Prima il “Nabucco”, poi “La Boheme” ora la trilogia portata in scena dal teatro dell’Opera di Milano si conclude con “La Traviata”. L’opera, già allestita al Castello Sforzesco di Milano la scorsa estate verrà proposta al teatro Ciak Webank sabato 18 e domenica 19 con l’introduzione di un elemento in più: la multisensorialità.
Ne abbiamo parlato con Mario Riccardo Migliara, ideatore e regista dello spettacolo.
Qual è la novità della sua ideazione?
“Ho creato un progetto multisensoriale che abbraccia a tutto tondo le sfumature dello spettatore. C’è la grazia della musica verdiana, l’eleganza della scenografia ottocentesca. Volevo coinvolgere anche un altro senso, spesso dimenticato: l’olfatto. Così, grazie alla collaborazione con Culti, produttore di essenze e aromi, abbiamo ideato un sistema che diffonde in alcuni momenti precisi della rappresentazione le note olfattive adeguate a quelle dello spartito e alla situazione che si svolge in scena.
Per esempio?
Durante il terzo atto, che è ambientato nella stanza di Violetta, sprigioniamo quello che è stato definito l’aroma di Traviata, ovvero un profumo speziato che ricorda l’ambientazione bohemienne di lusso nella quale ci troviamo.
Come le è venuta l’idea?
Durante il Falstaff diretto da Giorgio Strehler c’era una scena ambientata in una tipica vineria e formaggeria padana. Mentre lo guardavo ho provato il desiderio di sentire gli odori forti e penetranti che si possono annusare in un ambiente del genere. Con le pesanti tome appoggiate sul bancone e gli insaccati appesi alle travi di legno, mancava l’olfatto. Si poteva solo immaginare quello che avremmo dovuto sentire col naso.
Da qui l’idea di creare un’esperienza sensoriale per la Traviata, che vuole dare allo spettatore il senso del tutto. In qualche modo si potrebbe dire che si mangia all’opera, perché si avvolge lo spettatore e si arriva a tutta la sala come con la musica.
Come si intrecciano le armonie musicali con le percezioni olfattive?
Restano due elementi diversi perché le loro strutture sono distanti. Un profumo non può avvolgere la musica o viceversa. E’ nella percezione finale dello spettatore che tutti gli elementi –vista, udito e olfatto- trovano una completezza.
Com’è l’ambientazione scenica della sua Traviata?
Classica e il più fedele possibile all’originale. Nonostante abbia introdotto dei temi forti preferisco che il resto resti fedele a come è stato concepito. Certo, qualche azzardo e le regie moderne sono sempre interessanti da vedere e uno stimolo per il mio lavoro. Poi però preferisco lavorare su sfumature non trionfali, che restino impresse per il loro valore. In questo Luchino Visconti era un maestro e io cerco di seguirne le tracce.
Che valore ha dato alla sua Violetta?
Credo che Violetta abbia più sfumature di quante ne siano attribuite solitamente ai personaggi verdiani. Lo dimostra la celebre aria “Amami Alfredo”: lei lo ama ma sa che deve lasciarlo. C’è una contraddizione evidente che dimostra un suo doppio, l’ambivalenza della natura umana. Per questo ho contrapposto la sua casa, un piccolo locale, con l’immagine del mare, sconfinato e senza limiti.
L’interprete in scena è la bravissima Sandra Balducci e questo aiuta ogni mia scelta scenica coraggiosa.
Qual è la difficoltà nel progettare la regia di un’opera lirica?
Il mio lavoro sull’opera non deve mai dimenticare che c’è la musica, una relazione imprescindibile e costante, la vera protagonista. Così, l’intervento postumo non può dimenticare l’ovvio.
Nel “Don Giovanni” che sto preparando, sempre insieme alla Filarmonica di Milano e sarà in scena questa estate al Castello Sforzesco, ho giocato con le carte e la loro simbologia per introdurre l’elemento onirico. Tutto sempre nel rispetto del grande valore che libretto e spartito hanno.
Questo non mi ha impedito però di apportare qualche piccolo cambiamento nella Traviata, ma lo lascio scoprire agli spettatori.
Teatro