Teatro

Con India, Mara Baronti ci fa vivere in leggerezza

Con India, Mara Baronti ci fa vivere in leggerezza

A Milano fino al 25 gennaio al

Teatro Leonardo

, vi consiglio di vedere uno spettacolo,

India

, che qualcuno ha definito una

cosmogonia teatral

e. C'è una bella narrazione, si raccontano storie di dei, dee, nascite, morti, metamorfosi e ci sono canti, danze e immagini, tutto dal vivo. Lavoro molto impegnativo per il regista

Alfonso Santagata

che, per l'occasione, abbandona per un poco la sua

Compagnia teatrale Katzenmacher

, creata nel 1980 a Firenze. Autrice del testo e protagonista sul palco vediamo

Mara Baronti

, attrice che da anni preferisce il racconto alla prosa e che si accompagna sul palco a

Cristina Alioto

e

Patrizia Belardi

. Mara ha molto approfondito miti e leggende, come in

Labirinti

, altro suo spettacolo, che trattava delle figure di re Minosse, di Arianna e di Teseo. Poterle parlare mi offre l'opportunità di scavare su queste sue scelte non proprio facili.



Tu non reciti un vero e proprio testo ma racconti storie, non è così?

Io mi occupo, da quando ho lasciato il teatro tradizionale, di raccontare solo miti e favole, solo cose da raccontare con la voce, sia per i bambini che per gli adulti. Sono le cose che mi appassionano perché, anche se ci sono tanti libri, questi miti bisogna ascoltarli, perché ci danno suggerimenti, dicono cose che interessano l’uomo. Non la società ma l’uomo nella sua essenza. Avrei potuto parlare di tante cose, anche dell’India moderna, informatica, invece ho preferito parlare di favole perché sono alla base della vita.



Scusa, puoi spiegarti meglio?

Ti dico una cosa: gli indiani non hanno mai scritto libri di storia, che per loro è poco importante. Nella mente degli indiani, l’eterno è collegato al vero e sono più veri i miti delle cronache, che passano.



Questo è un pensierino decisamente molto profondo!

Per noi non è la stessa cosa, ma forse diecimila anni fa condividevamo lo stesso sentire rispetto al tempo e rispetto al cosmo, che ora è cambiato radicalmente.



Come mai?

Quando sono arrivati i monoteismi, sono cambiati radicalmente molti pensieri.



Ti occupi di questo?



Io ormai sono decenni che mi occupo di queste storie e il mio andare in India mi permette anche di mostrare sempre il mito della donna-madre. Ora, il mio interesse è dovuto a questo culto della dea femminile, vissuto anche da noi. Cambia il senso della vita, psicologicamente: è stato dimostrato che della madre condividi tutto, anche le parti cattive, mentre al padre è più facile opporsi. La tendenza è ridurre l’ego, a fondersi col tutto, a sentirsi una minima parte del tutto. Cosa all’opposto che facciamo noi. Un tempo lontanissimo ci ha appartenuto… così ho cercato i miti che parlano di queste cose e che hanno lasciato nei nostri geni alcune tracce.



Da quanto tempo lo fai?

Ho cominciato nei primi anni ’80 a raccontare soltanto, prima solo per bambini. Poi, certe storie, troppo complesse, vedevo che interessavano anche gli adulti e ho cominciato a raccontare anche per loro. Il primo fu

Le mille e una notte

, ma si chiamava Ricordando Sherazade. Come vedi le donne sono sempre molto presenti.



Ti riferisci al fatto che raccontano storie?

E’ stato uno dei modi, nei secoli, per salvarsi la vita e procurasi perfino guarigioni. I miti e le storie raccontano di cose spirituali… non religiose, eh! E ne abbiamo bisogno, di cose che parlano di metafisica, dello spirito. Ne abbiamo bisogno.



E tu fai questo? Allora sarai in ottima salute!

Io sono una persona felice, mi sento una grande serenità.. Io credo che

India

sia un bello spettacolo e tutta la gente che viene è felice. Però non riesco a smuovere le folle, forse perché non si capisce che cosa io faccia.



Dillo a me: cosa fai?

Sono una privilegiata: faccio quello che mi piace, mi tolgo ogni soddisfazione. La mia è narrazione, la memoria è importantissima: sono stata sola con la luce fissa, una cosa molto scarna e ho sempre cercato di non imparare a memoria. Conosco bene i fatti e i personaggi, ma le parole le trovo a seconda degli spettatori, seguendo i ritmi, facendo in modo che la narrazione sia una cosa circolare. Poi mi sono complicata la vita e, in

Labirinti

, la storia del Minotauro che spiega come sia nata la nostra civiltà europea, avevo aggiunto due musicisti e, siccome improvvisavo, ho scelto due jazzisti. Ed effettivamente devo dire che ogni sera mi facevano una musica diversa.



Cambiava ogni sera?

Non potevano rifare la stessa musica anche se era andata bene. Io avrei anche preferito, in certi casi, ma mi spiegavano che se no, loro non si divertivano. E io dovevo ascoltare loro come fossi stata uno strumento e anche loro mi seguivano. A volte veniva bene, a volte meno. Questa volta mi sono complicata ulteriormente la vita perché questa volta c’è musica in scena, una musica elettronica all’esterno composta dal vivo alla consolle da un nostro musicista, Davide Ferrari. Poi c’è una danzatrice che balla e suona strumenti e una musicista cantante che fa anche lei di tutto. Siamo tre donne in scena e un uomo fuori scena. In più abbiamo dei pannelli che entrano e vengono mossi per riflettere le proiezioni che sono proiettate verso punti diversi del palcoscenico e quindi anche questo deve essere calcolato.



