Eclettico e gentiluomo. Potrebbe essere il titolo di uno spin-off del film con Richard Gere (ma stavolta senza l'ufficiale). Intervista all'attore siciliano che porta in tour "Lei è ricca, la sposo… e la ammazzo!", commedia che riprende il film del 1971 con Walter Matthau.
Lo avevo intervistato per la prima volta nel 2007. Una lunghissima chiacchierata, in cui avevamo parlato di Sicilia, di sua moglie e (ovviamente) di teatro, articolo in cui lo avevo definito “l’eclettico”. Era questa, infatti, l’impressione che mi aveva dato l’allora cinquantino Jannuzzo, mai pago di nuovi palcoscenici e di intrattenere il suo pubblico.
Qualche tempo dopo, ricevo una sua telefonata. Mi chiede il permesso di poter utilizzare parte dell’intervista come presentazione ufficiale del suo nuovo spettacolo. Nell’era della ruberia digitale in cui tutti se ne catafottono (per dirla alla siciliana), Jannuzzo è quindi un gentiluomo. Rivederlo, dopo tanto tempo, lo riconferma artista impeccabile: da come congeda il pubblico a fine spettacolo, a come accoglie col sorriso i fan in camerino, dalla disponibilità senza fretta nel fare un'intervista a mezzanotte, quando ha amici che lo aspettano a cena e ha, presumibilmente, molta fame. Anche questa volta parliamo di Sicilia, di sua moglie e (ovviamente) di teatro, ma riesce a essere eclettico ciò nonostante.
Uno spettacolo leggero, che intrattiene con garbo. Soddisfatto?
Sono felice, perché è davvero questo l’intento: fare una cosa leggera, che però se non viene fatta bene non funzionerebbe. E’ un lavoro nato per intrattenere il pubblico, in cui abbiamo messo qua e là alcuni richiami del cinema antico, con diversi momenti di tenerezza che non guastano mai, soprattutto per i romantici. Sono molto orgoglioso anche dei miei compagni di lavoro: andiamo tutti nella stessa direzione e ciò che conta è che riesco ad avere ancora quell’entusiasmo di quando ero ragazzo.
Il matrimonio è visto dal protagonista dello spettacolo come una gran seccatura. Nelle primissime battute citi anche tua moglie Ombretta. Come definiresti il tuo matrimonio, invece?
Il mio è una cosa speciale: dopo precedenti vicissitudini sentimentali, è stato fortemente voluto da entrambi, con una decisione più consapevole, matura. Nel nostro matrimonio si compensano tante cose, il mio temperamento vulcanico con la sua calma: Ombretta è l’emblema della femminilità che media. Mi ha cambiato la vita in positivo.
Un altro tema dello spettacolo è il vivere oltre le proprie possibilità, una tendenza molto comune oggi.
Attualissima, è vero. Noi italiani ci scordiamo sempre le cose, ma la crisi ci ha messo davanti all’evidenza: abbiamo speso soldi inutili, non ci siamo resi conti della differenza lira-euro, abbiamo perso la testa, il senso della misura. E quando abbiamo capito, abbiamo cercato di ridare valore ai soldi.
C’è qualcosa a cui non riesci a rinunciare?
Fare i regali di Natale ai miei fratelli e ai genitori per me è una cosa sacra: sono poche centinaia di euro, ma che li abbia o non li abbia, li devo fare. Mi sono dato un piccolo standard, e cerco di rispettarlo: la vacanza estiva con mia moglie, per esempio, che lavora tutto l’anno, è imprescindibile. Poi non rinuncio ai principi di vita ed esistenza e anche se qualche volta intorno a me c’è qualche cialtrone, io fingo indifferenza e do il mio esempio. Forse sono presuntuoso, ma è uno stile mio, che mi piace imporre con delicatezza.
Ma i soldi fanno la felicità?
No, ma la imitano molto bene! (Ride). Sarebbe ipocrita dire che non aiutano a stare meglio: il denaro ci fa avere le spalle coperte. Anche nelle scelte del mio lavoro, se uno ha quel minimo per di poter dire no (e qualche volta vuoi o devi dirlo!), il denaro ti aiuta a non fare le cose alla carlona, come dicono a Milano.
E la tua amata Sicilia? Sei riuscito a infilarla anche in questo spettacolo...
E’ vero! L’ho messa anche qua, che non c’entra niente! Ma è grazie al rapporto col pubblico che posso prendermi queste piccole deroghe, infilando pezzi di Sicilia che esulano dal testo. Il pubblico lo sa e in fondo se lo aspetta…e me lo fa fare!
Questo del rapporto col pubblico è un aspetto interessante. L’affetto reciproco è costantemente palpabile, è come essere sempre innamorati. Cosa vuol dire per te essere gentiluomini a teatro?
Ti prego di credermi, se fosse un atteggiamento sarebbe una cosa che non piacerebbe affatto. E’ invece connaturato per due motivi: i miei genitori mi hanno insegnato soprattutto il rispetto per gli altri e grazie ai miei due maestri, Proietti e Bramieri, l’ho imparato anche sul campo. Bramieri aveva una venerazione per il pubblico: “Chi viene in camerino fa un gesto di grande umiltà. Tu non puoi dire che non hai voglia o fare il divo” mi spiegava. Essere normali e gentili fa sì che il pubblico ti ringrazi, ti dica ciò che pensa e ti continui ad amare. Chi viene a vedere un tuo spettacolo fa una fatica tremenda: il parcheggio, il costo della prevendita, il costo del biglietto...è una scelta di vita, venire a teatro! Devi avere rispetto del pubblico, perché può anche osannarti, ma se lo deludi poi l’hai perso per sempre. Bisogna sempre mettercela tutta e avere buona fede. Questo per me è essere gentiluomini.