L'attore e regista affronta la sfida della direzione artistica di un Teatro stabile: i giovani, le realtà locali e la riapertura del Teatro dell’Aquila sono alcuni dei temi dell'intervista rilasciata a Teatro.it
In questo momento così delicato per il settore, il compito di guidare il Teatro Stabile d’Abruzzo è stato affidato a Giorgio Pasotti, volto televisivo amato dal pubblico. Con determinazione e concretezza, Pasotti ha raccontato a Teatro.it i suoi obiettivi.
La sfida di innovare, senza cadere in quegli errori che nel passato hanno lasciato il teatro in un limbo costante, sembra sia stata accettata con la consapevolezza di non volersi far sfuggire un’occasione.
Ti ha sorpreso la nomina di direttore artistico al Teatro Stabile d’Abruzzo?
Da un lato, si ma dall'altro anche no. È un trend attuale quello di chiamare attori per ricoprire questo ruolo, ho tanti amici e colleghi che sono o sono stati direttori artistici in altre realtà, come Stefano Accorsi (attuale direttore Teatro della Toscana, ndr) e Alessandro Preziosi (direttore dell'Stabile d'Abruzzo nel 2011, ndr), e tanti altri hanno assunto in passato questa carica.
Questa tendenza a rivolgersi ad attori che hanno raggiunto la popolarità credo che sia un'idea giusta, un'idea che proietta al futuro. E’ necessario recuperare pubblico di giovani che non vanno a teatro. E’ naturale pensare quindi ad artisti che hanno una carriera trasversale, a chi in qualche modo è abituato ad essere manager di sé stesso. Può essere un valido supporto per il teatro che oggi si trova in una situazione polverosa e poco incline al cambiamento.
Da attore a direttore, puoi tracciare un breve percorso artistico evidenziando le tappe più importanti?
Diciamo che sono sempre stato mosso dalla passione. Vengo dal mondo sportivo, ero un atleta agonista. Nel mondo dello spettacolo ci sono capitato per caso. Come diceva John Lennon "la vita è quella cosa che ti accade mentre sei impegnato in altri progetti". Io ero in Cina per studiare la medicina tradizionale e mi sono imbattuto per caso nel cinema orientale. Tornato in Italia, a 24 o 25 anni nemmeno ricordo, ho iniziato a lavorare con Luchetti. Il film era I piccoli maestri, accanto a me c'era Accorsi, eravamo acerbi. E’ stato un film importante, mi ha riportato alla memoria la storia di uno zio da parte di mio padre che morì fucilato durante la seconda Guerra Mondiale. Da lì non mi sono più fermato. Ho lavorato con Muccino, Davide Ferrario e Monicelli.
Una grande soddisfazione immagino...
Assolutamente. Ho avuto la soddisfazione dell'Oscar per il film La Grande Bellezza, anche se come molti altri attori avevo un ruolo piccolo. La popolarità l'ho avuta per un ruolo in Distretto di Polizia, ma non dimentichiamo anche un film che ha fatto storia, con tanti attori emergenti che è L'ultimo bacio. Ho anche diretto due film. Non ho studi accademici alle spalle, ho studiato da autodidatta, con molta tenacia, rigore e questo lo devo alla mia mentalità sportiva. Insomma sono alla ricerca costante di qualcosa che mi appassioni. Oggi è questo, magari tra un po’ potrei provare maggior piacere nel potare gli alberi e quella passione potrebbe farmi cambiare strada.
I problemi che ha fatto emergere la pandemia sono legati soltanto al momento, oppure possiamo considerarli storici?
Indubbiamente storici. La pandemia è una cassa di risonanza per problemi che ci sono sempre stati ma che ora sono diventati diciamo pubblici, più popolari. In questo periodo è nata l'Associazione UNITA di cui sono socio fondatore e conta oltre 1000 iscritti proprio per cercare di regolarizzare alcune situazioni. mai affrontate. Gli attori non hanno tutele, non c'è uno statuto, non ci sono ammortizzatori. E’ una realtà atavica in cui si cerca di rendere più compatta. Ecco, la pandemia credo sia un'occasione da non sprecare per rivendicare alcuni diritti. Non abbiamo tutele, al contrario di paesi come la Francia dove un artista percepisce uno stipendio mensile di 1.300 € indipendentemente dalle giornate lavorative, semplicemente in quanto professionista.
