Teatro

IL TEATRO, L'ARTE E QUELLA "STRANA COPPIA" DI REZZA E MASTRELLA

IL TEATRO, L'ARTE E QUELLA "STRANA COPPIA" DI REZZA E MASTRELLA

Quale legame unisce Antonio Rezza, grande performer, a Flavia Mastrella, apprezzata ed eclettica artista contemporanea? Una profonda amicizia e reciproca ammirazione. La “strana coppia” affascina e sbalordisce il pubblico da molti anni, cimentandosi in molti campi artistici, dal teatro al cinema, alla televisione all’esposizione di opere d’arte. Per circa un mese Milano ha ospitato “Quadrilogica”, rassegna dei quattro maggiori spettacoli della coppia più indisciplinata del teatro italiano. Per l’occasione, vengo ospitato dal Teatro OutOff, in cui un Rezza in versione maglietta e pantaloncini effettua il riscaldamento pre-spettacolo, mentre, poco più in la, Mastrella si occupa degli ultimi particolari prima dell’inizio di “Fotofinish”. Cosa rappresenta per voi il teatro? REZZA: Non facciamo teatro ma musica applicata ai palcoscenici, più che altro è un evento di ritmo tribale per popolazioni tribali, perché l’Italia è una cultura tribale. Tra le vostre opere qual è stata: quella più riuscita, meno capita e più sofferta nella sua realizzazione? MASTRELLA: tutte sofferte, perché la sofferenza è la nostra forma di caricamento. La più bella? Sono innamorata di “IO”, però anche “Bahamut” e “Fotofinish”, ognuno rappresenta momenti di diversa energia. Hai dichiarato di essere stufa del corpo umano e che vorresti orientarti alla rappresentazione del corpo post-umano, cosa bolle in pentola? Una nuova concezione di rappresentazione teatrale? MASTRELLA: Si, però forse il corpo lo riuso…(non si sbilancia molto, ndr). Nel tuo ultimo libro il protagonista “si fotografa per vedersi chiaro”, c’è un’attinenza autobiografica in questo? REZZA: Quando diamo il nome ai personaggi solitamente nei libri non c’è niente di più ipocrita e falso d’inventare un nome quindi, il protagonista si chiama Antonio perché è la cosa meno falsa che sento, perché è chiaro che un libro è parte di te. La protagonista è questa bambina, che si chiama Maria, perché è il nome più semplice da dare. Bisogna stare attenti. L’ipocrisia nella narrazione nasce quando si danno i nomi ai personaggi e già li ci si vende. Per voi la televisione è una possibilità o una scelta? come giudichi questo media? REZZA: È una scelta importante la televisione, si rivolge a chi non viene stasera, è una scelta fondamentale. La televisione, non perchè è fatta da persone sbagliate è un mezzo sbagliato. È un mezzo esatto in mano a persone sbagliate. Vi gratifica di più: un premio cinematografico, un successo teatrale o sapere di essere oggetto di una tesi di laurea? REZZA: Hanno scritto 7/8 tesi, fa sempre piacere. Un premio cinematografico penso istituzionale non ce lo daranno mai. Premi teatrali… non credo, insomma. I primi li vincevamo quando eravamo giovani, sempre, cinema indipendente... vincevamo in continuazione. Da quando siamo diventati meno giovani non li vinciamo più. Perché la nostra pericolosità è insita in ciò che facciamo. Prima che facevamo cose importanti non suffragate da una teorizzazione implacabile, vincevamo i premi, adesso che oltre a quello che facciamo abbiamo anche i motivi teorici per farlo, non vinciamo più, non vinceremo più, sarebbe una sconfitta vincere. In riferimento alle riprese di SAMP, cosa volete intendere con esperimento di cinema da strada e smitizzazione del set sedentario? REZZA: Dissoluzione della sceneggiatura in “Delitto sul Po”, dissoluzione della sceneggiatura e del cast in “Samp”, cioè, non c’è più né la sceneggiatura né il set, si va già vestiti dove si va, dunque, senza sapere dove. Si ha un’idea della terra che si esplora ma non si ha un’idea di set. MASTRELLA: Cinema di strada? Usciamo da casa tutti vestiti da personaggio e poi quando all’orizzonte vediamo un posto interessante ci fermiamo e cominciamo. Comunque, una storia orientativa “Samp” ce l’ha, parla di un killer della tradizione, è ambientato a Locorotondo, è la parte architettonica più interessante della Puglia. Rezza e Mastrella, come definiscono se stessi e l’altro? MASTRELLA: che penso? Che ormai è automatico Antonio! REZZA: è la più grande artista contemporanea vivente! MASTRELLA: io non l’ho detto sennò è stucchevole. REZZA: comunque io penso di essere il più grande performer vivente sulla faccia della terra, fino a prova contraria! Perché, allora, se non è vero ditemi, chi? E allora accetto... Per il futuro ci sono progetti in cantiere? MASTRELLA: Si, speriamo che esca pure qualche altra cosa che non abbiamo mai fatto. REZZA: volevo dire una cosa su “Fotofinish”, penso che sia la macchina più potente che abbiamo mai creato e “Bahamut” la macchina più pura, quindi sono due macchine diverse. In “Fotofinish” c’è l’intervento di Armando Novara che non è una spalla, come potrete ben vedere, ma è una sua personalità al servizio del suo corpo, quindi non è dimensionato al confronto col mio. Ecco, noi stiamo attenti a questo quando lavoriamo con altri. Che ognuno abbia la sua dignità. MASTRELLA: La sua individualità! REZZA: Degno della sua individualità (si corregge, ndr). MASTRELLA: Anche perché noi usiamo corpi esistenti, non manipoliamo il sentimento del corpo e della persona. Quando facciamo i film ognuno è sé stesso, però deve essere sé stesso fino in fondo, la difficoltà è quella. Diamo importanza all’essere in tutta la sua dimensione. Milano – Teatro OutOff – 26 ottobre 2007