In questa intervista, Jurij Ferrini racconta i suoi progetti teatrali a breve termine, senza tralasciare una lucida analisi del grave stato di agonia in cui versa il sistema-teatro in Italia.
Jurij Ferrini torna a misurarsi con il teatro di Carlo Goldoni e lo fa avvalendosi ancora una volta della collaborazione di Natalino Balasso per l’adattamento del testo. Per la prossima stagione sarà in scena con lo spettacolo I due gemelli… veneziani, una riscrittura attualizzata del classico goldoniano, che debutta in prima nazionale al Festival Teatrale di Borgio Verezzi (Savona), per poi effettuare un tour in autunno.
Tra uno spettacolo e l’altro – da dicembre sarà infatti in scena anche con Lucido, commedia contemporanea di Rafael Spregelburd, “autore raffinato, ma popolare” – l’attore/regista trova anche il tempo di riportare in scena a Torino Cyrano de Bergerac, per una serata benefica (10 settembre 2019) a favore dell’A.I.L. - Associazione Italiana contro le leucemia-linfomi e mieloma.
Eppure, se gli si chiede di esprimersi sullo stato di salute del teatro in Italia, il suo punto di vista è molto chiaro: "Le compagnie di giro sono la nostra tradizione, ma ormai sono destinate a morire".
In base alla sua esperienza, esiste il rischio concreto che il teatro stia diventando un lavoro per pochi eletti?
Sicuramente non funziona il sistema così come è, perché la maggior parte delle risorse pubbliche destinate al teatro viene assorbita dalle strutture stesse: qualunque impresa non funzionerebbe, se per avviarla servisse oltre l’80% delle sue entrate. La situazione attuale è gravissima, la riforma del 2014 l’ha peggiorata, legittimando un sistema destinato a fallire. Ormai è un dato di fatto che i teatri producono spettacoli “usa e getta”, i quali non vengono distribuiti la stagione successiva.
La compagnia di giro rappresenta la tradizione in Italia, infatti chi resiste, lo fa perché gira, portando i propri spettacoli nei festival o nelle stagioni teatrali.
Finché si fanno i cartelloni, si riesce ancora a stare a galla, ma con sforzi sovrumani.
Secondo lei, qual è il linguaggio che il teatro può utilizzare per avvicinare nuovo pubblico?
Avercela questa ricetta! Non lo so, ma penso che bisognerebbe parlare una lingua teatrale concreta, qualsiasi essa sia. Far accadere lo spettacolo è il modo migliore per offrire una bella esperienza al pubblico, così da fargli venire voglia di tornare. Ovviamente bisogna sempre puntare alla qualità, perché gli spettatori non vanno ingannati. La sincerità nella recitazione è l’elemento principale sul quale lavoro come attore e con i compagni che dirigo.
Come nasce questo spettacolo, curioso fin dal titolo?
Si tratta di un lavoro di riscrittura molto scrupoloso compiuto da Natalino Balasso su I due gemelli veneziani, di Goldoni. In realtà, era stato intitolato semplicemente I due gemelli, però poi il Festival di Borgio Verezzi ha stabilito un richiamo più deciso al testo originale, scritto metà in italiano aulico e metà in veneziano; dunque, noi avevamo comunque l’esigenza di tradurlo, perché nessuno all'interno della compagnia sarebbe stato in grado di recitare in dialetto.
La vicenda goldoniana è stata spostata in un’altra epoca, ovvero gli anni Settanta, il che ci permette di apprezzare meglio la satira a proposito di una società più vicina a noi rispetto a quella del Settecento.
La composizione del cast è un’ulteriore peculiarità di questo allestimento?
Sì, e deriva dal fatto che Goldoni è stato il primo – dai tempi dei Menecmi di Plauto – a far interpretare entrambi i ruoli da un solo attore, facendo morire il gemello più stupido. Nello specifico, siamo una compagnia di sette attori che interpretano venti ruoli e questo già la dice lunga sulle condizioni nelle quali versa il teatro italiano; tra l’altro, è un aspetto che viene citato nel testo: approfittando di un cambio scena particolarmente complicato, è stato inserito un piccolo monologo di Colombina (detta Colombiana, nella nostra versione) che lancia frecciatine su questo tema, in linea con l’intelligente sarcasmo di Balasso.
A fine estate troverà anche il tempo per tornare in scena con Cyrano de Bergerac, uno spettacolo del suo repertorio, con una serata dalla finalità benefica.
Il 10 settembre saremo al Teatro Carignano di Torino con questo spettacolo e l’incasso sarà devoluto all’Ail per l’acquisto di un macchinario necessario alla somministrazione di una terapia sperimentale. Io e i miei compagni lavoreremo gratis, ma questa occasione è l’esperienza che più mi ha arricchito, finora, nella vita: riscoprire il personaggio di Cyrano, che è un combattente dai saldi principi morali, in questa occasione, sarà, per il pubblico, come assistere allo “spettacolo del cuore”.
Per assistere allo spettacolo: Cyrano de Bergerac - Info e biglietti