Enzo Iacchetti riporta in scena a Todi la versione reading di 'Come Erika e Omar', il musical che mostra al pubblico come la televisione spettacolarizza i fatti di cronaca.
A distanza di un anno e mezzo, Enzo Iacchetti porta in scena al Festival di Todi "E' tutto uno show - come Erika e Omar", il ‘diversamente musical’ in una versione rivisitata per l’occasione. Senza separarsi mai dal suo fedele compagno a quattro zampe, ci racconta le sue scelte produttive, quello che pensa della televisione e soprattutto, ci anticipa in esclusiva il progetto di teatro-canzone previsto per la stagione 2017/2018.
Hai rivisitato e quindi apportato delle modifiche allo spettacolo in occasione di questo festival. Quali sono i cambiamenti e questa è una rivisitazione temporanea o permanente?
L’allestimento vero è molto impegnativo. Ci vorrebbe una distribuzione che non siamo riusciti a trovare. L’argomento è molto scottante, anche se la gente che lo vede va via entusiasta e capisce il linguaggio ironico sulla spettacolarizzazione dell’orrore che fa la televisione. E’ una cosa che fa bene al pubblico. Si rende conto che ci stanno un po’ schiacciando con tutte queste cose. Perché il musical usa l’ironia e consente di andare sopra le righe, quello che sostanzialmente facciamo noi.
L’allestimento fatto per Roma e Milano era un allestimento molto costoso. Siamo ritornati, dalla proposta che abbiamo avuto per il festival di Todi, al reading. Il ‘diversamente reading’ nel senso che io leggo alcune scene che non possiamo fare senza luci e scenografie. Invece i ragazzi fanno tutte le altre scene che è possibile far arrivare al pubblico anche con un piazzato bianco. Però la storia salta fuori tutta, dall’inizio alla fine. C’è la mia presenza che nel musical ufficiale non c’è. Li curo solamente la regia.
Secondo te, portare in scena questo musical nelle carceri, che effetto potrebbe avere sui detenuti, in particolar modo su chi ha commesso omicidi?
Domanda da due milioni di dollari (ride). Ci siamo chiesti tante volte ‘invitiamo Erika a vedere lo spettacolo? Invitiamo Omar?’. Ci siamo detti che ci sembrava di fare spettacolo nello spettacolo. Se volessero venire a vederlo, non li cacceremmo via sicuramente. La giustizia ha fatto il dovere. Sarebbe curioso portarlo nelle carceri, vedere cosa potrebbe pensare uno che ha ucciso una persona piuttosto che la madre, o un figlio. Ma credo che non gli darebbero il permesso di poter assistere.
Abbiamo detto che nasce come denuncia alle spettacolarizzazioni in tv. Perché hai scelto questo fatto di cronaca e non altri, anche abbastanza efferati?
Perché questo è stato uno dei primi nell’epoca moderna. A parte i vari casi, Via Poma ad esempio accaduto tanti anni fa, ma il media di riferimento era la Rai. Ma con l’avvento della tv commerciale e del digitale terrestre, si aspetta solo la disgrazia per fare gli ascolti. Tra i tanti copioni che mi sono arrivati e che ho letto è quello che mi ha convinto. Anche se quando mi è arrivato, come primo approccio l’ho messo da parte, pensavo che l’autore fosse un pazzo. Poi l’ho ripreso e mi sono detto ‘no, questo ci ha azzeccato!’.
Senza sangue e coltelli, c’è la presa in giro della televisione e dei suoi commentatori, psicologi, i tuttologi insomma, che si arricchiscono facendo diventare gli assassini delle star. La Knox ha venduto i diritti del suo libro per quattro milioni di dollari. Sollecito è diventato un commentatore tv di casi di cronaca nera. Siamo ad una televisione che può salvare solo poche cose.
Lo spettacolo è già andato in scena, ha avuto un pubblico. Che tipo di riflessioni ha stimolato, in base ai feedback ricevuti dal pubblico stesso?
