Teatro

Ferruccio Soleri: 'A 84 anni sono ancora Arlecchino'

Ferruccio Soleri: 'A 84 anni sono ancora Arlecchino'

 Da 53 anni, infatti, veste i panni colorati di Arlecchino, con oltre 2800 repliche in quasi 50 Paesi del mondo.

Una storia che dura dal 1947. Siamo in pieno dopoguerra, e l'Arlecchino, caposaldo di Goldoni,  manca dalle scene teatrali da almeno un secolo. Il giovane Giorgio Strehler lo rispolvera e lo porta sul palco del Piccolo Teatro di via Rovello, a Milano. Lo affida nelle mani di Marcello Moretti, che porta questa maschera con successo in diverse tournée internazionali. Finchè  il posto viene preso dalla sua riserva Ferruccio Soleri, giovane attore di Firenze con alle spalle strani studi di Matematica e Fisica misti all'Accademia d’Arte Drammatica. Soleri ora di anni ne ha 84, ed è ancora in scena. Da 53 anni, infatti, veste i panni colorati di Arlecchino, con oltre 2800 repliche in quasi 50 Paesi del mondo, numeri che gli sono valsi il Guinness World Record per la “più lunga performance di teatro nello stesso ruolo”. Un record difficilmente superabile, per questo instancabile attore dall'accento ancora fiorentino, testimone di mezzo secolo di palcoscenico.

Dal 3 al 22 dicembre  torna nella sua storica "casa" di via Rovello a Milano, in una magia che sboccia ogni sera, un Arlecchino sempre uguale e sempre diverso e “libero dal tempo che passa”, come diceva il suo regista.

Ha appena compiuto 84 anni. Come fa ancora a saltellare sul palco per 210 minuti?
Durante lo spettacolo ci sono due intervalli, cosa che aiuta parecchio. Certo, mi affatico un po' di più. Ma mi alleno molto. Inizio due mesi prima dello spettacolo: il primo mese, faccio stretching - che mi aiuta a sciogliere i muscoli e le articolazioni - e faccio quattro piani di scale su e giù veloci. Il secondo mese raddoppio lo stretching e i piani di scale. Mangio pane e pasta integrale, carni bianche e niente carne di maiale. Quando ho due spettacoli al giorno, nella pomeridiana mi sostituisce Enrico Bonavera, che di solito fa Brighella.

Torniamo indietro nel tempo. Lei era la riserva di Moretti nel ruolo. Poi Moretti si ammala...
La verità è che ero la sua riserva nella tournée negli USA nel 1959. I sindacati americani, infatti, imponevano che negli spettacoli almeno una volta alla settimana ci fosse un sostituto. Per cui in totale sono salito in scena quattro volte. Due anni dopo Moretti muore e io subentro. Una bella responsabilità...avevo paura, cercavo di imitarlo. Finchè, alla prova generale, arriva Strehler. Mi ferma a ogni battuta: "Non va bene...non imitare Marcello!".  Capisce che ero diverso dal mio predecessore,  e capisce che deve impostare il personaggio su di me, mantenendo ovviamente la linea della sua regia. Poi vede le mie capacità acrobatiche e si illumina: "Cosa faresti qui?", "Come la faresti questa scena?". Una bella sfida.

A un certo punto Strehler però vuole chiudere baracca e burattini. E invece…
Eh si. Era convinto di aver esaurito il filone e voleva fare l’edizione dell’addio. Poi aveva voglia di nuove cose... lui era uno che pensava sempre a nuovi testi, non a cambiare la regia nello stesso testo. Ma succede di tutto: proteste e liste d’attesa nei teatri di chi ancora non aveva potuto vedere lo spettacolo. Paolo Grassi cerca di farlo ragionare, si impunta. Strelher vede tutto questo casino e si convince. Chi aveva ragione?

Lei è il perno attorno a cui, da 53 anni, ruotano attori e persone diverse che arrivano, stanno e se ne vanno. Che ricordi ha?
Dal 2000 in compagnia siamo più o meno gli stessi. Pochi litigi, molta chiarezza da subito. Poi succede che si debba cercare di frenare gli attori: la linea è quella piazzata da Strehler e noi cerchiamo di mantenere quello lui voleva nella regia. Lo spettacolo è divertente ed è semplice, non ha personaggi psicologici. I nuovi che non portavano novità o che volevano portarne troppa...si sono adeguati. Noi abbiamo imposto il volere del regista senza cattiveria.

Com'è questa storia che studiava matematica e fisica e poi è finito a fare l'attore?
Da bambino volevo fare il clown: a 9 anni facevo la ruota, camminavo sulle mani, facevo il salto mortale. La tata mi portava a vedere i tendoni del circo e poi provavo i numeri in giardino.  Ma i miei genitori mi dicevano: "Ma smettila, non si può fare il circo se non sei di una famiglia circense!" Mi iscrivo quindi a matematica in attesa di fare il concorso all’Accademia Aeronautica, e scelgo  la cosa più vicina all’aviazione. Ammetto che la facoltà era anche quella...con meno esami. Giocavo a calcio da dilettante e tra i miei compagni c’erano Paolo Poli e Renzo Montagnani...così mollai l'Università e andai all’Accademia di Arte Drammatica.

Cosa ne pensa del teatro porta in TV?
La cosa mi lascia perplesso. Si è contatto con un’immagine, non con delle persone, non c'è il rapporto fisico. L'attore, poi, non sente le reazioni del pubblico, ma come si fa? E' un modo di "non fare".

Come lo vede il teatro di oggi?
Purtroppo oggi non ci sono scrittori di teatro molto importanti. Poi, qualche nome di livello c'è, si trovano ancora bravi registi che fanno capolavori. Gente come Gigi Proietti ne nasce poca.

C’è qualcosa che le manca, che ha voglia o avrebbe voluto fare?
L’importante è fare teatro. Il resto non conta.

 

Informazioni e prenotazioni 848800304 - www.piccoloteatro.org