Teatro

I tanti sogni di Giangilberto Monti

I tanti sogni di Giangilberto Monti

Dal 30 ottobre all'11 novembre ritorna a teatro Giangilberto Monti, uno chansonnier un po' esclusivo che da decenni si offre col contagocce, estraendo come da un cilindro spettacoli che stupiscono quasi prima ancora di piacere, come nel vedere i coniglietti usciti dal cappello. Al Teatro Arsenale, che lo ospita per la prima volta, presenta Un po' di piombo (Ce n'est qu'un debut), con la regia di Annig Raimondi. Monti sale sul palcoscenico a raccontare che dal 1964 al 1975 lui c'era, quando la storia d'amore e di politica tra Renato Curcio e Mara Cagol finì su tutti i giornali, quando le Brigate Rosse cambiarono il nostro mondo. Perché parlarne adesso? "Ne parlo adesso perché ho voluto fare una riflessione su un periodo e su questi 30 anni che ci dividono dall'epoca degli anni '70. Porto a teatro una storia, ma ho anche voglia di raccontare una generazione". Non ti sei lasciato trascinare dal fatto che un po' tutti parlano degli anni '70? "Quanto organizzato dal Comune di Milano è stato puro intrattenimento, secondo me. Come si era fatto con 'i mitici anni '60, i magnifici anni '70, i fantastici anni '80'... Io volevo capire l'utopia, il sogno di una generazione e da dove era iniziato il tutto. La partenza avvenne tra il 1962 e il 1969 e gli anni '70 sono stati la conseguenza di tutto quanto successe prima. Oggi di quei tempi è rimasto il puro folclore, si citano i morti e i feriti ma non si parla della guerra civile degli anni '70". Spiega meglio cosa intendi. "Ci fu una guerra civile tra due parti, che ha causato 455 morti e 4.529 feriti su ambo le parti. Parlare di questo argomento oggi significa toccare corde difficili, si parla di persone ancora vive, che stanno in galera con alle spalle 6 ergastoli o di parenti delle vittime, che ancora soffrono drammi indescrivibili. Da ambo le parti". Tu come racconti tutte queste cose? Io cerco di farlo attraverso una documentazione ma anche da artista. Sono un cantautore e ho vissuto quel periodo. Il primo testo da me scritto venne pubblicato nel 1977 e si intitolava 'Ordine Pubblico?'. Avevo delle frequentazioni, un passato di politica fin da ragazzino, come quasi tutti a quei tempi. Inoltre uso il gioco teatrale che vuole temi forti e pretesti seri, per esistere. A me ha colpito e affascinato quella storia d'amore". Non ci sono solo ricordi, ti sarai documentato, vero? "Ho lavorato tantissimo per la ricerca storica, perché volevo raccontare i motivi e le radici proprio come fanno gli storici. Sono fatti accaduti 40 anni fa e io li presento a modo mio, con le canzoni e il teatro. Se fossi stato un sociologo avrei scritto un trattato, suppongo". Ma perché rimestare in una faccenda che sembra dimenticata, di cui nessuno parla? "Secondo me bisogna proprio andare a vedere le cose di cui non si parla. Tutte le cose di cui non si parla significa che 'devono' essere dimenticate e io, se avessi una figlia, che non ho, penso mi chiederebbe cosa è successo. Non risponderei e lei andrebbe a vedere su Google. Ora io penso che non si possa conoscere la realtà solo con Wikipedia e allora perché non raccontare la realtà davvero vissuta? Io c'ero, ricordo che noi abbiamo sognato molto. Le rievocazioni in voga fanno pena, anche se rispetto il mestiere di chiunque. Ma è come pensare che gli anni '60 si possano racchiudere in una canzone di Gianni Morandi o dei Dik Dik". Secondo te, allora, come sono andate le cose? "La storia non è nè di destra nè di sinistra, nè di centro. E' di chi la scrive, ma se nessuno te la racconta, come facciamo a saperla? Qui io mi metto in gioco in prima persona, entro in scena col mio nome e cognome. Non è una finzione, sebbene sia un gioco teatrale e si recita". Racconta! "All'inizio siamo in uno studio radiofonico, dove un cantautore cinquantenne, io, presenta il suo ultimo album e si confronta con una giovane conduttrice, ironica e polemica, che sa molto poco di quegli anni". Quindi rievochi la storia d'amore, non a lieto fine, mentre passano in radio le tue canzoni? "Ci si interroga sul tempo che è passato per capire quello che verrà. Aleggia sempre lo spirito folle del più dissacrante agitatore politico di quei tempi, Mauro Rostagno, che soleva dire: 'Noi non vogliamo trovare un posto in questa società, ma creare una società in cui valga la pena trovare un posto'. E sì, ci sono canzoni e tanta musica".