saggio chi si lascia ingannare”.
Lei ha molta familiarità con personaggi tragici (Elettra, Molly Sweeney, Macbeth, Fedra…): questo Galileo si può considerare un eroe tragico?
Il personaggio storico lo è stato in parte, perché purtroppo è passato alla storia più per il vergognoso episodio del processo che ha dovuto subire, che per le sue scoperte scientifiche.
Nello spettacolo abbiamo preso in eredità il fatto storico del processo e la condanna all’abiura, ma ci siamo posti anche il problema di cosa è diventato oggi Galileo, in quanto ispiratore del metodo scientifico.
Durante la pandemia si è verificato un evidente ribaltamento di prospettiva: mi aveva molto colpito la conferenza stampa che fece Boris Johnson per ritrattare le proprie affermazioni di pochi giorni prima sulla cosiddetta “immunità di gregge”. Questa “abiura” ovviamente è meno scandalosa di quella cui fu costretto Galileo, ma è comunque un segnale forte, perché significa, per la politica, assoggettarsi al potere della comunità scientifica.
Arte e scienza come ricerca: è solo questo l’elemento che le unisce?
La ricerca è sicuramente l’elemento che lega entrambe. Ma c’è qualcosa che ha a che fare col mistero. Arte e scienza, in fondo, hanno bisogno di varcare quella soglia del mistero cui si trovano sempre davanti, o almeno questo è ciò che io penso debbano fare.
Qual è il valore aggiunto di una doppia regia e quali possono essere invece le difficoltà?
L’abbiamo sperimentata un po’ inconsciamente con Carmelo Rifici, perché nessuno dei due sapeva bene cosa sarebbe successo; ed è un’esperienza abbastanza singolare in teatro, mentre nel cinema ci sono molte coppie, soprattutto di fratelli (Taviani, Manetti Bros, Coen…), che firmano regie insieme.
Il vantaggio, per quanto mi riguarda, è che devi fare un passo indietro nella “catena di comando” teatrale, per permettere un’efficienza maggiore. Confrontarmi con un altro regista è stata una grandissima scoperta. Difficoltà non ce ne sono state e siamo entrambi molto meravigliati di questo.
La programmazione del Teatro Astra di Torino è tradizionalmente caratterizzata da una marcata attenzione verso i linguaggi performativi contemporanei: cosa troveranno gli spettatori nella sua direzione artistica?
Questa linea progettuale e artistica continuerà senza timore. Io intendo il teatro contemporaneo come un linguaggio aperto agli stimoli che provengono dalle altre discipline, ma soprattutto dalla vita vissuta.
Il mondo del teatro, soprattutto in Italia, ha il vizio di essere autoreferenziale, si rivolge un po’ a se stesso e a un pubblico abitudinario; io immagino un teatro contemporaneo che sfondi la “quarta parete”, occupandosi di tematiche che ci riguardano da vicino.
Tra regia e direzione artistica cosa preferisce, in considerazione soprattutto della sua passata esperienza come direttore artistico del Teatro Stabile di Napoli ?
La direzione artistica, per come la intendo io, prevede un progetto drammaturgico e non solo la semplice attività di selezione degli spettacoli. Ci tengo a sottolineare che ho elaborato un piano di lavoro triennale sul rapporto con la verità, che verrà declinato in modi differenti nelle stagioni successive.
Come vede il pubblico tra 10 anni, considerando l’attuale situazione culturale in Italia?
È veramente una domanda troppo difficile. Ormai neanche sappiamo nemmeno cosa diventerà il mondo tra un anno! Vedo il pubblico come l’ho sempre vissuto, ossia la parte più interessante del mio lavoro. Non mi metto mai nell’ottica, secondo me fallimentare, di sapere chi è il pubblico che ho davanti. Lo devo scoprire insieme a loro.