Devo dire che la stampa mi ha stupito più del pubblico. Ha scritto cose bellissime su questo show. Di solito mi massacrano quando propongo qualcosa un po’ fuori dal normale. Il pubblico arrivava, all’inizio con poca affluenza che aumenta settimana dopo settimana con il passaparola e con le critiche positive. Bisognerebbe avere le opportunità che si hanno in America, stare in cartellone tre mesi per arrivare al quarto mese facendo sold out tutte le sere per poi spostarsi in un’altra città. Purtroppo da noi non è possibile perché dopo il tempo concordato, arriva un’altra compagnia. Il nostro guaio è stato questo.
Il pubblico aveva paura di venire a vedere uno spettacolo così strano diretto da me, che sono considerato un comico della televisione, anche se in teatro ho lavorato tanto ed in cose drammatiche. Purtroppo il marchio della tv, di Striscia la notizia c’è. Si aspettavano me in scena ad esempio, non consideravano il fatto che io ne avessi curato la regia e basta. Invece, la mia maturazione artistica esige di andare anche dietro le telecamere, dietro le quinte perché è bello dare la propria esperienza a dei ragazzi come quelli in scena con me, quasi tutti giovanissimi.
Non pensi che a teatro si possa sottolineare un evento di cronaca ed allo stesso tempo affrancarlo dalla reale gravità?
Si può, certo. Parto dal concetto che il teatro è finto. La nostra storia non è quella di Erika e Omar. Infatti si intitola ‘Come Erika e Omar’. E’ la storia di una emulazione. La televisione crea tanti emulatori. Ti do questo dato. Il Consiglio dei giornalisti, ha detto che da settembre a dicembre 2014 ci sono state oltre tre ore al giorno, tra Rai e Mediaset, di trasmissioni sulla cronaca nera. Quindi è chiaro che un caso come quello di Erika e Omar può essere emulato.
Dove c’è una ragazza che ha il coraggio di uccidere madre e fratello, non credo ci sia una famiglia che ha preparato le basi per un buon futuro ai figli. Secondo me Jessica (che è la nostra Erika in scena) non ha mai avuto l’affetto della famiglia. L’emulazione è pericolosa, la domanda che mi poni tu è molto più spigolosa nel senso che i fatti non so se la televisione li riproduce esattamente come avvengono. Se il teatro è finto, a maggior ragione la televisione deve esserlo di più.
Rappresentare poi il fatto in forma di musical è ancora più particolare. Non è stato proposto da nessuno. Cerchiamo di andare oltre le fiabe e i soliti titoli, abituando il pubblico ad assistere ad un altro modo di fare musical. Mi piace andare controvento, mi piace progettare. E lancio un appello agli autori giovani: scrivete cose del nostro tempo! Ci sono giovani e bravi attori che hanno voglia di rappresentare nuove storie e meno giovani come me che hanno voglia di dirigerle. E’ ora di dare una svolta, anche nel musical. Purtroppo quelli del musical tradizionale hanno tracciato un confine. Come produttore mi sono scoraggiato e ho messo da parte questo spettacolo. Anche se questa chiamata di Todi, mi fa ben sperare.
Visto che ti piace progettare, cosa ci puoi anticipare sui tuoi progetti in corso e futuri?
Ci sarà la mia presenza a Striscia, due mesi per me sono fondamentali per una questione di presenza sugli schermi. A teatro, proseguo con Giobbe Covatta nella commedia ‘Matti da slegare’. Ha avuto successo nella scorsa stagione, quest’anno sono previste altre 60 repliche in tutta Italia. E poi, proprio pochi giorni fa, ho finito di scrivere uno spettacolo, un One Man Show e mi illudo che sia una cosa che potrebbe aver scritto Gaber oggi, con cose moderne che lui non ha potuto conoscere.
Userò canzoni di cantanti noti, userò un po’ di effetti speciali abbastanza costosi che comprerò ad appannaggio della produzione (es ologrammi). E questa dovrebbe essere la mia sorpresa per la stagione 2017/2018. Sei la prima a sapere questa cosa, e ti dico anche il titolo provvisorio: Le cinque cose. Amore, amicizia, religione, progresso e rivoluzione. Rivoluzione da me prevista e che naturalmente non è quella coi fucili. E’ un’altra cosa!