Cristina Comencini presenta la sua prima commedia al Teatro Manzoni di Milano dal 6 marzo all'1 aprile, da lei stessa messa in scena e trascritta per l’editore Feltrinelli, che pubblica il libretto. “Due Partite” racconta storie di donne ed è suddivisa in due atti che vanno ben oltre i due tempi: sono proprio due epoche. Figlia del regista Luigi Comencini e nipote di una principessa, Cristina fa ha iniziato a essere sceneggiatrice televisiva 25 anni fa, dopo aver collaborato a lungo con i film del padre nella stessa veste. La sua prima regia è del 1988 e nel ’95 ha firmato la trasposizione cinematografica di “Và dove ti porta il cuore”, best seller di Susanna Tamaro. Parlare con Cristina Comencini è facile: lei è diretta, svelta e non se la tira affatto. Decisa e sorridente, parla senza reticenze.
Le mancava proprio il teatro come autrice?
Ho sempre pensato di scrivere per il teatro. La mia esperienza di lavoro mi ha fatto riflettere sulle distanze e le vicinanze tra le parole del cinema, della letteratura, del teatro e sulle possibili contaminazioni tra queste diverse forme di drammaturgia
Cosa ci guadagna a scrivere?
Nessun guadagno ma ho cominciato con la scrittura per un’idea di recitazione nuova, tutta al femminile. Le stesse attrici interpretano i ruoli di madri e figlie, tra il primo e il secondo atto, come avessi unito due pièces diverse. Il rapporto fra le donne però mostra quanto siano cambiate le cose in questi decenni, in una commedia che lascia del tutto aperto il responso finale.
Come reagisce il pubblico?
L’ho potuta allestire solamente a Roma, la scorsa stagione, al Teatro Valle dove è rimasta in scena per 15 giorni appena e ha avuto un successo enorme e inaspettato. Ora viene a Milano, al Teatro Manzoni fino al 1° aprile, e non credo si possa facilmente riproporre altrove, a causa dei molteplici impegni delle protagoniste, Margherita Buy, Isabella Ferrari, Marina Massironi e Valeria Milillo.
Cosa piace agli spettatori?
Credo che si senta il rimpianto per qualcosa che non si è mai avuto: questa commedia presenta il conto a tutti, uomini e donne, è una specie di canto di morte sulla femminilità forse mai trovata. Le madri rinunciavano alle proprie passioni per dedicarsi al marito e ai figli e chi veniva tradita, chi tradiva, chi trascorreva un’esistenza nevrotica e chi soffriva per non capire come andasse il mondo. Le figlie si sono ritrovate ad essere forse più sveglie, meno passive, più vincenti? Di sicuro lavorano e quasi sempre rinunciano a una vita piena, oppure vivono con ambiguità i rapporti con i maschi.
Dedicarsi alla carriera ha rovinato la femminilità?
Il carrierismo non è colpa delle donne. La mancanza di figli è dovuta al fatto che hanno cominciato a pensarci troppo tardi, mentre le donne di una volta si erano sentite fallite. Non ci sono soluzioni finali: la donna è piena di contraddizioni e qui vediamo come il desiderio di femminilità si scontra con l’autorealizzazione.
Lei cosa pensa, personalmente?
Esprimersi col lavoro o con la famiglia? La soluzione non viene data dallo spettacolo e posso dire che interessa persone del nord Italia, dove il lavoro è da tempo un problema femminile. E’ difficile coniugare la vita affettiva con quella di tutti i giorni ma anche al sud, dove ancora ci sono donne che rinunciano alle proprie ambizioni e vivono di rimorsi repressi. Anche molti uomini vengono a vedere lo spettacolo e si divertono, si ride anche molto, ci sono tante battute.
Chi altri ha collaborato per aiutarla a realizzare un buon prodotto?
Le ragazze del Laboratorio di Roma hanno lavorato con me in fase di stesura del testo, dopo che ne avevo già scritto un tre quarti. Lì ho modificato molte cose e ho scritto il finale. Paola Comencini, oltre ad essere mia sorella, si è rivelata come sempre una buona scenografa. Sergio Rossi ha disegnato le luci e Antonella Berardi i costumi. Volevo fare teatro-teatro e tutto è servito per creare l’enorme diversità fra l’atto sugli anni ’60 e oggi. Il testo si è ancora mosso durante l’allestimento sul palcoscenico e solo alla fine, concluso, è stato pubblicato per La Feltrinelli.
Crede che sia importante una scrittura così al femminile?
Ho parlato di amiche che anche si sparlano dietro. In ciascun tempo scoppia una grossa litigata e dopo si dicono la verità. Nel secondo tempo le amiche hanno fretta, corrono tutte, hanno poco tempo, non c’è più l’abitudine di stare insieme. Infatti si vedono per un lutto. Metto in primo piano i discorsi sul parto, ma si ride. Si tratta di tutto quello che ha a che fare con la vita vera, si porta davanti agli occhi anche il dolore delle doglie senza farne un dramma mostruoso.
Si manda un messaggio?
Oggi, anche in questo Paese cattolico, il partorire con dolore non lo vogliamo più, grazie! Insomma, le donne vengono viste con tutti i loro difetti, sono colpevoli di tante cose, anche di come trattano il loro uomo. Non ci sono eroine. Gli uomini, salvo alcuni grandi, non sanno fare la stessa cosa fra di loro, perciò sì, era importante fare una scrittura così, di donne per donne che tutti possono capire, anche gli uomini.
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