Teatro

Alessandro Baricco: “La mia scrittura è in movimento, i lettori viaggiano con me”.

Alessandro Baricco
Alessandro Baricco

Una vita dedicata alla scrittura, dagli anni in cui scriveva manuali di videoregistratori sino ai romanzi della celebrità. A poche ore dal debutto sul palco del Caio Melisso di Spoleto, con la lettura scenica di Novecento, Alessandro Baricco racconta di sé, del suo percorso e delle cause civili che la letteratura può promuovere.

La notizia è certa da ieri in città. Al Teatro Caio Melisso c'è il tutto esaurito, non si trova un posto neppure a pagarlo oro, per lo spettacolo della sera, Novecento di e con Alessandro Baricco, lettura teatrale di quest'opera fortunata e famosa, passata per palcoscenici e attori dei più diversi, ora tornata alla voce del suo autore.

Eccolo allora, il protagonista di questo sold out annunciato, che, nel foyer del Caio Melisso, oasi inattesa nel caldo intenso della giornata, tra vecchi cimeli e ampie finestre sulla vallata, si presenta per l'intervista coi suoi modi pacati, l'understatement di sempre, il carisma delle sue parole chiare, scandite, ponderate.


Un festival teatrale per un evento che lei stesso definisce una lettura, “non teatrale”. Com'è nata l'idea di portare Novecento in tour, a più di vent'anni dalla sua pubblicazione?
Dalla prima edizione di Novecento sono passati venticinque anni. Da allora l'ho visto interpretare da attori di tutto il mondo, in tutte le lingue, incluso l'estone. Mi sono accorto che ero io a non averlo mai portato sul palco. Volevo recuperare le musiche originarie con cui l'avevo pensato, mi sono chiesto se le avevo ancora in testa. Così le ho messe su Spotify, con l'aiuto di un deejay, Alessio Bertallot. L'esperimento mi è molto piaciuto, ho capito che una lettura di Novecento poteva reggere in teatro. Lo faccio poche volte, giusto due l'anno, ma è importante per me. Mi riporta alle sonorità in cui Novecento è nato.

Nella presentazione di questo evento, Lei dice che il reading è un “animale fragile”. Abbiamo ancora bisogno di “animali fragili” per meravigliarci sul palco?
Gli attori sono esseri straordinari, sanno costruire animali molto robusti, da battaglia. Il reading è un animale strano, è più delicato. Non sempre gli attori sono adatti a fare reading. D'altro canto, a volte la lettura è uno strumento potentissimo. Bisogna lavorare con molta cura.



Danny Boodman, il protagonista di Novecento. diceva che “non sei veramente fregato finché hai una buona storia da raccontare e qualcuno a cui raccontarla”. E' ancora così?
E' così da migliaia di anni. E continuerà a esserlo!

C'è una grande varietà di contenuti nella sua produzione. Da Seta a Mr. Gwyn, passando per Novecento o La sposa giovane, sono storie e stili diversissimi. Come le riesce possibile?
E' un percorso. I miei lettori lo sanno, io mi sposto. Ci sono scrittori come Simenon, che restano sempre fedeli a se stessi. Per me invece c'è una grande strada. E' difficile per me dire che tipo di percorso abbia fatto, ma i miei lettori sono abituati a seguirmi, viaggiano insieme a me. I miei romanzi, in realtà, vanno collegati alle altre cose che faccio, ne sono parte integrante. Parlo del teatro, della televisione, ma anche del lavoro della scuola di scrittura.

A proposito, com'è l'esperienza di insegnare a scrivere?
Le scuole sono un'esperienza straordinaria, sono un incrocio tra percorso formativo, performance teatrale, spettacolo vero e proprio. Le scuole non aprono, vanno in scena. Tra l'altro, la mia avventura con la scuola di scrittura è iniziata proprio venticinque anni fa, nell'anno in cui ho pubblicato Novecento.



Come ha iniziato a scrivere? E quando ha capito che sarebbe diventato uno scrittore?
Ho iniziato verso i diciotto, diciannove anni, scrivevo per i giornali. Allora pensavo che il mio percorso sarebbe stato nel campo della ricerca, all'università ho studiato filosofia. Poi ho continuato a scrivere un po' di tutto, giornalismo, ma anche discorsi per i politici, istruzioni per videoregistratori, non mi sono fatto mancare nulla. Da lì quasi per caso ho scoperto la scrittura di fiction, avevo ventisette, ventotto anni. A ventinove ho pubblicato il mio primo romanzo.

Prima diceva che i suoi libri vanno visti nel contesto di una produzione artistica. Mi viene in mente la recente, bellissima edizione illustrata di Seta e mi chiedo: quanta importanza hanno le immagini per le sue storie?
Parto dall'assunto che i libri non debbano avere figure. Ho aperto questa possibilità per la prima volta su Seta perché c'era questa illustratrice bravissima, Rébecca Dautremer, che mi ha proposto un lavoro particolare, ha creato una sorta di scena teatrale in ogni pagina. Da allora ho dato i diritti per diverse versioni dei miei romanzi in graphic novel, ma chiaramente è un lavoro diverso, si tratta di un vero e proprio adattamento.



Sempre negli anni Novanta su Rai3, insieme a Gabriele Vacis in Totem, leggeva uno splendido racconto di Raymond Carver, Cattedrale. Oggi si sentirebbe di dire ancora che “vivere è costruire cattedrali a occhi chiusi”?
Cattedrale resta un racconto potente, che insegna tantissime cose. Tra le altre, insegna soprattutto che i deboli spesso ti portano in zone di te che non conosci. Nel racconto accade al protagonista con l'ospite cieco, che lo porta a disegnare a occhi chiusi un oggetto sconosciuto, la cattedrale, appunto, ma vale in una pluralità di casi. E' un insegnamento civile.

A proposito di insegnamenti civili, un altro libro di cui ha promosso la conoscenza nel nostro paese è Furore di John Steinbeck. Quale insegnamento porta e perché è sempre attuale?
Furore è un monito importante sull'emergenza migrazione, racconta benissimo tutti i meccanismi che scattano quando c'è una situazione di quel tipo, quando la gente scappa. Circa un anno fa l'ho riportato in televisione, con un lavoro che trovo ben riuscito e che pochissima gente ha visto. Questa però è una battaglia importante e non va persa, a volte questo lavoro è difficile perché tu credi di fare qualcosa di significativo, che possa incidere, ma non riesci. Pazienza, anche questo fa parte del percorso, si impara.