Teatro

Giovanni Franci: l’orrore a teatro per comprendere “l’effetto che fa”

Giovanni Franci
Giovanni Franci

E' la pièce teatrale più discussa del momento, ispirata a uno dei delitti più efferati che abbia sconvolto l'Italia negli ultimi anni: quello del giovane Luca Varani.

Sta già facendo discutere, prima ancora del debutto, la pièce teatrale ispirata al “caso Varani”, un atroce delitto avvenuto a Roma l'anno scorso a opera di due trentenni. Il titolo dello spettacolo, “L’effetto che fa”, corrisponde alla risposta che Manuel Foffo e Marco Prato (successivamente morto suicida in carcere) hanno dato agli inquirenti quando è stato loro chiesto perché avessero torturato e ucciso il giovane Luca Varani, in un appartamento romano del Collatino nella notte tra il 3 e il 4 marzo 2016.

Nel tentativo di "aggirare" la spinosa questione della spettacolarizzazione di recenti fatti di cronaca, Teatro.it ha chiesto a Giovanni Franci, regista e autore trentenne della pièce, quale percorso ha intrapreso nel momento in cui ha deciso di raccontare questa storia.


Dal punto di vista drammaturgico, quale aspetto di avvicina di più al fatto di cronaca in sé?
Fin da subito mi ha molto infastidito l’approccio di gran parte del mondo dell’informazione (soprattutto televisiva), improntato sui risvolti morbosi della vicenda: si è sempre insistito molto su argomenti quali sesso, droga, festini gay, addirittura prostituzione. Io invece penso che le domande da porsi fossero altre e mi sono chiesto cosa avessi in comune con Manuel e Marco.
Entrambi sono nati e cresciuti a Roma, come me. Fanno parte della mia stessa generazione (trentenni con senso di vuoto e vuoti di senso). Sono di buona famiglia. Hanno ricevuto una buona educazione e una buona istruzione. Sono cresciuti in un ambiente più o meno cattolico, democratico, perbene. Insomma, ho decisamente molte cose in comune con loro.

“Volevamo vedere l’effetto che fa”: cosa ha suscitato in te questa affermazione da parte dei due assassini?”
Secondo me ha reso evidente il narcisismo e la smania di vivere tutto all’eccesso e in maniera nevrotica. Così, un omicidio “per vedere l’effetto che fa”, può essere paragonato a uno stupefacente, ma non c’è nessuna droga totalmente appagante, così come non è appagante un assassinio. Si tratta di una sorta di “orgasmo” irraggiungibile. Costruendo la regia dello spettacolo, sto gradualmente cercando di comprendere il significato di questa affermazione, che ho voluto come titolo del testo.

Lo scalpore destato da questo progetto sta mantenendo vivace il dibattito sulla spettacolarizzazione delle informazione. Qual è la tua opinione sull’argomento?
Intanto, vorrei precisare che lo scalpore nell’opinione pubblica si è generato perché la conferenza stampa di presentazione dell’Off/Off Theatre si è tenuta due giorni dopo il suicidio di Marco Prato.
In secondo luogo, i mezzi d’informazione hanno affrontato l’intera vicenda in maniera morbosa, mentre nella mia messa in scena non c’è assolutamente nulla di morboso. Ritengo urgentissimo parlarne, forse per scongiurare il pericolo che questa cosa possa di nuovo succedere da un momento all’altro. Mi spaventa di più il desiderio della gente di non parlarne e di archiviare al più presto la questione come un “festino gay”.

Hai pensato questo spettacolo come prodotto adatto a girare in tournée?
Sì, soprattutto mi piacerebbe portarlo fuori dall’Italia. E sarebbe la prima volta per un mio lavoro.