Abbiamo incontrato Christian Ginepro, mattatore assoluto del musical ‘Charlie e la fabbrica di cioccolato’. E sui temi affrontati nello spettacolo ha le idee chiare.
Dallo scorso mese di novembre, Christian Ginepro, nei panni dell’eccentrico Willy Wonka, svela ogni sera al pubblico i più fantasiosi segreti di pasticcere nel musical del momento: Charlie e la fabbrica di cioccolato. Con oltre 40mila biglietti già venduti, lo spettacolo, diretto da Federico Bellone, resterà in scena nella Cattedrale della Fabbrica del Vapore (Milano) fino al prossimo 8 marzo, prima di spostarsi definitivamente a Madrid per un periodo di circa due anni.
Accanto al musical, negli ultimi anni, l’attore si è lanciato nel mercato della fiction televisiva (Rocco Schiavone, Sirene), ricoprendo ruoli di un certo rilievo anche al cinema (Arrivano i prof, Il ricco, il povero e il maggiordomo).
Christian, torni sul palcoscenico dopo cinque anni: cosa hai fatto nel frattempo?
Fortunatamente mi si è aperto un mercato anche davanti alla macchina da presa, quindi ho fatto tanta fiction, tanto cinema, ma soprattutto ho studiato molto, perché io faccio parte di quella nicchia di attori che ancora si allenano tutti i giorni. Studio il metodo Stanislavskij tutto l’anno e questo mi dà la possibilità di essere sempre pronto per i provini e soprattutto di continuare ad affinare questa tecnica che porta ottimi risultati sul palcoscenico.
Dal punto di vista dell’applicazione del metodo, quali sono le differenze immediate tra la macchina da presa e il palcoscenico?
Si tratta di una questione puramente tecnica. Io non sono un “talebano del metodo”, ci sono tanti modi per studiare. Stanislavskij con me ha funzionato. La differenza più evidente è che al cinema e in tv si procede per scene; a teatro, invece, è tutto più complicato, perché quando si apre il sipario devi andare avanti senza fermarti. Cominci a confrontarti tutti i giorni con il personaggio che interpreti, andando a pescare nel tuo passato gli elementi comuni che ti permettono di raggiungere determinati stati d’animo sul palcoscenico.
Willy Wonka si rinchiude nella sua fabbrica perché deluso dal mondo che lo circonda. Quali sono le delusioni contemporanee?
L’infanzia è qualcosa che, a un certo punto, deve essere tradita. Può succedere, oggettivamente, con la separazione dei genitori o con la morte di un familiare; oppure, a livello soggettivo, con la realtà che ti dà uno schiaffo in faccia, distruggendo, di fatto, il mondo che ci siamo creati attraverso l’immaginazione. Perciò, tutta quella disponibilità nei confronti del mondo che avevamo da bambini, la chiudiamo dentro noi stessi per non farci ferire ulteriormente. Willy Wonka trattiene la propria creatività per paura di essere ancora tradito.
Ma il messaggio dello spettacolo a me sembra chiaro: vale la pena continuare a soffrire se c’è comunque c’è un piccolo spiraglio che ci aiuta a recuperare la fiducia nel mondo che avevamo da bambini.
Quella di Charlie è più una storia di riscatto o di tradimento?
Io so cosa vuol dire essere poveri e campare, anche in età adulta, con 12 euro in una settimana: si è trattato di un periodo della mia vita, ormai superato, ma che comunque ricordo con grande orgoglio come fase di enorme crescita personale. Negli ultimi venticinque anni, siamo stati abituati a percepire la povertà come qualcosa di cui vergognarsi. In realtà, è proprio da un certo tipo di povertà che può avere origine l’autentica felicità. Pensandoci bene, Charlie è la persona che ha in dote il tesoro più grande: l’amore disinteressato dei suoi cari.
Sembra che tu ti stia abituando a interpretare ruoli che ti costringono a modificare il tuo peso-forma. Come ti sei preparato per affrontare questo personaggio?
Il top è stato Cabaret con 8 kg in meno… per interpretare Willy Wonka sono partito da 73 kg e adesso sono a 66. Per fare musical ci vuole comunque una forma atletica. Io cerco di trasmettere ai miei allievi la distinzione tra il performer (una persona che mette in mostra se stesso) e l’interprete (colui che rappresenta qualcuno, mettendoci naturalmente del suo). Per arrivarci, non devi avere solo dei maestri che ti seguono, ma anche una forma atletica che ti permetta di non far notare i passaggi al pubblico. Io nasco danzatore, quindi la forma fisica fa parte del mio background… e dopo i 40 anni bisogna allenarsi!
Ti senti più vicino al Willy Wonka di Gene Wilder, alla versione dark di Johnny Depp oppure a quello del racconto di Roald Dahl?
Dal punto di vista della preparazione al ruolo, mi ha ispirato molto la biografia di Gene Wilder; il suo Willy Wonka è più vicino ai disegni presenti nel libro di Roald Dahl e io ho seguito lo stesso percorso.
Qual è stata la prima sensazione che hai provato quando sei entrato nella Fabbrica del Vapore e hai realizzato di doverci lavorare parecchi mesi?
Quando sono entrato, c’erano solo delle corde che pendevano dall'alto. Non c’era niente, noi provavamo nel corridoio, dove adesso il pubblico trova il merchandising dello spettacolo. Ogni mezz'ora buttavamo l’occhio e arrivava un arredo in più. L’emozione più grande è quella di aver visto crescere una macchina teatrale.
Per INFO e DATE dello Spettacolo: Charlie e la fabbrica di cioccolato
Qui TUTTI GLI SPETTACOLI in scena in Italia