Fabrizio Gifuni torna al Teatro Franco Parenti con ‘Na specie di cadavere lunghissimo dopo l’incredibile successo personale ottenuto interpretando L’ingegner Gadda va alla guerra, monologo tratto da Carlo Emilio Gadda e William Shakespeare e diretto da Bernardo Bertolucci che gli ha fatto vincere il Premio Ubu come miglior attore per il 2010. Gifuni sta velocemente diventando un cult, attore amatissimo da spettatori-fans, che pendono dalle sue labbra e pure da tutto il resto, essendo un giovane di gran bella presenza, generoso nell’esporsi anche in nudo integrale, come fa qui fra l’atto di scritti pasoliniani estratti dagli Scritti corsari e dalle Lettere luterane al secondo atto in cui, rivestendosi lentamente in bianco, Gifuni interpreta il poema di Giorgio Somalvico, Il pecora, in cui una metrica delirante vede il giovanissimo assassino che racconta il proprio punto di vista sull’omicidio dello scrittore.
La leggerezza fisica di Gifuni nel saltare sui tavolini sparsi attorno al pubblico, la sua capacità di restare concentrato mentre alcuni lo guardano a pochi centimetri di distanza, rendono esemplare la sua performance, già esaltata dal monologo premiato lo scorso anno.
Lo sento durante il week end: si assenta pochi minuti dalla compagnia delle sue due figlie, venute apposta a Milano per star econ lui. Ahimè, è felicemente sposato con una bella e brava attrice, Sonia Bergamasco...
A chi è nata l’idea di questo spettacolo dal titolo così curioso?
Intorno al 1992-93 avevo chiuso il mio periodo di formazione. Tutta l’esperienza lavorativa all’Accademia d’Arte Drammatica e altre esperienze con registi come Massimo Castri, Walter Malosti, Sepe e altri, li ho considerati il periodo della formazione. Ma, finita la scuola, ho continuato a studiare per affinare le qualità che volevo far emergere. Intorno al 2000 ho cominciato a pensare che mi avrebbe fatto piacere percorrere un sentiero nuovo, per un nuovo progetto e sentivo che quello che mi stava più a cuore era il tentativo di rispondere a una domanda, che sta alla base di ’Na specie di cadavere lunghissimo come pure de L’ingegner Gadda va alla guerra, che è il secondo capitolo di questo progetto: capire, cioè, come sia stato possibile arrivare ai tempi osceni in cui stiamo vivendo.
Non usi mezzi termini ma sono d’accordo con te. E allora?
Mi sembrava una strada interessante prendere testi preesistenti e adoperarli come mappa per muovermi. Poi c’è il testo di Somalvico, che conoscevo perché Giorgio è un poeta che conosco da anni e questo testo mi aveva colpito di più. E ho pensato che potesse starci all’interno della drammaturgia di questo testo. Partendo dal testo di Somalvico, arrivando agli Scritti corsari e altro, ho creato un testo molto più grande, poi l’ho fatto leggere a Bertolucci, gli ho letto quello di Somalvico e lui è rimasto molto colpito. Così, quando gli ho chiesto di lavorare ancora con me, ha accettato.
Mi spieghi da dove salta fuori il titolo curioso?
Originariamente lo spettacolo si doveva chiamare Danza di Narciso, il titolo di una poesia di Pasolini: è lui che dava una chiave di lettura del proprio narcisismo, lui che si mette al servizio di qualcosa di alto e di molto profondo al tempo stesso, non fine a se stesso. Ha eletto sè stesso a padre di una generazione.
Quando l'ha icambiato?
‘Na specie di cadavere lunghissimo è tratto da un verso di Somalvico e l’abbiamo scelto per questo progetto pasoliniano, che ho intrerpretato la prima volta in una sala magnifica, al Palazzo della Ragione di Milano, dove ci ha portati Andrée Ruth Shammah. Dopo, l’ho fatto seguire dal lavoro sull’ingegner Gadda, una ricerca sul ‘900 italiano. So che è strano aver scelto due autori diversi fra loro come non mai, per storia e tempi. Ho cominciato a lavorare su Gadda per anni, prima di arrivare, dopo tre-quattro anni, alla stesura del testo. E quest’anno ho ripreso tutte e due gli spettacoli qui al Teatro Franco Parenti.
Sei stato coinvolto anche nella messa in scena o è tutta farina di Bertolucci?
Il grande racconto della storia che viene spiegata in modo quasi pedante ma evocativo, come qualcuno che si offre allo spettatore, rischiava di allontanare. Ma invece volevamo l’attore più vicino agli spettatori: così si scende, non c’è una cattedra, non si impartisce una lezione, ma c’è una comunità che si ritrova a ragionare su certe cose, argomenti, situazioni.
Ti stai già dando da fare per il futuro?
Sto ragionando, sto leggendo, ma non ho ancora idea chiaramente sul prossimo materiale su cui lavorare. Mi lascio il tempo, non avendo scadenze, fortunatamente... Voglio prendermi il tempo necessario per decidere con calma, se possibile al meglio.
Magari potresti lavorare in altri ambiti, come nel cinema?
Sì, sicuro: fino ad aprile continuo con la tournée teatrale, poi comincio col cinema, d’estate. E infine si vedrà.