Teatro

Declan Donnellan: "Shakespeare ci aiuta a stare con persone che non sono come noi"

Declan Donnellan
Declan Donnellan

Dopo il suo Pericle principe di Tiro al Napoli Teatro Festival Italia 2018, abbiamo intervistato il regista inglese, fondatore della compagnia Cheek by Jowl e Leone d’oro alla carriera nel 2016 alla Biennale di Venezia.

Leone d’oro alla carriera nel 2016 alla Biennale di Venezia, è ritornato al Napoli Teatro Festival il regista inglese Declan Donnellan, fondatore con lo scenografo Nick Ormerod della compagnia Cheek by Jowl con cui sin dal 1981 ha prodotto e rappresentato alcune decine di opere teatrali, conservando una marcata predilezione per Shakespeare e per il teatro elisabettiano. In questa edizione del Festival Donnellan ha messo in scena con una compagnia francese il Pericle principe di Tiro – opera di probabile attribuzione shakespeariana – trasformando l’eroe greco in un paziente d’ospedale, e riducendo così all’essenziale la storia di un uomo che si allontana dai suoi affetti per poi ritrovarli dopo anni di peregrinazioni e di dolore.
 

Mr. Donnellan, al Napoli Teatro Festival 2018 lei ha presentato un testo meno conosciuto di Shakespeare. Perché questa scelta e qual è secondo lei il motivo d’interesse del pubblico di oggi?
Dobbiamo sempre ricordarci che ci sono tre modi per distruggere un artista. Il terzo è attaccare il suo lavoro, il secondo è ignorare il suo lavoro, ma il modo migliore, la medaglia d’oro per distruggere un artista è indurlo a teorizzare il suo lavoro.
I testi più belli trattano sempre dell’oggi, perché mostrano i recessi della condizione umana in modi che è impossibile spiegare. Non è un processo razionale. Pericle sembra, all'inizio, essere molto lontano da noi – una storia di tornei e cavalieri – ma è anche la storia di un uomo che diventa estraneo alle persone che ama, che con loro si riunisce in modi strani, lenti e miracolosi, più per il volere del fato che per la sua volontà. Parla del mistero dell’amore, della perdita e dell’amore ritrovato dopo un’assenza che ferisce e confonde.

Quali sono i drammaturghi che rappresentano un punto di riferimento, o che hanno avuto una forte influenza su di lei?
I grandi scrittori come Shakespeare, Racine, Cechov o Calderon sono tutti affascinati dalla nostra capacità di ingannare noi stessi. Emozionano con personaggi che dicono sciocchezze plausibili. Ecco perché la loro scrittura è arte allo stato puro. Ogni grande personaggio è un narratore non affidabile. L’espressione “raccontare oggettivamente” è un ossimoro. Quello che è curioso nelle opere di questi autori è che noi non le mettiamo in scena perché sono venerabili o antiche o scritte da gente morta, ma le mettiamo in scena perché sono effettivamente delle bellissime opere. Sono sopravvissute perché per centinaia di anni hanno continuato a condividere la vita. E la vita non è uno status. La vita è un processo. Cambia. Queste opere affrontano le domande eterne dell’uomo sull'amore, sulla perdita, sulla politica, sulla redenzione e sull'abbandono. Il genere è la vita e in queste messe in scena è svelata la carnalità dell’esperienza umana.

Molte bellissime opere parlano di peccato, vendetta, colpa, omicidio… ma qualsiasi serie tv poliziesca parla delle stesse cose. È solo che Sofocle, Dostoevskij e Middleton lo fanno meglio. Ma, cosa più importante, suggeriscono la disperazione che sostiene tutte quelle afflizioni. Loro ci mostrano che siamo tutti capaci di azioni cattive… Dobbiamo solo pregare di non essere messi alla prova, e cercare di rafforzarci come meglio possiamo.

La nostra prossima produzione, La Tragedia del Vendicatore di Middleton, a volte sembra voler brillare con l’artificio, la performance e la finzione. Ma Middleton suggerisce che forse la stessa autenticità è un imbroglio. Non dà risposte su questo, e non posso darne nemmeno io. Per questo è così interessante da esplorare. Io e Nick siamo molto contenti di lavorare con una compagnia italiana per la prima volta, per inaugurare La Tragedia del vendicatore al Piccolo Teatro di Milano il prossimo ottobre.


La Tragedia del vendicatore: La tournée dello spettacolo
 

 

Negli ultimi dieci anni ha messo in scena principalmente Shakespeare e Ford. In che cosa consiste la modernità del teatro elisabettiano?
Penso che il teatro elisabettiano e quello giacobita siano utili, perché ci ricordano quanto siamo diventati, forse, demodé, e allo stesso tempo ci ricordano, se siamo abbastanza umili da aprirci a loro, quanta profondità psicologica continuiamo a perdere anno dopo anno, giorno dopo giorno… ogni giorno ci stupiamo di quante cose i nostri nonni davano per scontate. Questo succede se siamo fortunati. Se siamo sfortunati pensiamo a quanto siamo più intelligenti di loro. Di quante cose loro erano grati e noi, invece, non ne abbiamo più cura!

In Pericle e in altre sue opere, Shakespeare scrive dell’autoinganno. Scrive di come non ci sia niente di più inaspettato del passato. Questa è una delle ragioni per cui Shakespeare continua a sorprendermi. Sono continuamente sorpreso da quello che ho sempre saputo ma in qualche modo ho dimenticato. Come il fatto che dovrò morire. Shakespeare sarà sempre importante, perché le persone vorranno sempre imparare di più sulle persone: lui vuole imparare insieme a noi, vuole che lo aiutiamo a scoprire noi stessi.

