"Andare a teatro significa spegnere lo smartphone, altrimenti non ti godi niente", dice l'attore e regista, Premio internazionale Luigi Pirandello nel 2009, di nuovo in scena con "Novecento", tratto dal testo di Alessandro Baricco, un grande classico della sua Compagnia.
Alla fine dell’intervista mi dice: “Quando la mettete online, taggami!”.
Solo dieci anni fa, quando l’ho conosciuto, la parola “taggare” era pressoché sconosciuta. E’ il segno dell’evoluzione di un decennio nodale per il mondo dell’informazione. Dieci anni in cui Corrado d’Elia ha continuato a macinare lavoro e cultura, ottenendo sempre grandi riconoscimenti. Tra questi, nel 2009, il premio internazionale Luigi Pirandello, assegnato in passato ad artisti come Eduardo De Filippo, Giorgio Strehler, Vittorio Gassman, Harold Pinter. Il 2010 è invece la volta del Premio della Critica Italiana come una delle figure più complete del panorama teatrale italiano. “Novecento” sarà in scena dal 28 al 31 dicembre e ancora dal 10 al 15 gennaio al Litta di Milano.
Nel 2007, il debutto di “Novecento”. Non è un po’ stanco di portarlo in scena?
(Ride). Se ho fatto per 20 anni Cyrano in Italia, facendo lo scavalca-montagne, non posso essere stanco di raccontare questa storia così emozionante, così intensa, una delle storie meglio scritte da un autore italiano per il teatro. In periodo natalizio, poi, secondo me ha ancora più intensità. Io sono contento, ancora e forse di più.
Se uno torna a vederlo cosa riscopre?
Su questo spettacolo c’è sicuramente un pubblico affezionato.
Basti pensare che ci vogliono cinque o sei mesi per una regia, e questo spettacolo è una partitura musicale soprattutto per come è scritto, su cui io intervengo con grande rispetto , cercando di vivificare quanto già c’è.
E lei cosa riscopre ogni volta?
Quando l’ho iniziato arrivavo a quell’età di mezzo, i 40 anni: un periodo di riflessione umana e professionale. In questi anni “Novecento” mi ha accompagnato nella mia professione, mi ha posto davanti a quesiti sulla mia professione e facendomi guardare po’ al futuro. Oggi, più di allora, mi diverto anche perché capisco come farlo evolvere anche in base alle reazioni col pubblico: capisco dove posso spingere, dove possono suonare di sentimento diverso. Poi è stato il primo monologo che ho fatto e forse anche grazie a questo è arrivata una riflessione sulla scrittura per altri testi. Oggi sono più riflessivo e mi piace di più scrivere e raccontare delle storie, ma in modo diverso.
Perché questo testo ha avuto tutto questo successo?
È una favola, una buona storia, raccontata poi in modo musicale… e parla di musica. Poi è stato un libro molto venduto, un successo a furor di popolo. Puoi ignorare un fatto del genere? Poi credo anche che sia uscito in un periodo in cui serviva una storia del genere.
Ma Baricco l'ha visto il suo spettacolo?
Mmm, non credo. Io non l’ho mai incontrato; ci siamo scritti, ma mai conosciuti di persona. Però chissà, magari verrà a vederlo prima o poi!
Quanto è importante il repertorio per una compagnia?
Io tengo moltissimo al repertorio, credo sia la ricchezza di una compagnia di prosa italiana: arricchire, riproporre al pubblico storie che possono portare la gente a teatro. Ed è quello che stiamo facendo con successo, non vogliamo prodotti poi da rottamare.
E’ bello sentire parlare di compagnia teatrale, ha sempre quell’accezione di “famiglia”.
E’ così. Io volevo costruire una famiglia teatrale: ora c’è, e anche grazie a lei che ogni tanto posso fermarmi a riflettere. Siamo una dozzina di soci che vivono la compagnia in modo diretto: in parte attori, in parte organizzatori. E’ anche importante per noi fare provini e li facciamo più volte all’anno: poco tempo fa sono arrivati mille attori per Romeo e Giulietta. Mille! Ne ho selezionati 90, faccio provini da un’ora, c’è un lavoro grosso anche lì. La nostra è una compagnia curiosa e molto aperta che dialoga sempre col territorio. E questa cosa mi piace.
Cosa prova quando la criticano?
Innanzitutto la parola critica deriva dal verbo greco “dividere”, e quindi, quando avviene una divisione di giudizi, la cosa mi fa comunque sempre riflettere. Va bene così, è una questione di gusti, non posso piacere a tutti. Poi è anche vero che siamo in un’era in cui tutti sono giudici, tutti vogliono essere protagonisti e vogliono dire la loro. E’ la parte più riflessiva, invece, che può aiutarmi nel mio lavoro: più volte ho affermato l’importanza della critica teatrale oggi. Abbiamo davvero bisogno del critico militante, quello che va a vedere gli spettacoli. Dunque ben venga la critica, ben vengano le critiche.
Social, Netflix, YouTube come forma di intrattenimento. E’ indubbiamente più difficile avvicinare le persone a teatro, rispetto a dieci anni fa.
Lo è eccome, anche perché c’è una tipologia di persone che vuole dire solo “io c’ero”, come a far vedere che è figo andare a teatro. Entrano, fotografano, si registrano presso il teatro, smanettando con il cellulare durante lo spettacolo. E così, purtroppo, non si godono più niente.