L'intervista a una delle voci più amate del teatro italiano, Gabriele Lavia: "Provate a farvi dire dagli 'istitutori', ma anche da alcuni miei colleghi, che cos'è il teatro. Farete delle brutte scoperte..."
Quasi 80 anni, quasi tutti vissuti ‘nel’ e ‘con’ il teatro, tanto da chiedersi spesso se non si possa considerare anche lui ‘il’ teatro. Gabriele Lavia non ha bisogno di presentazioni, eppure in ogni dichiarazione o intervista che rilascia, come un abile prestigiatore tira fuori una novità dal suo cilindro e riesce a stupire.
Regista, sceneggiatore e attore, uomo colto, osannato e anche criticato, come è consueto che sia, non si sottrae alle gioie e ai dolori di questo mestiere; soprattutto, alla necessità che questo mestiere ti chiede di colmare, consapevolmente o meno. Nel suo caso è proprio il ‘caso’ a volerlo in scena con un testo impregnato di patimento e di sgambetti del Destino: Le favole di Oscar Wilde.
Una scelta premiata ad ogni replica, che arriva dopo tanto tempo di difficoltà nel settore dello spettacolo dal vivo (difficoltà vissuta tutt'ora) e che di fondo, in qualche maniera, affranca gli addetti ai lavori e l'autore stesso.
Eccoci qua, dopo 18 mesi di Pandemia. Cosa ci ha insegnato o avrebbe dovuto insegnarci questo lungo periodo di inattività teatrale?
Non so cosa ci ha insegnato, di sicuro non ci ha fatto lavorare per 18 mesi. Speriamo che si riesca a riprendere altrimenti ci dimentichiamo pure quelle poche cose che abbiamo acquisito nel tempo.
Nei mesi scorsi ha rilasciato diverse interviste nelle quali traspariva una certa sfiducia nelle istituzioni. Oggi questa sfiducia rimane oppure si è nel frattempo ricreduto?
Bisogna distinguere le istituzioni dalle istituzioni italiane, che sono un'altra cosa. Noi siamo incastrati in labirinti burocratici con le persone dell'istituzione, chiamiamole così, che non capiscono i problemi, la funzione, l'importanza culturale del teatro. Agli ‘istitutori’ (potremmo definirli così?) se lei chiede che cosa vuol dire teatro, non sanno dare una risposta. Ma guardi, dubito che lo sappiano anche molti miei colleghi. Lei provi a fare questo esperimento, si faccia dire che cos'è il teatro.
Mi ha incuriosita, lo farò.
E farà delle scoperte! Purtroppo brutte perché non sapere cos'è il teatro per chi è del mestiere, è grave.
Si è ripreso a lavorare, ma non vale per tutte le maestranze purtroppo. Come vede il settore in questo momento?
Sempre con la speranza: si spera di riuscire a ripartire con la nuova stagione, si spera nella diminuzione dei contagi, nel utilizzo del Green Pass. Si spera che tutti si vaccinino perché c'è uno zoccolo duro della popolazione che non lo fa e questo rallenta la ripresa di tutti.
Parliamo del suo spettacolo. Ha deciso di portare in scena le favole di Oscar Wilde. Come mai questa scelta?
La scelta è stata casuale, mi è capitato il libro tra le mani e ho trovato che fosse una buona idea lavorare alle favole, per quanto siano molto complesse. Di fondo denunciano la persecuzione di Oscar Wilde, mascherano la vita terribile, i lavori forzati che ha dovuto affrontare per il reato di sodomia, il dolore che ha costellato la sua esistenza.
La non accettazione della diversità lo ha reso esule, non riuscì più a trovare un luogo dove stare. Anche in Italia non fu ben accetto, Quando andò a Napoli ad esempio, Matilde Serao scrisse un articolo sul Mattino apostrofando Wilde come orrido sodomita. Solo in Sicilia fu ben accetto.
Quali sono i racconti del testo di Wilde che ha selezionato per la scena e perché?
La selezione è fatta a caso, porto in scena il libro con me e seleziono i racconti a discrezione di alcuni elementi. Inizio spesso con ‘Il principe felice’ perché è una favola che magari il pubblico non conosce nei contenuti ma ricorda il titolo. Poi posso proseguire con ‘Il ragguardevole razzo’ ad esempio. Decido in scena, osservo la platea, calcolo il tempo, quanto ne ho a disposizione. Una cosa è certa: il pubblico ama le favole, apprezza tantissimo l'intensità, la follia poetica di Wilde. La poesia vince sempre su tutto!
Andrà in scena a Taormina, una delle ultime mete di viaggio di Wilde. È una coincidenza?
Non so se è una coincidenza o una ‘necessità del caso’ come la definiva Diderot. È andata così, come si muovono le cose. Mi fa piacere andare a Taormina perché Wilde lì è stato accolto con affetto e questa ospitalità gli ha regalato quantomeno un po' di pace.
Da artista, se avesse una macchina del tempo, vorrebbe sbirciare nel passato o nel futuro dello spettacolo dal vivo?
Tornerei a qualche anno fa, quando ero più giovane.
Se dovesse smettere di lavorare domani…?
Non posso smettere di lavorare domani, devo pagare l'affitto!