La sua messa in scena di Pericle è stata molto apprezzata per l’accuratezza e l’alto livello della recitazione degli attori. Come lavora con gli attori e quali sono i limiti della performance che chiede loro?
Ho sempre pensato che l’arte dell’attore abbia la prima e l’ultima parola, in teatro. Un’opera d’arte è viva, e quindi è sempre diversa ogni volta che la guardi. Si trovano tantissime cose interessanti e nuove nel percorso che si fa durante le prove. Ho bisogno che la sala prove sia viva e sia nel presente. Se lo spettacolo viene provato in modo aperto, e con questo intendo aperto qui ed ora, e non chiuso in una lettura rigida e pre-digerita, allora vediamo emergere significati e connessioni.
Con la nostra compagnia francese, così come con quella russa, fissiamo un periodo di sperimentazione molto in anticipo rispetto al periodo di prova, che chiamiamo “la foresta”. Gli abbiamo dato questo nome perché in Russia portiamo la compagnia lontano da Mosca, in un luogo di campagna. Così molto prima del periodo di prova di Pericle abbiamo passato una settimana a sperimentare il testo con l’ensemble francese, il che ci ha aiutato a farci un’idea di che cosa pensavamo fosse l’argomento del testo, e di come avrebbe potuto funzionare.
Ogni reading o mise-en-scène che faccio di un testo è futile se non autorizzo me stesso a sorprendermi nell'immediato della sala prove. E meno ho il controllo, più viva sarà l’esperienza teatrale. La vita è tutto ciò che mi interessa. La teoria è bellissima al suo posto, ma la vita ha la precedenza. Sempre.
 

 

Qual è la funzione del teatro nella società occidentale di oggi?
La recitazione e la vita sono inseparabili. Io recito come regista, e lei sta recitando mentre mi fa queste domande. Questo non significa che stiamo mentendo! È l’unico modo in cui possiamo agire. I pubblicitari ci terrorizzano insinuando che solo il loro prodotto ci ridarà la nostra autenticità. Ma questa è una crudele bugia. Perché in realtà non siamo mai stati autentici e non lo saremo mai. Noi recitiamo. Dobbiamo fare pace con questo per poter crescere.
Susan Sontag ha combattuto una battaglia formidabile contro il suo cancro; diceva che non le interessava la qualità della vita, lei voleva solo la vita, a prescindere dalla qualità. Quando le chiedevano come potesse tollerare tutto quel dolore durante la terapia, una delle ragioni che lei addusse era «voglio rimanere qui nei paraggi per vedere quanto la gente riesce a essere stupida». Io pensavo che lei stesse raccontando una barzelletta sagace. Ma adesso ho paura che non sia così… Il problema non è solo la manipolazione della gente da parte dei malvagi, dei ricchi e dei potenti. I nostri cervelli stanno marcendo piano piano a causa del consumismo. Tutto deve essere reso visibile. Tutto deve avere una spiegazione. Sembra un’arte anche quella.

Per esempio, un giornalista d’arte mi ha recentemente chiesto «Dov’è secondo lei, signor Donnellan, la crisi della cultura?» Non riesco a immaginare che qualcuno facesse una domanda del genere trent’anni fa senza scoppiare a ridere.

La simpatia riguarda il fatto di provare un sentimento per qualcuno che ha i nostri stessi sentimenti. Ma l’empatia riguarda essere a fianco di persone che non sono come noi, e rispettarle. La simpatia sembra un sentimento caldo, l’empatia può sembrare fredda. La politica populista si basa sulla simpatia. Il buon teatro è fatto di empatia. Quando guardiamo alcuni spettacoli, stiamo andando a vedere persone che dicono cose che noi non diremmo, che provano cose che noi non proveremmo, fare cose che noi probabilmente non faremmo. Sviluppare l’empatia è un aspetto fondamentale del teatro. Tutti i testi di Shakespeare ci aiutano a stare con persone che non sono necessariamente come siamo noi. Non riesco ad immaginare niente di più politicamente utile in questo momento. 

Che cosa cerca in uno spettacolo quando va a teatro come spettatore?
Il teatro che noi creiamo come Cheek by Jowl, e il teatro che è importante per noi, riguarda la vita; riguarda i modi in cui noi ci connettiamo l’uno con l’altro. La spiritualità del teatro viene dal connettere persone tra di loro in uno spazio, adesso. Essere presenti l’uno con l’altro e partecipare l’uno con l’altro. Quando siamo vivi troviamo le altre persone interessanti, e quando siamo depressi le troviamo piuttosto noiose.
Ci annoiamo solo quando siamo depressi e quando le persone ci mentono: quando siamo in presenza della disonestà. Così riconosciamo il falso. Il falso è noioso, il falso è morto. La noia è un salutare campanello d’allarme. Da artisti non dobbiamo mai cercare di dire la verità, ma è importante che noi cerchiamo il più possibile di non mentire. In teatro siamo costretti a un contatto intimo con sconosciuti, con stranieri… cerchiamo di costruire ponti di empatia e non muri fatti di simpatia.

Indicherebbe tre (o più) testi teatrali di qualsiasi epoca che tutti dovrebbero vedere?
Macbeth, Re Lear, Otello, Tre sorelle, Edipo re. Tutti riguardano tante cose… Ma tutti parlano di autoinganno.