Teatro

Giochiamo ai pupazzi?

Giochiamo ai pupazzi?

Le marionette della  Carlo Colla e figli non necessitano di presentazioni  speciali.  Malgrado la veneranda età, queste continuano a esercitare il loro fascino sul pubblico grande e piccino di qualsiasi nazione dove la compagnia le porti.  Oggi però, la questione di “facciata” non mi riguarda.  Io entro dall’ingresso di servizio del Piccolo Teatro Grassi non tanto per assistere a “La tempesta” quanto per conoscere il “il lato nascosto della medaglia”. Per vedere per la prima volta come prendono vita i pupazzi nelle mani di coloro che anche da adulti continuano a giocare con loro.

Fattore puparo

Lo spettacolo che vado a vedere da dietro le quinte, “La tempesta”, ha una lunga storia. Questa versione di una delle ultime e, forse, delle più poetiche opere del Bardo tradotta in napoletano del '600 da Eduardo De Filippo, fu presentata dalla compagnia per la prima volta nel lontano 1985 alla Biennale di Venezia, rimase in scena fino al ’91, facendo parte di varie tournée in Italia e anche all’estero, quindi, per ragioni di repertorio, fu messa “a riposo”. Il desiderio di riprenderla è nato quest’anno in occasione del trentennio dalla scomparsa del grande Eduardo.
Mancano pochi minuti all’inizio della rappresentazione, ma dietro le quinte tutto sembra essere ancora nel pieno dei preparativi: qualcuno sposta e riappende le marionette, qualcuno controlla i fili, qualcuno il corretto arrotolamento del telo scenografico dipinto a mano. Probabilmente c’è stato qualche problema tecnico,  penso. Qui, a differenza del teatro drammatico, gioca non solo il fattore umano, ma anche quello “puparo”. “No, è tutto sotto controllo” risponde con tranquillità la marionettista Sheila Perego. “In pochi minuti sarà tutto a posto. Dopo lo spettacolo di ieri, stiamo rimettendo le marionette nell’ordine in cui devono apparire”. “Quanto tempo prima dovete arrivare per sistemare tutto?”  faccio un’altra domanda. “Di solito un ora ci basta”.
La compagnia Colla usa le marionette tradizionali. Cioè quelle guidate dall’alto. Quanto è difficile? “Tanto quanto suonare uno strumento a corde»  afferma Eugenio Monti, il direttore artistico della compagnia, nonché l’erede diretto della famiglia Colla. Come in musica, il successo nel riuscire a trasmettere alla marionetta certi sentimenti ed emozioni sta nella sensibilità di chi la guida. E, in alcuni casi, anche nel buon sincronismo con i colleghi. Per eseguire alcuni trucchi particolarmente complessi i fili della stessa marionetta possono essere “solleticati” – secondo le parole di Eugenio Monti Colla – da più di una persona contemporaneamente. Per Calibano, per esempio, che muove non solo le gambe e le braccia, ma anche gli occhi e la bocca, in alcune scene servono ben tre attori contemporaneamente. 

Dieci attori per cento marionette 

Sotto il ponte delle manovre – una struttura molto simile a un’impalcatura edile – vedo un piccolo martello, chiodi e delle tronchesi. Non mi stupisco, sapendo già che il marionettista, in tutti gli effetti, è una persona “tuttofare”.  In realtà di ponti ce ne sono due. Servono per creare una maggior prospettiva. Le marionette sono appese con lunghi fili alle traverse che collegano i “ponteggi”. Sono i guai seri se i fili si ingarbugliano! Per prenderle dall’alto basta tendere la mano. Per farlo dal basso invece ci vogliono dei bastoni con dei ganci tipo quelli usati per gli armadi “quattro stagioni”. 
“E se una marionetta dovesse rompersi? Cosa succede? Avete delle controfigure?” chiedo al veterano della compagnia Maria Grazia Citterio. “No, non ne abbiamo. E poi è davvero difficile che una marionetta si rompa durante lo spettacolo” mi risponde. “Le trattiamo con estrema delicatezza. I fili, quelli sì che si spezzano abbastanza di frequente”. ”E allora cosa fate?” non mollo. “Lo stesso che  farebbe un violinista se gli spezzasse una corda: suonerebbe su quelle rimaste  cercando di far sì che lo spettatore non si accorga di nulla”.
Qualcuno fa il segnale.  “La tempesta” sta per cominciare! Come i marinai di una nave tutti si affrettano a raggiungere ognuno la propria postazione risalendo di corsa le scalette che portano sul ponte delle manovre.
La luce si spegne. Si sentono i primi soavi accordi scritti da Antonio Sinagra appositamente per lo spettacolo. Io prendo il mio posto dietro le quinte e con curiosità inizio a seguire lo straordinario spettacolo che nessun’altro comune spettatore potrà mai vedere. Pur non capendo praticamente nulla in napoletano –figuriamoci in quello del ‘600! - mi fa lo stesso un certo effetto sentire la voce calda di Eduardo de Filippo. Osservo gli attori e mi accorgo che alcuni di loro muovono le labbra ripetendo le parti dei loro personaggi registrate in playback. E non solo le ripetono, le interpretano! Quindi la regola di Stanislavskij vale anche per il teatro della figura. Saper trasformarsi, immedesimarsi, credere di essere quel che reciti – Prospero, Miranda, una ninfa o un semplice asino – è prerogativa non solo degli attori drammatici, ma anche di quelli la cui presenza in scena si percepisce solo in modo indiretto.

