Teatro

Lello Arena: “Io, la Smorfia e il teatro… ricordando Troisi”

Lello Arena: “Io, la Smorfia e il teatro… ricordando Troisi”

“La soluzione per contrastare i ‘parenti serpenti’? Restare salubri fino a 93 anni e poi morire d’infarto”.

Il trasferimento dalla bella Napoli alla periferia di San Giorgio a Cremano ha segnato profondamente la giovinezza di Lello Arena; ma soprattutto ha influito con risvolti inaspettati sul suo futuro professionale.

“Nella vita succede che i piani che sono stati disegnati per te non li conosci. Ma quel trasferimento mi ha consentito di conoscere Massimo Troisi e di cominciare molto seriamente una carriera che ancora dura”.

Con Troisi ed Enzo Decaro, nel 1977 venne costituita La Smorfia, dando vita a un nuovo tipo di teatro, che attingeva alla farsa napoletana e al cabaret.
Mentre Napoli si prepara a rendere omaggio a Troisi e a celebrare i 40 anni della Smorfia, con una grande festa, annunciata in piazza Plebiscito, Lello Arena calca i palcoscenici italiani, per il secondo anno consecutivo, con Parenti serpenti, un titolo che molti ricordano grazie al successo del film di Mario Monicelli, ormai diventato un cult nella programmazione televisiva delle feste.
Ma sul testo, originariamente scritto da Carmine Amoroso, non tutti sanno che…

Parenti serpenti, dal cinema al palcoscenico: ci racconti la genesi di questo successo.
L’idea è partita soprattutto dalla necessità di capire perché questo testo - scritto in realtà come commedia teatrale - una volta avuto un eccellente esito cinematografico, non fosse più frequentato da chi faceva teatro. Con il regista dello spettacolo, Luciano Melchionna, ci siamo animati di curiosità, per verificare l’ipotesi che Carmine Amoroso avesse scritto una commedia teatrale piuttosto che una sceneggiatura: quando abbiamo capito che le cose stavano effettivamente così, ci siamo convinti a ‘dare a Cesare quel che è di Cesare’, riportando questo testo al suo originario assetto teatrale.

Qual è stato il suo approccio interpretativo al testo scritto da Amoroso, ma soprattutto all’adattamento cinematografico diretto da Monicelli?
Quando un attore è costretto a partecipare dal vivo alla vita di questa famiglia, come un vicino di casa che sbircia dal buco della serratura, ci si sente meno al sicuro rispetto al cinema, dove la distanza tra gli interpreti e i personaggi è più evidente. Secondo me, era nelle intenzioni dell’autore che i “parenti serpenti” – quelli in scena e quelli seduti in platea – si frequentassero. E questa idea è alla base dell’esito vivace di questo spettacolo.

Nella sua storia personale, ci sono state o ci sono situazioni con con protagonisti “parenti serpenti”?
Non c’è bisogno di far esplodere le stufe: c’è gente che viene abbandonata in un ospizio e tanti saluti. Dovendo decidere per la mia vecchiaia, preferirei che i miei figli mi facessero esplodere con una stufa piuttosto di abbandonarmi con la coscienza pulita in un ospizio. L’unica chance, chiaramente, è restare in salute fino a 93 anni e poi morire d’infarto, all’improvviso, così si risolvono tutti i problemi.

Secondo lei i “parenti serpenti”, sono una specie tipicamente italiana?
No. Fortunatamente, oggi si vive di più in tutta Europa. Arrivati a un certo punto, si “sbrocca”, ma non si muore. E questa nuova generazione di ultraottantenni, dei quali non si sa come occuparsi, finisce per diventare un problema sociale, di stringente attualità. Perché questi anziani hanno diritto a una pensione che consenta loro di continuare a vivere, ma al di là di questa urgenza, non vengono minimamente considerati nella realtà del tessuto sociale.

Il 19 febbraio è stato il compleanno di Massimo Troisi: quest’anno Napoli gli dedicherà una grande festa, pensata anche per celebrare anche i 40 anni della Smorfia. Qualche anticipazione?
Piazza del Plebiscito è la cornice ideale per ricordare Massimo e il grande lavoro di artista, uomo e poeta che ci ha regalato. Sarà un occasione straordinaria per tanti amici e artisti (da Renzo Arbore a Ficarra & Picone) di stare tutti insieme e di recitare per lui davanti al suo pubblico.

Che ricordo ha dei suoi esordi artistici?
Gli esordi sono stati poveri e pieni di necessità. Col tempo, la Smorfia è arrivata anche a radunare tremila persone ogni sera. Siamo sempre stati molto più interessati ai contenuti e non alla forma: ci divertiva inventare un’aureola con un retino da pescatore piuttosto di comprarne una. Era il gioco del teatro, fatto di pannelli di cartone che giravano. Un po’ come si fa da bambini: tu sei il principe, io sono il contadino e vediamo che succede. Era un gioco fatto per passione, ma con grande serietà. E se si potesse insegnare a giocare seriamente in una scuola per la vita, vivremmo tutti in una società sicuramente migliore.

A questo proposito, lei è anche il direttore dell’Accademia delle arti performative del Teatro Cilea di Napoli: come è nato questo progetto?
Come succede sempre in questi casi, il progetto è nato per vincere una scommessa, perché Napoli è una città piena di scuole e l’idea di aprirne un’altra era chiaramente un salto del buio. Lo scopo è sempre quello di operare tutti insieme, non tanto per imparare a fare gli artisti, ma di scoprire tutto quello che offre questo mestiere. Il carattere professionalizzante del percorso accademico si concretizza sostanzialmente nel fatto che il Teatro Cilea è anche un centro di produzione (teatrale, televisivo e cinematografico), per cui si fa più in fretta a scegliere allievi formati direttamente da noi invece che all’esterno.