E’ piuttosto complicato. Chi gestisce il tutto?

Una donna,

Beatrice Meoni

, è artista visiva e scenografa, ma è il regista,

Alfonso Santagata

, che si è occupato di metterci assieme. Lui è la prima volta che fa un lavoro al di fuori della sua compagnia, ma io gliel’ho proposto perché ci conosciamo da tanto tempo: lavoravamo assieme con

Carlo Cecchi

.



Cosa avevate fatto?
Il borghese gentiluomo

e

Il Dongiovanni

, alla fine degli anni ’70, con

Cesare Garbali

che faceva le traduzioni e ci seguiva. E’ stato un bel periodo, un bel lavorare. Infatti ho avuto ragione, con Alfonso è andato tutto bene: lui ha lasciato sfogare la nostra creatività, che è quanto io gli chiedevo, ma l’ha ordinata, sfrondata, ci ha aiutato a scegliere.



Vorresti lavorare di nuovo con lui?

Ma, non so se potrebbe esserci un futuro nuovo sodalizio. Il lavoro precedente, sul Labirinto, mi ha vista bene anche con

Valerio Binasco

, un giovane emergente e io mi accorgo che mi diverto tanto a lavorare con le persone che conosco ma, a seconda dell’argomento, mi accorgo che serve o l’uno o l’altro. Anche Valerio lo sapeva, non ha preteso di fare una regia comune ma mi ha aiutata a portare a termine il mio materiale e a realizzarlo. Con Alfonso c’era di più da fare per la mole maggior di materiale, ma loro si trovano il lavoro mezzo fatto: il testo c’è, ma io non sono abbastanza lucida per capire cosa togliere, cosa sfrondare. Sono amici preziosissimi, poi è divertente mettersi a confronto con persone diverse.



Col tuo lavoro devi aver trovato tante verità. Hai scoperto qualcosa di davvero importante in tutti questi anni?

Assolutamente sì. Vedi, la preparazione è davvero lunga: prima di affrontare una storia devo farla mia, devo sognarmela di notte. A volte ci vogliono anni e queste storie le prendo, le lascio, ci rimurgino, leggo tutti i libri, scelgo delle guide e poi affronto l’argomento. Ma, ogni volta che comincio a raccontarle, a volte è il pubblico a farti capire qualcosa. I bambini tl danno immediatamente risposte, gli adulti sono più composti. A volte dici una cosa, che hai giù raccontato trenta volte e ti arriva un lampo su quello che stai dicendo.



Per esempio?

Io parlo a livello simbolico e i simboli sono pozzi senza fine: rimandano ad altre immagini e altri significati. Con la frequentazione che ho dell’India (io da anni, tutti gli anni, ci vado per un mese) e credo di aver capito, raccontandone i miti, che non sono i loro monumenti ad attrarmi, è meglio l’Italia da questo punto di vista, ma sono le persone, questo loro diverso concetto della vita. Vedi persone anche povere ma con occhi sorridenti, perché loro sanno che la vita dura poco, è un gioco e ci si diverte. Vivere con leggerezza è il vero segreto.



Puoi ripetere?

E’ un gioco, la vita, che ha uno scopo ma va giocata, non per ottenere beni che alla fine non servono a niente (dove te li porti?). La stessa cosa la dicono i miti indiani, come pure la storia del

Labirinto

, perché Arianna era una donna-sacerdotessa che faceva una danza con tutti i passi difficili per arrivare alla morte, poi alla rinascita. E’ la rinascita che conta, per capire che la vita va vissuta con leggerezza perché è un gioco. A volte lo dimentico anche io. Ci sono parti dolorose nella vita di ciascuno, ma anche quelle vanno prese con leggerezza, senza affondare nella disperazione, perché tutto passa. Anche nella filosofia cinese è così. Solo noi in Occidenti nascondiamo la morte, ci crediamo eterni e poi siamo distrutti se il televisore smette di funzionare. Oppure la lavatrice.



Beh, grazie. Che pensi di fare in seguito?

Niente di preciso per il futuro. Sto cercando di attivarmi, ho delle vaghe idee: sull’India potrei fare India 2, India 3, ma vorrei anche continuare coi miti greci. Da tempo avevo pensato a qualcosa su

Dioniso

o la saga del Peloponneso, ma forse è più materiale utile per una soap televisiva, Quindi vediamo un po’. Ora sto prendendomi un’interruzione.



Che significa?

Che sto leggendo cose piacevoli, romanzi: qui ho l’ultimo libro di Larson, ‘La trilogia del millennio’ e alcuni gialli svedesi, Di recente ho letto ‘Mare di papaveri’ di Amitav Ghosh, in estate ho riletto tutto Dickens. Mi interessano anche quei libri che mi danno conoscenza, a livello di sensazione, di altre epoche e altri luoghi del mondo. Si vede che mi piace proprio fare dei viaggi mentali!