Qual è il focus primario di un teatro pubblico, quindi quale sarà il tuo come direttore?
Io ho definito due linee di lavoro. Sono due binari distinti che camminano però paralleli. Una riguarda la realtà locale: ho dato vita infatti all'Arte non si ferma, un progetto mirato al sostegno delle piccole compagnie abruzzesi. Mi arrivano quotidianamente tantissime email di persone che non riescono a tirare fuori il pranzo per i loro figli, quindi sostenerli è una priorità e un dovere come ente pubblico. Voglio dare sostegno alle drammaturgie. Due emittenti locali, sia della costiera abruzzese che della parte più interna saranno a disposizione del TSA. Insieme ad un service che ci supporta, il tutto specifico in modo gratuito, in location scelte, filmeranno gli spettacoli di 20 compagnie, ma forse saranno anche di più. Il tutto avverrà in totale sicurezza. Gli spettacoli ripresi faranno parte dei palinsesti di seconda serata su queste emittenti televisive. Non voglio solo pensare al sostegno economico ma anche all'artista, al suo ruolo è l'importanza di poter lavorare con dignità.
Poi c'è l'altra linea di lavoro, che è nazionale. Ad essere sincero, devo ancora dar vita a un programma che non ho ancora chiuso proprio per questa situazione ancora in essere. Sicuramente saranno scelti spettacoli che prevedono un massimo di 4 persone, per lo più monologhi, ma soprattutto che siano spettacoli molto facili da gestire proprio da un punto di vista fisico, come gli spostamenti. Ho pensato a grandi nomi che possano fare da traino con la loro popolarità per portare il pubblico a teatro. In questo caso mi rivolgo a conoscenze e amici che abbiano a disposizione progetti esportabili.
Quali sono gli aspetti che i produttori di spettacoli (sia pubblici che privati) non possono non considerare?
Sicuramente la distribuzione, che è anche un problema antico. Il prodotto non distribuito non serve a niente. Ho un occhio anche per le sperimentazioni però che siano sempre legate alla possibilità di vendita. È necessario recuperare quella fetta di pubblico che a teatro non va o non peggio ancora non ci va più.
Quali vantaggi e quali svantaggi comporta il legame più stretto con la politica?
Non ho mai avuto pressioni politiche nella mia carriera e non mi sono mai allineato con questo o quel partito. Il CDA nei miei confronti è molto aperto e collaborativo e se hanno chiamato me credo sia anche per questa neutralità. La scelta di accettare l'incarico non è una scelta economica, anzi, ho dovuto considerare il fatto di togliere tempo alla famiglia. Però veramente spero che si possa cambiare la situazione. Mi piacerebbe ricostruire il Teatro Comunale dell'Aquila. Dal terremoto sono passati 11 anni e spero di restituire alla comunità ,ma non solo al paese intero, un teatro meraviglioso.
Cosa ne pensi degli interventi economici del governo al settore spettacolo dal vivo in questo periodo?
C'è ancora da dialogare perché la posizione non è molto chiara. I produttori ad esempio sono svantaggiati da queste restrizioni (Teatro.it ne ha parlato in questo articolo, ndr), abbiamo parlato e mi auguro che non vengano fatti tagli alla cultura così come preannunciati. Abbiamo necessità di ristori pensati e non mirati o a pioggia, bisogna ripensare ai fondi affinché siano distribuiti in maniera equilibrata.
Scegliere di fare l'attore oggi. Al di là della vocazione, in un settore che già prima della pandemia non aiutava i giovani, lo consiglieresti?
No, perché è difficile sopravvivere con questo mestiere. Se lo chiedesse un mio amico per suo figlio, consiglierei di trovare un lavoro e poi pensare a fare l'attore come hobby.
Cosa pensi della Netflix della cultura proposta dal ministro?
Oggi credo che bisogna sfruttare tutte le opportunità, anche quella che può offrire una piattaforma per il teatro come una Netflix. Il teatro ha una caratteristica sicuramente più importante delle altre: la performance live non passerà mai di moda, lo scambio energetico tra attore e pubblico viene vissuto fisicamente, è un rapporto insostituibile. Per questo credo che il teatro sia privilegiato.
È più facile che accada per il cinema, le piattaforme offrono lo stesso servizio a costi molto più contenuti, è più in linea con una sorta di impigrimento del pubblico. Se utilizzata in questo modo come supporto, il teatro non può che beneficiarne.