Teatro

Giancarlo Sepe: "Il teatro dovrebbe entrare nell'insegnamento scolastico"

Giancarlo Sepe
Giancarlo Sepe © Filippo Manzini

Il teatro di ricerca, lo spazio e quello di cui il futuro del settore ha bisogno: Teatro.it ne parla con il regista e direttore campano

Timidamente, il teatro riprende a respirare. Anche se ancora c'è da percorrere molta strada prima di tornare alla normalità, in balia delle norme per contrastare il Covid 19, diverse sono le produzioni che stanno inaugurando questa nuova stagione teatrale. 

Di questa ripresa parliamo con il drammaturgo e regista Giancarlo Sepe, fondatore del Teatro La Comunità di Roma. Spettacoli, collaborazioni, laboratori e una festa in preparazione per celebrare mezzo secolo di attività del teatro romano, da sempre punto di riferimento capitolino per il teatro di ricerca.

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Ritorni a teatro con The Dubliners. Lo spettacolo ha assunto un nuovo senso alla luce di tutto quello che abbiamo vissuto questi mesi?
E’ facile pensarlo perché metto in scena un popolo governato dall’ inedia, dalla mancanza di volontà, il popolo irlandese. In qualche modo c’entra una malattia, una pandemia, quella che colpisce Joyce e lo induce a lasciare il paese.

Hai debuttato da qualche giorno quindi potrai dirmi le impressioni a caldo sul pubblico, come lo hai trovato?
Tieni presente che siamo alla Pergola, faccio teatro di ricerca e metto in scena gente di Dublino! Ogni pubblico è a sé come lo è uno spazio. La Pergola ha uno spazio, ad esempio, diverso rispetto a quello che ho avuto per due anni al Festival di Spoleto. Qui ho più possibilità anche se a Spoleto avevo a disposizione la chiesa di San Salvatore che è molto grande. Utilizzo tutto, oltre al palcoscenico anche la sala, ho allestito ad esempio un lungo tavolo irlandese pieno di fiori. Questo provoca altre sensazioni come è giusto che sia. D’altronde la ricerca è influenzata dallo spazio. E’ comunque un operazione particolare.

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Nei mesi di pandemia, sei stato molto attivo sui social, hai polemizzato e proposto soluzioni. Hai ottenuto dei risultati?
No. La mia protesta è stata sempre attenta e gentile ma ci sono delle incongruenze che ci toccano. Ad esempio, non ho potuto far partire un laboratorio perché c'erano delle pretese per il protocollo sicurezza che non mi consentivano di lavorare, tipo mantenere un certo distanziamento tra gli allievi è l'utilizzo delle mascherine. Ho protestato per la differenza di trattamento tra stadio e teatro, noi abbiamo restrizioni maggiori rispetto allo stadio, dove invece non è previsto l’uso delle mascherine, se penso che si urlano addosso! Questo è dovuto soltanto alla mancanza di potere del ‘fatto teatro’ anche se i dati SIAE dimostrano che il teatro incassa più degli stadi, a logica perché il teatro si fa tutti i giorni. Il settore è molto in soggezione, per quanto in fondo alla lista ci siano le discoteche. Ma abbiamo assistito anche all'iperbola del teatro paragonato alla discoteca.

Da Direttore del Teatro La Comunità di Roma, hai temuto una chiusura definitiva dello spazio?
Sì, negli anni sempre ma stiamo per raggiungere il cinquantesimo anno di attività e in testa a tutti abbiamo la radicalizzazione dello spazio, nato negli anni 70 come scuola romana e mai fermato nel tempo. La Comunità è un punto di riferimento per i giovani e spero si radicalizzi anche nel pensiero delle istituzioni quale spazio inteso come esempio di un tempo che non c'è più.

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Nei mesi di chiusura hai comunque proseguito con la formazione…
Sì, e devo ringraziare La Pergola che ha stabilito con la Comunità un rapporto triennale per co-produrre spettacoli. In modo implicito, questa collaborazione è un riconoscimento importante per la nostra sopravvivenza considerando che non abbiamo mai avuto sovvenzioni statali fino a una nostra richiesta fatta quest'anno. Ringrazio il Direttore, Marco Giorgetti che ha voluto questa collaborazione pluriennale affinché il lavoro del Teatro La Comunità sopravviva al tempo.

I tuoi colleghi si esprimono continuamente sull’inefficienza della politica nel gestire il settore spettacolo. Cosa vuoi aggiungere?
Sicuramente un aspetto trascurato, quello di poter avere nuovo pubblico proveniente dalle scuole. Il teatro dovrebbe entrare nell'insegnamento scolastico perché detta proprio delle regole di vita, educa alla vita per i contenuti che offre. Se pensiamo alla storia come materia, ci rendiamo conto che ci sono una serie di implicazioni che non vengono spiegate, al di là del fatto che la storia oggi non è una materia trattata come dovrebbe: ecco il teatro queste implicazioni invece le esprime con parole, con i personaggi rendendosi così una materia necessaria.

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Se avessi una sfera di cristallo, quale futuro vorresti vedere apparire?
Proseguo sul discorso appena fatto: c'è bisogno di un nuovo pubblico, che abbia nuove urgenze, richieste, sollecitazioni. Il teatro ricordiamo che è il rifugio dei poveri ed è necessario per soddisfare nuove esigenze.

Quali sono i tuoi prossimi impegni?
Sempre a Firenze, alla Pergola, porterò lo spettacolo Germania anni 20 e mi occuperò di un laboratorio sulla cultura americana che doveva partire nel periodo della pandemia dal titolo Officina Americana. Poi per i 50 anni del Teatro La Comunità voglio una grande festa e metterò in scena lo spettacolo Bazin -  Il silenzio è d'Oro, un omaggio al critico cinematografico francese fautore della Nouvelle Vague, colui che scoprì il cineasta Truffaut.