Teatro

Ivan Stefanutti, uomo di spettacolo sempre pronto a sorprendere

Ivan Stefanutti, uomo di spettacolo sempre pronto a sorprendere

Prosa, melodramma, musical, operetta, danza: la creatività di Ivan Stefanutti non si pone limiti. Un artista poliedrico che spazia dalla regia alla realizzazione di scenografie e costumi.

Ivan Stefanutti è decisamente un uomo di spettacolo a tutto tondo. Inizia la sua carriera – dopo la laurea in architettura a Venezia - come scenografo e costumista, ma in seguito lo troviamo sempre più spesso impegnato anche come regista, un ruolo che diviene presto fondamentale. E' attivo da trent'anni giusti, in cui ha affrontato ogni genere di teatro: prosa, melodramma, musical, operetta, recital, danza.

Abbiamo modo di fare due chiacchiere con lui a Ravenna, dove va in scena il suo ultimo spettacolo - l'opera “La fanciulla del West” di Puccini - del quale firma praticamente ogni componente visivo. Cioè regia, scenografia, costumi, e persino le video proiezioni. Compito, quest'ultimo, nuovo per lui e che lo ha visto particolarmente impegnato vista la loro complessità.

Questa “Fanciulla del West” ha girato molto, e non ha ancora finito la sua corsa. Come è nata questo spettacolo accolto, a quanto pare, sempre molto bene?
Si tratta di una produzione pensata inizialmente dal Teatro del Giglio di Lucca e l'Opera Carolina di Charlotte in North Carolina, dove lo spettacolo ha debuttato l'anno scorso in aprile. Poi si è aggiunta la New York City Opera, dove è andata in scena a settembre. “La fanciulla” è poi apparsa nei teatri di Cagliari, Lucca e Pisa. Ora a è a Ravenna, e finirà fra poco la sua corsa a Modena e Livorno.
In America la protagonista era sempre Kristin Sampson, ora vi è impegnata Amarilli Nizza, che a Livorno però le cederà il posto per altri impegni. A Cagliari invece, nell'ottobre scorso, si alternavano Svetla Vassileva e Tiziana Caruso. Come Dick abbiamo avuto Marcello Giordani e Jonathan Burton, ora Enrique Ferrer e Mikhail Sheshaberidze.

Quanto deve questa “Fanciulla” a quella che curasti come regista nel 2005 al Festival Puccini di Torre del Lago?
Le idee di fondo, la concezione dei personaggi sono in fondo le stesse. L'ambientazione assolutamente no, perché allora la modernissima scenografia era stata firmata dallo scultore americano Nall. Allora infatti il Festival Puccini seguiva il filone di “Scolpire l'opera”, affidando le scene a vari artisti contemporanei. Però non posso dimenticare che in quella occasione ho accompagnato il debutto di Daniela Dessì come Minnie, diventato uno dei suoi più importanti ruoli.

Certi tuoi spettacoli hanno il pregio di essere praticamente degli ever-green. “Andrea Chenièr” è apparso nel 1996 ed viene tutt'ora ripreso, anche all'estero. La tua “Bohème” ambientata nella Parigi degli Anni Trenta ha calcato le scene di ben 28 teatri, dal 2006 ad oggi. Qual'è il segreto di questi successi?
Direi semplicemente che sono spettacoli molto belli. Altrimenti non me li chiederebbero ancora, di tanto in tanto, a distanza di anni. Io curo moltissimo in ogni dettaglio le mie regie, e quando posso creare – come in questi casi - anche scenografia e costumi, raggiungo il massimo. E vorrei ricordare anche “Adriana Lecouvrer”, creato nel 2002 per i teatri del Circuito Lirico Lombardo (dove è stato ripreso nel 2014), che poi è andat ad Osaka e Las Palmas, a in scena nel 2010 a Firenze, a Cagliari e da ultimo nell’ottobre 2017 al Teatro Massimo di Palermo.

Dopo la laurea in architettura a Venezia, sei stato per un certo tempo collaboratore di Sylvano Bussotti, giovane apprendista di cose teatrali. Cosa ti è rimasto di quel periodo?
Sono stati otto anni molto intensi e fecondi, nei quali ho fatto quella preziosa gavetta dal basso in alto che – in tempi di crisi e di rarefazione delle produzioni come questi odierni – non sarebbe più possibile fare. Tieni conto che Bussotti è un artista poliedrico, a tutto tondo. Un musicista completo, prima ancora che regista, scenografo, costumista. Da lui ho imparato come regia e musica possano e debbano andare di pari passo, soprattutto mantenendo grande rispetto della prima verso la seconda.

Non sei un uomo di spettacolo dal carattere trasgressivo, anzi mi pare che ami molto realizzare spettacoli per così dire “rassicuranti” per il pubblico. Però ti concedi ogni tanto delle deviazioni dalla tradizione. Ricordo una intrigante “Aida” ambientata in un contesto intergalattico, o una cupa “Carmen” collocata in un'isola claustrofobica.
Aida”, anche se ambientata tra due pianeti, manteneva una rispettosa narrazione della vicenda. L’”esotico” per lo spettatore contemporaneo si è spostato nello spazio. Gli “etiopi” possono tranquillamente venire da un pianeta guerriero, un po’ primordiale, a sfidare un pianeta con una società basata su una casta sacerdotale. Così Aida diventa, con naturalezza, una aliena prigioniera. La mia “Carmen” racconta sentimenti passioni in una terra ai confini della civiltà. Non sappiamo mai da quale parte del confine ci troviamo. Senza accorgercene, ci troviamo proiettati in una notte desertica.

Nel passato hai curato molti spettacoli di prosa, spesso intrisi di musica – leggera o seria, secondo il caso - come “Verdi al Tettuccio” con Enrico Beruschi, “Melologo comico” con testi di Stefano Benni, “Signora in rosso” con Gianfranco D’Angelo, la memorabile “Le donne di Puccini” con Placido Domingo e una sfilata di grandi soprano al Festival di Torre del Lago.
Devo dire che amo tantissimo la commistione tra parola e musica. Basti pensare alle operette che mi sono divertito a portare in scena al Festival di Trieste dove la recitazione si alterna alle canzoni ed alle danze. Oppure ai musicals che ho curato nel tempo, come “Metropolis”, “Candide”, “In bocca al lupo”.

Per quanto riguarda la prosa, ci dobbiamo aspettare qualcosa di nuovo?
Per il momento non ho nuovi programmi. Però mi è appena arrivato un copione da valutare... vedremo se ne esce qualcosa.

Ed il balletto? Ti ci sei accostato più volte, come nel “Pinocchio burattino senza fili” con le musiche di Edoardo Bennato e le coreografie di Claudio Ronda, che mi pare giri ancora dopo oltre 250 recite.
La danza è una grande componente dello spettacolo. Come sempre, mi sono accostato al genere un po’ per caso e come sempre ho scoperto un nuovo interessantissimo universo in cui inserirmi. Nel caso del “Pinocchio, burattino senza fili” mi sono ispirato alle bellissime illustrazioni di Jacovitti, autore che ho sempre amato. Mi ricordo ancora quella volta che ho avuto l’onore di poterlo conoscere.