Si definisce "s-passionato", con s privativa. E neanche fare l'attore, in fondo, è stata una vera passione, dice. Branciaroli è un po' così: a tratti burbero, a tratti più coinvolto, soprattutto quando si parla della deriva del teatro di recitazione.
Lo intervisto il giorno del suo 68.esimo compleanno: ringrazia per gli auguri e me lo immagino con lo sguardo circospetto, come quelle faccine-emoticon che si usano nelle chat.
Franco Branciaroli sta provando "Dipartita finale", che andrà in scena dal 4 al 14 giugno al Piccolo Teatro Grassi di MIlano. Branciaroli porta in scena un suo testo, che ha (vaghi) echi del beckettiano "Finale di partita": tre barboni giacciono sulle rive di un fiume aspettando la Morte (o meglio, la Fine). Ma guai a chiamarlo parodia, specifica l'autore. In scena, un quartetto composto da Ugo Pagliai, Gianrico Tedeschi, lo stesso Branciaroli e il recentissimo innesto di Maurizio Donadoni al posto di Popolizio, che ha lasciato per un progetto televisivo concomitante.
Si parla di Morte, si recita nuovamente al Piccolo. Che effetto fa, ora, senza Ronconi?
Per me l'effetto prescinde dal recitare al Piccolo. Ronconi era un fratello maggiore, ho avuto un rapporto con lui che è stato straordinario, abbiamo fatto due/tre spettacoli insieme - come "Lolita" - che sono pietre miliari e che ci hanno legato profondamente, dal punto di vista professionale e umano. Mi manca tutto di lui: i consigli che mi dava, le idee che ci scambiavamo. Mi fermo spesso a pensare "Se ci fosse lui...", immaginandomi cosa mi avrebbe detto in quel determinato frangente. E poi mi fermo, con grande consapevolezza.
Lo spettacolo è sovratitolato in inglese per la prima volta. Necessità Expo vincente, secondo lei?
E' una necessità, non mi sottraggo. Se la traduzione è buona, i sovratitoli possono servire. In questo caso il testo ha battute molto veloci e dialoghi brevissimi, per cui la traduzione risulta più efficace. Non la concepisco, invece, in testi shakesperiani... pensa che noia.
Ma è davvero una parodia di Beckett?
No, infatti. Non c'entra Beckett e non è una parodia. E' un'invenzione teatrale, come ce ne sono tante. Ognuno ci vede le metafore che vuole, anche del teatro stesso. Si parla dall'orlo della tomba: le riflessioni che fa nascere questo testo sono tante e ognuno ci vede ciò che sa.
Sdrammatizzando quindi sulla Fine: che progetti ha per l'inevitabile approssimarsi? Starà sul palco come Gianrico Tedeschi, che di anni ne ha 95?
Non ci arriverò mai alla sua età! (ridacchia, ndr). Per come sono adesso, non andrei in scena; ma se dovessi campare ancora, allora smetterò a 75 anni, previa interpretazione del Re Lear "maturo": l'ho già fatto in passato, ma per uno come me che ha avuto una carriera intensa, rifarlo all'età giusta sarebbe tutta un'altra cosa. Però se sono ancora vivo, lei tra 7 anni mi richiami e vedrà che avrò mantenuto la promessa di calare il sipario.
Cosa avrebbe fatto se non avesse fatto l'attore?
Non lo so. Neanche fare l'attore è stata una passione... io sono uno "s-passionato". Poi l'ho fatto, l'ho fatto bene (pare), ma vedo tante cose così cambiate...
Per esempio?
Non vedo quasi più la recitazione pura e ben pochi, tra l'altro, la sanno maneggiare. Non c'è più neanche il teatro di recitazione di una volta. L'attore è come il panda: una specie protetta in via d'estinzione. E come tutte le cose che non interessano più, vengono fatte oggetto di banchetti, vengono smembrate, mangiate... e buonanotte! Per gli attori non c'è più posto.
Appuntamento fissato il 27 maggio 2022...