Come un buon formicaio

La vita dietro le quinte ribolle a tutto spiano. E’ incredibile: sul palco si spostano una grande quantità di gente e di cose, ma il parapiglia  non c’è.  Sembra di assistere al funzionamento di un ben collaudato meccanismo: in salopette blu e scarpe antinfortunistiche  – non obbligatorie, tuttavia consigliate per le norme di sicurezza  –  scambiandosi silenziosamente dei cenni come unità dei corpi speciali,  gli attori salgono o scendono le scalette, portano via le marionette, le riportano indietro, aggirando il fondale. A qualche segnale invisibile qualcuno comincia a ruotare la manopola facendo scorrere il telo e, improvvisamente,  la cupa caverna lascia il posto a un luminoso paesaggio boschivo popolato da spiriti e ninfe.
Da spettatore è praticamente impossibile indovinare quanti marionettisti stanno sopra a una marionetta. Se la scena è più o meno statica, cioè quando il personaggio parla soltanto, è quasi certo che si tratti di una persona sola. Diverso è quando questi deve compiere qualche azione particolare. Un gruppo di attori che lavora simultaneamente con la stessa marionetta suscita davvero ammirazione. Le loro mani, viste dal basso, sembrano i tentacoli di una piovra che si muovono lungo il parapetto del ponte delle manovre. Durante questo processo creativo è possibile prendere una gomitata dal collega o pestargli un piede. Nel corso della rappresentazione, io di queste scene non ne ho viste. Durante le prove, soprattutto quelle iniziali, penso che tali incidenti siano pressappoco inevitabili.
Involontariamente viene da paragonare questo brulicare anche all’attività di un formicaio. Anche là tutti portano qualcosa  muovendosi apparentemente senza alcun’ordine. Ma, alla fine, funziona tutto. Il teatro delle marionette è come un buon formicaio.   

Un lavoro duro… ma divertente

Durante l’intervallo, mentre qualcuno spazza con la scopa il palco e un altro sostituisce in fretta un filo rotto a una marionetta,  mi avvicino di nuovo a Maria Grazia Citterio per chiederle se, dopo anni, questo lavoro la diverte ancora. «C’è tanta tensione durante le prime repliche. Superate queste, allora sì che ci si comincia a divertire.  In generale,  è molto bello tutto il processo di preparazione dello spettacolo: dalla stesura del copione alla preparazione dei bozzetti, dalla realizzazione delle marionette e dei costumi, alla messinscena finale. Sicuramente non c’è tempo per annoiarsi».
«Non le dispiace di non poter recitare dal vivo? Ho visto come ripeteva le battute del suo personaggio mentre lo guidava» lo chiedo a Giovanni Schiavolin che qui “interpreta” Prospero.
«No, tuttavia ripetere le battute mi aiuta a sincronizzare le parole con i movimenti per renderli più naturali,  più espressivi».
«Tenga presente» aggiunge Maria Grazia Citterio «che, proprio perché noi qui lavoriamo in playback, la ripartizione dei ruoli spesso avviene non in base alle caratteristiche degli attori, come in un teatro drammatico, ma a seconda della disponibilità delle persone sul ponte in un determinato momento del quadro. Così, durante lo stesso spettacolo io posso essere sia Miranda, sia Trinculo, sia un asino».
E di nuovo si sente il richiamo all’ordine. Per un istante la luce si spegne, lo sipario si apre e i tempestosi eventi sull’isola shakespeariana riprendono la loro corsa portando i personaggi verso “the romantic end”.
Finiti gli applausi e gli inchini finali, le marionette, ormai immobili, riprendono i loro posti sulle traverse dei ponti fino alla prossima “resurrezione”.  I teli della scenografia si arrotolano. Gli attori, tutti con l’aria spossata, si dirigono verso i camerini e si preparano per andare a casa. Approfitto per fare l’ultima domanda a Maria Grazia: «E’ faticoso giocare ai pupazzi da grandi?»
Scopro allora che, divertimento a parte, la vita di un marionettista non è proprio tutta “rose e fiori”. A cominciare, per esempio, dal cronico mal di schiena. Oppure alla sindrome del tunnel carpale, un’altra malattia professionale dovuta all’eccessivo sforzo delle articolazioni. Pensate che una marionetta pesa mediamente tre chili, lo spettacolo dura circa un’ora e mezza, aggiungete le ore delle prove e moltiplicate tutto per il numero di spettacoli. Quindi provate a immaginare quanto tempo il marionettista dovrà trascorrere in posizione piegata in due sul parapetto del ponte con il braccio teso prima di arrivare alla pensione. 
E’ tutto così triste allora? Certamente no. Perché quella del marionettista non è una professione, ma è uno stato d’animo. Il marionettista è attore, scultore e anche inventore. Nella Carlo Colla e figli di inventori così attualmente ce ne sono dieci. Di veri protagonisti degli spettacoli, invece, ce ne sono più di duemila. Ma quelli, purtroppo, non rilasciano le interviste. Da vere star si fanno ammirare solamente. Alcuni, pensate, hanno più di duecento anni e oggi sono in meritato  riposo. Potrebbero essere dei preziosi pezzi da esposizione per un museo. Se ce ne fosse uno. Per ora stanno accatastate nel magazzino della compagnia in via Montegani assieme a oggetti di scena, scenografie, copioni e documenti storici.
Insomma, anche se non è stato possibile svelare tutti i misteri di Mangiafuoco, sicuramente valeva la pena salire dietro le quinte, se non altro, per avere la conferma che il mondo delle marionette è molto più complicato di quanto sembri.  Scoprirlo durante lo spettacolo, da semplice spettatore, è praticamente impossibile. Ma è giusto così, fa parte del mestiere.
 

p.s. Da poco si è saputo che la Carlo Colla e figli risulta tra i vincitori della 23^ edizione del Premio Hystrio 2013. A tutta la compagnia i migliori auguri da parte della redazione di Teatro.org!