I Giocatori approda al Piccolo Teatro Studio e vi rimane fino al 27 maggio con un debutto nazionale che lo celebra soltanto nel presente allestimento. Paolo Rossi è non solo interprete e regista ma anche elaboratore della drammaturgia, con tre abili amici, di un romanzo scritto in pieno Ottocento da Fedor Dostoevskij, I Giocatori. Come è potuto accadere? Si è forse dissepolto un testo comico del drammatico autore russo? O Paolino Rossi ha buttato alle ortiche la sua vérve comica? Nulla di tutto ciò: semplicemente il nostro piccolo eroe ha voluto ispirarsi liberamente all’autore russo per raccontare i problemi di tanti individui alle prese con il vizio del gioco, come anche dei lavoratori precari e di quella società che sfrutta i deboli attraverso il ricatto del vil danaro. Lo spettacolo, applauditissimo, è stato apprezzato da un pubblico divertito e compiaciuto per aver assistito a un esercizio di intelligenza teatrale. Alla fine, Paolo accetta con grande cortesia di rispondermi. Lo trovo smagrito e molto più in forma di qualche tempo fa. I suoi celebri occhioni azzurri spiccano sul volto tondo e furbetto, ora ingentilito dai capelli folti e grigi.
Quanto avete lavorato su questo spettacolo, considerando che siete in tantissimi, credo circa una quindicina di attori in scena, oltre ai tecnici?
Noi abbiamo fatto un laboratorio lo scorso giugno e abbiamo lavorato un mese, però improvvisando tutto. Stavamo preparando uno studio da portare a Trieste per il Mittelfest (che si è svolto a Cividale del Friuli in estate, ndr). Dopodichè abbiamo fatto altre improvvisazioni a gennaio, un incontro di sei giorni. Infine abbiamo lavorato le canoniche tre settimane, su questo tema.
Come mai avete scelto di usare un testo di Dostoevskij?
Ma era il minimo, per chiedere qualcosa da fare con il contesto del mitteleuropeo. Poi a me questo testo è sempre piaciuto ma bisognava poter avere tanta gente in scena e ci voleva un minimo di possibilità. Qui siamo stati sostenuti (dalla produzione Agidi MittelFest 2006, in collaborazione con Bonawentura Teatro Miela, il Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa e il Casinò di Venezia, ndr). Bisogna contestualizzare i fatti in un insieme di situazioni.
Ti riferisci alla possibilità pratica di realizzare uno spettacolo così complesso?
Certo, e che altrimenti non avrei mai potuto fare. Anzi, già così credo che alla fine ci rimetterò…
Non farete un tour con questa compagnia?
No. Non è possibile! Vedi, lo Stato non mi riconosce alcuna sovvenzione perché dice che non faccio teatro, ma cabaret. Quindi… Va bene così.
Non credo tu abbia visto lo spettacolo 'Happy Family' di Alessandro Genovesi, che ha un tema totalmente diverso dal tuo ma molti personaggi tuoi, come suoi, interrompono lo spettacolo per fare richieste al regista per poi rientrare nella parte, come fai tu stesso, a piacimento. Credi che sia un momento di fili mentali che si collegano?
Beh, se è per questo, anche Pirandello aveva scritto roba simile! Però è vero, ci sono storie che stanno nell’aria, quelle buone in particolare. Non è affatto un caso se nascono spettacoli che trattano argomenti o modi di esprimersi che si trovano in altri. Io l’ho già visto e fatto, anche in passato.
Ricordando i tempi in cui hai lavorato col tendone da circo itinerante, hai nostalgia di quei tempi? Lo rifaresti?
Sono tempi passati. Siamo cresciuti tutti: io, loro. E’ stata un’epoca passata.
Significa che ora ti dedicherai al teatro d’autore, dopo Moliére o Shakespeare in versione comica?
Qui cambio, c’è una novità rispetto al mio passato. Perché c’è una storia, a differenza di tutti gli altri miei spettacoli: prima c’era un percorso, come nel Kowalski oppure quadri, come ne ‘L’Impero del Male’ o un canovaccio, come in Moliére. Qui c’è una storia: col suo inizio, lo svolgimento e, dopo 10 o 15 minuti, la gente cerca di capire qual è il codice. Riconosce i personaggi e si affeziona alla storia, che ha attinenza enorme con altre problematiche sociali. Ha molto a che fare con l’azzardo del mestiere. Ogni tanto faccio uno spettacolo sul mestiere.
Stai già pensando a qualcosa per il futuro?
No. Farò qualcosa d’estate, da solo. Saranno degli happenings. Sono quelle cose fatte in stagione estiva che poi ti permettono di fare queste cose qui, dopo.
Hai progetti con la TV?
Ma... Adesso finisco ‘Che tempo che fa’ con Fazio. No, ma perché con la TV non sai a chi chiedere. A me piacerebbe fare del teatro in televisione, penso che abbiamo fatto delle buone declinazioni, in maniera non tradizionale ma popolare. Però non so a chi chiedere. Andare in TV è come andare a parlare in un sommergibile russo abbandonato.
Come vivi la tua vita privata?
In modo problematico. Un attore ha due case, sempre e comunque: una in teatro e l’altra in famiglia. E questo non è facile, dal momento in cui gli attori si sono mischiati con gli umani. Perché, per sopravvivenza, in teatro la famiglia allargata esiste da Moliére in giù, credo. Da quando ci siamo mischiati, è difficile trovare una vita privata equilibrata.
Tu ci proveresti?
Eh, io ne ho fatti tre, di tentativi di famiglia.
Volevo dire, a rinunciare al teatro?
No, no! Chiunque si avvicini a me deve sapere che il teatro non si tocca.
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