Incontriamo Gianfranco Jannuzzo, un attore che vive e respira teatro da tanti anni, attualmente in tournée in coppia con Barbara De Rossi con lo spettacolo “Il padre della sposa”.
Sfoggiando il suo elegante sorriso, Gianfranco Jannuzzo ci ha accolto in teatro per questa intervista, prima di andare in scena insieme a Barbara De Rossi con “Il padre della sposa”, commedia dalla quale sono stati tratte due celebri versioni cinematografiche: una diretta da Vincente Minnelli (1950) e il remake del 1991, con protagonista Steve Martin.
Sul tavolo del suo camerino sono sistemate con cura le foto di Gigi Proietti, Pietro Garinei e Gino Bramieri, che il mattatore siciliano chiama affettuosamente “i miei maestri”: “Loro mi hanno lasciato in eredità una ‘patente’ di credibilità da esibire ogni sera davanti al pubblico e ne sono molto orgoglioso”. E da quel momento, la chiacchierata diventa un delicato viaggio nella carriera dell'attore siciliano, tra aneddoti e ricordi.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Che significato ha tornare a teatro con un testo come “Il padre della sposa”, dopo quasi tre anni di stop forzati e incertezze?
La pandemia ha creato problemi enormi, sia sul piano economico, sia dal punto di vista della salute pubblica; al pubblico è venuta a mancare l’essenza stessa del teatro ovvero l’aggregazione in un luogo dove ridere, piangere e commuoversi insieme.
Anche noi attori molto spesso siamo pubblico, e abbiamo bisogno di vederci rappresentati. La scelta di portare sul palcoscenico Il padre della sposa è nata dalla rinnovata voglia di leggerezza, affrontando argomenti e problematiche derivanti dalle famiglie: in questo caso specifico, si racconta la disperazione (comica) di un padre, il quale non accetta che arrivi un estraneo a portargli via la propria figlia.
Nella vita di Gianfranco Jannuzzo, invece, c’è qualcuno verso il quale potenzialmente sente di poter assumere atteggiamenti simili a quelli del protagonista della commedia?
Purtroppo io non ho avuto figli, anche se mi sarebbe piaciuto averne. Però questa è una bella domanda, perché effettivamente, interpretando questo personaggio tutte le sere, vedo una delle mie sorelle. Io ho tre sorelle e un fratello. Due di loro sono nati dopo tanti anni, erano i “bambini” della famiglia, quindi, diventando adulto, ho vissuto specularmente le ansie e le preoccupazioni di mio padre nei loro confronti.
La tournée è appena iniziata, ma lo spettacolo sta piacendo molto.
Ho sempre pensato che più sono bravi gli attori che ti circondano più sei bravo tu, non è il contrario. Accanto a me c’è Barbara De Rossi, con la quale desideravamo lavorare insieme da tanto tempo, e con noi c’è una compagnia di attori eccezionali: ognuno nel suo ruolo è fantastico e sono tutti più bravi di me!
E poi c’è un elemento che io tengo sempre presente: a patto di fare le cose bene, il pubblico ti premia. Se io faccio Shakespeare, o Pirandello o una pochade come questa, risulto comunque credibile e di questo devo essere profondamente grato al pubblico.
Che tipo di approccio ha avuto Gianluca Guidi, per curarne la regia?
Noi tutti dobbiamo moltissimo a Gianluca Guidi, perché ha dato il sangue – e lo dico nel vero senso della parola, perché un giorno si è fatto male! – ed è un regista che ama molto i suoi attori, li protegge e li sa valorizzare. E' anche un musicista straordinario, le musiche dello spettacolo infatti sono sue. Conosce molto bene i movimenti delle luci, sa cose che io in 40 anni di carriera non mi sono neanche mai sognato di conoscere. Insomma, sa quello che vuole da artisti e tecnici.
Sta facendo ancora molto discutere la notizia dell’improvvisa chiusura a tempo indeterminato del Teatro Nuovo di Milano. Lei come ha reagito?
È stato proprio Gianluca Guidi a parlarne in conferenza stampa, al debutto milanese. La notizia mi ha ferito profondamente, perché io al Teatro Nuovo arrivai tanti anni fa con C’è un uomo in mezzo al mare, riempiendolo per una settimana. Quindi sono legato a quel teatro per motivi affettivi e professionali.
Il fatto che un teatro nel cuore di Milano chiuda, nel silenzio assoluto, mi ha sconvolto. Dovrebbe succedere la rivoluzione quando chiude un teatro. I teatri si aprono, non si chiudono per farli diventare garage o supermercati. Un teatro è un tempio, c’è questo rito meraviglioso di un sipario che si apre, il pubblico viene per vedere quell’attore o attrice.
In queste ore è mancato il regista Maurizio Scaparro: c’è qualche ricordo che vi lega?
I ricordi sono tanti e molto diversi tra di loro, ma in particolare, all’inizio della mia carriera, affittai un teatrino romano e invitai il mondo teatrale a vedermi: il regista Piero Maccarinelli mi segnala a Maurizio Scaparro, che stava cercando il ruolo dell’attor giovane per La Venexiana. Erano i primi anni Ottanta, quando il regista dirigeva il Teatro Argentina di Roma: affrontai il provino e Scaparro mi prese, dandomi un’occasione irripetibile: quella di recitare accanto a una strepitosa Valeria Moriconi. Fu l’unica volta in cui mi capitò di andare in tournée all’estero (Austria, Germania, Svizzera).
Nel frattempo, lei ha anche pubblicato un libro, intitolato “Gente mia”: di che cosa si tratta?
Con questo libro è successa una cosa molto simile all’esperienza vissuta con Girgenti amore mio, che invece era uno spettacolo teatrale, durante il quale mi sono sempre chiesto “cosa capirà uno spettatore triestino di Girgenti, che è la mia città?”.
In questo libro fotografico, di cui sono già state stampate 2000 copie, parlo del centro storico di Agrigento, la mia città. Ma ciascun lettore può ritrovarci la propria città, il successo del libro credo dipenda da questo.
Ci congediamo da Gianfranco Jannuzzo con la certezza di ritrovarlo al più presto, ancora una volta, sui palcoscenici di tutta Italia. E lui si concede ancora una riflessione: "Quante volte abbiamo già sentito parlare di crisi del teatro? Succede ciclicamente, ma grazie all'affetto del pubblico, noi attori siamo sempre qui".