"Il teatro ha un’essenza del tutto politica, se priviamo il teatro della sua natura intrinsecamente politica, che ragione avrebbe di esistere?"
Incontriamo Carlo Cerciello, regista di IL PRESIDENTE di Thomas Bernhard, nel suo suggestivo e polimorfo spazio teatrale, l’Elicantropo, una delle fucine culturali ed artistiche più incisive della realtà napoletana degli ultimi quindici anni. Infatti, nel ventre della Napoli storica e popolare, quella troppo spesso soffocata dalla delinquenza e ridotta al silenzio da una coatta ed atavica marginalità socio-culturale, si leva la voce e l’insegnamento di Carlo Cerciello, maestro riconosciuto della scena nazionale, sentinella attenta e resistente, sempre pronta a denunciare con veemenza e indomita tempra di uomo libero, il crimine perpetrato puntualmente dal Sistema ai danni del giusto, del puro e del senza padroni.
Carlo, la prima domanda è una domanda netta, a bruciapelo: il Teatro è politico?
Il teatro ha un’essenza del tutto politica, se priviamo il teatro della sua natura intrinsecamente politica, che ragione avrebbe di esistere? Muller ci insegna che la natura del teatro è politica perché ogni azione teatrale produce e distrugge ideologia. Il senso dell’operazione teatrale è provocare, criticare, alimentare consapevolezza, facendo leva sulle emozioni e sulle pulsioni, sulle dinamiche che si incardinano su forti attrazioni; in questo modo, il teatro diventa spazio rituale e, grazie alla sospensione dell’incredulità, ti conduce al pensiero, al momento speculativo, all’idea. Ho anche scritto un piccolo pamphlet su quest’argomento, pubblicato da Marotta e Cafiero.
Dunque il teatro può essere volano d’accelerazione produttiva nel nostro paese?
Usando il paradosso, direi che l’unico strumento che può generare crescita in Italia è il teatro. La crescita, però, non è la soddisfazione del fabbisogno economico, non è crescita del prodotto interno lordo, crescita è soddisfazione del fabbisogno interiore ed intellettuale. Il teatro fornisce alla società motivazioni esistenziali e sono le motivazioni il volano d’accelerazione della vera ed autentica crescita di un popolo. Il teatro, come la vita, se è privo di motivazioni, è sprecato, inutile. Parlo del teatro vero, del teatro fatto da artisti che hanno cose da dire, parlo della mia idea di teatro e di teatro politico. Oggi, troppo frequentemente, il teatro è anti-teatro, è teatro consolatorio finalizzato ad ovattare il pensiero, ad ottundere la coscienza critica, a produrre narcosi intellettuale. Un teatro che non è teatro perché strizza impudicamente l’occhio al manierismo dello spettacolo televisivo.
Eppure il tuo teatro non è sembra essenziale, tu dai un grande valore, ad esempio, all’elemento scenografico. E’ così anche nell’allestimento de Il Presidente, le cui soluzioni scenografiche sono firmate dal bravissimo Roberto Crea.
Ma la differenza non è tra teatro con o senza allestimento scenografico. La differenza è tra l’uso di una scenografia “formale” e l’adozione di una scenografia “sostanziale”. La prima può costare anche centinaia di migliaia di euro ma non è affatto funzionale alla drammaturgia. La seconda, cioè la scenografia sostanziale, è un elemento pensato in armonica coerenza con l’essenza stessa del discorso drammaturgico, rafforza lo spettacolo medesimo come motivazione aggiunta dello stesso, è inseparabile ed inscindibile dalla realizzazione della messinscena.
Cosa succede oggi al teatro della nostra città, Napoli?
La cosa davvero interessante che sta succedendo in queste ultime settimane consiste in una serie di incontri che si stanno realizzando al PAN di Napoli, incontri in cui tutti gli artisti campani si confrontano e creano sinergie, cercando soluzioni e risposte per sopravvivere alla crisi e resistere all’aggressione monopolizzante del Teatro di Corte. L’obiettivo è quello di stilare un documento comune, un manifesto culturale fuori dagli schemi politici dei partiti e delle spartizioni, alternativo ed oppositivo rispetto alle logiche del monopolio economico e culturale di un teatro che, inseguendo i ricchissimi compensi dei fondi europei, in spregio ad evidenti conflitti d’interesse, uccide l’ordinario e privilegia interessi di lobby ricche e distanti, ad esempio quelle del Teatro Pubblico.
Parlami adesso del tuo ultimo spettacolo: IL PRESIDENTE di Bernhard, con i superlativi Paolo Coletta ed Imma Villa.
Il discorso di Bernhard è sempre un discorso che verte sul potere e sulla ratio del potere. Lo spunto del testo, scritto nel 1975, è la recrudescenza terroristica in Germania, proprio in quegli anni. Ma il testo è attualissimo. Appena sentiamo il termie “presidente” e ne avvertiamo la natura tronfia e vanitosa da uomo di potere, lo ricolleghiamo mentalmente al nostro ex presidente del consiglio e scopriamo che sia il protagonista del testo di Bernhard, sia il nostro ex premier, sono simboli di un potere che marcisce di potere, di un potere che si consuma nel solipsismo, nella solitudine, nell’inutilità di una continua e vuota autorappresentazione priva di sostanza significativa.
Bernhard è un autore sostanzialmente nichilista, i suoi testi tendono all’implosione, all’autocorrosione, la stasi tipica dei personaggi di Bernhard è metafora di una morte che incombe e ci travolge a prescindere dalla nostra volontà, dalla nostra influenza e dal nostro presunto potere.