Andrea Ortis, regista e interprete del kolossal teatrale “La Divina Commedia Opera Musical”: l’attesa, le speranze e le difficoltà di riportare in scena il viaggio dantesco.
Dopo le tappe del 2021, riparte dal Teatro degli Arcimboldi di Milano il nuovo tour di La Divina Commedia Opera Musical (INFO E DATE), prima opera musicale basata sull’omonimo poema di Dante Alighieri: un’operazione interamente italiana prodotta da MIC - Musical International Company.
In attesa di riprendere il viaggio nel più complesso racconto dell’animo umano, della sua miseria e della sua potenza, Andrea Ortis – regista e interprete nel ruolo di Virgilio – ha raccontato a Teatro.it, con cauto ottimismo, le speranze e le difficoltà che precedono il ritorno sul palcoscenico.
Il nuovo allestimento dello spettacolo è la celebrazione dei 700 anni dalla morte di Dante (1321-2021): il messaggio della Commedia è ancora attuale, considerando che nel frattempo è arrivata anche una pandemia?
Per rispondere, partirei dal celebre incipit “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura…”, ma poche righe dopo leggiamo “…per trattar del ben ch’i’ vi trovai”: la selva è una sorta di “lockdown dell’anima”, ma Dante ci ha trovato il bene, la speranza. Penso a quanti artisti, nel mondo, hanno scritto durante una pandemia: Shakespeare durante la peste che nel Seicento ha invaso l’Europa ha scritto Re Lear, Antonio e Cleopatra, Macbeth; Victor Hugo ha dato vita a I Miserabili mentre era in esilio.
Il dolore può essere sempre una grande possibilità creativa e la Divina Commedia diventa attuale perché è la rappresentazione di fatto dei vizi e delle virtù dell’uomo, che travalicano ogni tempo.
Cosa potrebbero rappresentare Dante e Virgilio in questo momento storico, con l’attuale situazione sanitaria?
Dante e Virgilio sicuramente sono due compagni di viaggio e il viaggio possiamo intenderlo in almeno due accezioni: quello fisico, che eravamo più abituati a fare, mentre adesso facciamo più attenzione al mondo che ci circonda e a chi incontriamo; poi c’è il viaggio dell’anima che probabilmente e più accattivante ancora di quello che Dante e Virgilio conducono.
Io credo che, in questo periodo di pandemia, a teatro, al cinema o alla radio, ogni spettatore voglia trovare pezzettini di se stesso: allora si sente immedesimato in quel racconto.
I tuoi lavori degli ultimi anni sono caratterizzati da una forte contaminazione di linguaggi scenici: qual è stato il tuo approccio registico a questo progetto?
Esiste certamente un metodo, ma non può esserci lo stesso approccio rispetto a testi differenti. Ho cercato di avvicinarmi a Dante attraverso la conoscenza e ci sono voluti tre anni di studio specifici sull’uomo Dante, non solo sulla Divina Commedia. Se noi continuiamo a considerare i grandi letterati come supereroi, non ci sentiremo mai vicino a loro e la cultura e i testi classici risulteranno sempre pesanti.
Qual è la genialità di Dante che traspare su palco?
Secondo me, la genialità di Dante è nei suoi difetti, perché sono quelli che accendono la miccia di un percorso. La forma dell’opera musical è quella che meglio assecondava la grande fantasia dantesca, che in un versetto passa da un “magma infuocato” a un “lago ghiacciato”, ad esempio.
E il lavoro sul testo, in collaborazione con Gianmario Pagano, come si è sviluppato?
L’obiettivo era ovviamente quello di cercare di riassumere quattordicimila versi in due ore e un quarto di spettacolo, di per se una grande sfida. Ma è altrettanto vero che, spesso, la scuola non ti trasmette il viaggio dantesco nella sua completezza. Conosciamo abbastanza bene l’Inferno, anche perché è più comprensibile, con il Purgatorio comincia la nebbia e il Paradiso nemmeno si affronta, a scuola. Tranne gli appassionati e gli studiosi, quanti italiani sanno come si conclude questa storia? Abbiamo scelto, quindi, di mettere in scena le tre Cantiche, in un riassunto che include comunque i personaggi “must” (da Beatrice a Pia de’ Tolomei, da Ulisse a Pier Delle Vigne), con l’intento di raccontare una storia che inizia e si conclude.
Il sistema scolastico italiano come potrebbe avvicinare gli studenti al teatro?
Per gli avvicinare giovani uomini e donne al teatro – e per rendere la didattica ancora più efficace – serve il teatro stesso. Il teatro non si deve sostituire alla scuola, ma è uno strumento potentissimo per narrare qualsiasi tipo di storia. In quasi due anni di pandemia è mancata la dimensione umana della scuola (le gite, gli innamoramenti, la competizione) e noi teatranti dovremmo chiederci tutti cosa è possibile fare perché questo aspetto non peggiori.
DATE E BIGLIETTI DELLO SPETTACOLO
La Divina Commedia - Opera Musical