In questa intervista, Elena Arvigo espone la sua visione del teatro, nel presente e nel prossimo futuro, soffermandosi, inoltre, sul tema del lavoro dell'attore.
La tournée dello spettacolo Edipo Re/Edipo a Colono, una doppia regia di Glauco Mauri e Andrea Baracco ha appena lasciato Genova. In questa produzione, l'attrice genovese Elena Arvigo, impegnata a interpretare i ruoli di Antigone e Giocasta, illustra a Teatro.it le sensazioni derivate dal lavoro di ricerca attoriale, soffermandosi sulla propria visione del teatro, sulle criticità dell'attuale scenario italiano e sulle sfide per il futuro.
In una dichiarazione recente, hai preso posizione in merito alla profonda precarietà lavorativa ed economica che caratterizza il lavoro degli artisti teatrali in Italia. Ci puoi dire qualcosa in più?
Si tratta di una dichiarazione che ho rilasciato di recente, ha avuto tantissima eco e un gran numero di condivisioni sui social media. A parlare è stata soprattutto la mia stanchezza. Nelle interviste c'è sempre una parte descrittiva in cui si cerca di comunicare oggi più che mai l'entusiasmo per ciò che si sta facendo e per come lo si sta facendo. In realtà, occorre il coraggio di dire il vero, la situazione del teatro in Italia non è sana. Non è sano essere così tanto precari, non poter contare su una situazione solida. Occorre lavorare tanto e sempre, sembra che non si possa mai dire di no, si ha l'impressione di essere usati. Confrontandosi coi colleghi, è per tutti una situazione simile. La parte artistica di un lavoro teatrale viene considerata accessoria, mentre ci sono strutture con amministratori e "burocrati" dello spettacolo che dirigono la strategia: agli artisti non resta che adattarsi e sperare di non sbagliare un colpo. Tutto ciò produce uno stato di insicurezza progettuale, in cui persone anche molto talentuose, a meno che non abbiano loro fonti di reddito, faticano a sostenere il mestiere. Io vengo dal Piccolo di Milano e lì mi è stato insegnato il valore del "teatro pubblico", ovvero del teatro che si alimenta di due componenti: lo spettacolo e il pubblico. Tutto il resto è accessorio.
Tornando al versante artistico, stai per essere impegnata in due ruoli molto importanti come Antigone e Giocasta. Che cosa ha significato cimentarsi con il testo classico, specie in un momento come questo in cui abbondano, in teatro e fuori, sue modernizzazioni e riletture?
L'esperienza di portare contemporaneamente sul palco due testi impegnativi come Edipo re ed Edipo a Colono è chiaramente molto impegnativa e di responsabilità. Il mito mi ha sempre affascinata ed ho già provato l'esperienza bellissima di attingervi con la produzione del Maternity Blues, di cui ho curato anche la regia, ispirandomi alla vicenda di Medea. Partire del mito per me significa anzitutto un innalzamento di tono, che non è più quello della cronaca, della quotidianità. In Antigone rivedo per esempio la bellezza di un'eroina dai gesti quotidiani, non tanto impegnata a salvare qualcuno quanto a rimanere ferma nella sua posizione, coerente nel dualismo tra legge e morale. Il testo che portiamo in scena è semplicemente quello di Sofocle e, studiandolo, ho avuto l'impressione di qualcosa di estremamente potente. Non è un caso che abbia resistito a tutti questi secoli di storia! Lo definirei una sorta di Bibbia laica del libero arbitrio, in cui giganteggia la figura di Giocasta, anima immensa, madre, moglie, donna che non vuole sapere chi l'abbia portata alla salvezza. Ecco, in questo testo mi colpisce sempre l'urgenza drammaturgica, che è un valore da enucleare e tenere ben presente nel teatro di oggi, in cui c'è molta confusione tra drammaturgia e parte performativa, specie in Italia. In Inghilterra, dove ho appena seguito un bellissimo festival, i confini sono molto più chiari.
Alla luce di tutte queste riflessioni, cosa ti sentiresti di consigliare a chi si accosta al teatro oggi?
Direi che il maggior rischio oggi è di non avere maestri, ed invece occorre andarli a cercare. Come diceva Strelher di Jouvet, occorre andare a caccia di maestri. E poi, superare la paura di intraprendere questa strada, avere coraggio, sognare con grandi modelli. Mi piace pensare a Patti Smith, irriverente e bellissima, durante la cerimonia di consegna del Nobel di Bob Dylan. Ancora: non temere di avere un cattivo carattere, perché spesso significa semplicemente averne uno!
Qui INFO e DATE: Edipo Re/Edipo a Colono,