Intervista con Livia Grossi, giornalista del Corriere della Sera che da qualche anno organizza un festival teatrale a impatto zero nel suggestivo borgo di Framura (La Spezia).
A Framura, suggestivo borgo medioevale in provincia di La Spezia, nella quiete di orti e carruggi a picco sul mare, si svolge dal 26 al 28 luglio la quarta edizione di FRAleMURA Festival: tre giorni tra teatro, musica e poesia durante i quali ospiti del calibro di Lucia Vasini, Antonio Cornacchione e il cantastorie Claudio Fava compiono una riflessione sulla comicità a 50 anni dal debutto di Mistero buffo, capolavoro di Dario Fo e Franca Rame.
Livia Grossi, giornalista culturale del Corriere della Sera e organizzatrice dell’evento, racconta come è possibile reinventarsi una professione facendo da tramite tra la notizia e il pubblico nell’esperienza del cosiddetto “giornale parlato”.
Il nome del festival – FRAleMURA – è soltanto un gioco di parole per indicare il borgo spezzino dove si svolge o contiene un significato più profondo?
Ammetto di essermi divertita a giocare con le parole, ma Framura comunque è “il paese che non c’è”: quando si arriva alla stazione con il treno, ci si trova di fronte a un magnifico mare, ma il borgo è in alto: a me piace definirlo come una scala a chiocciola, con diversi piani, ognuno dei quali corrisponde a una frazione del paese.
Il festival comincia nel cuore del borgo, mentre l’ultima serata si svolge nel porticciolo sul mare. Uno dei sottotitoli che ho utilizzato quest’anno è “a quattr’occhi negli orti", che indica proprio la dimensione intima e ravvicinata del festival: non si tratta di uno “spettacolificio”, non ci sono palchi montati e impianti audio invasivi, il palcoscenico è totalmente naturale.
Spesso i festival teatrali sono a uso e consumo quasi esclusivo degli addetti ai lavori. Lei, da giornalista, è d’accordo? Il suo che tipo di festival è?
Non posso ignorare il concetto di festival come vetrina per addetti ai lavori. Io stessa sono reduce da qualche manifestazione estiva dove sono stata invitata come giornalista per vedere novità e anteprime che si potranno trovare nelle varie stagioni teatrali.
Credo che oltre a questa caratteristica, sia molto importante anche l’incontro con il pubblico e il territorio: molto spesso i festival più piccoli si svolgono a stretto contatto con gli abitanti.
Il borgo di Framura solitamente conta 300 abitanti e d’estate si riempie di un numero di turisti di passaggio mai troppo considerevole, perché la sua capacità ricettiva, per fortuna, non permette numeri importanti… niente a che vedere con le Cinque Terre, insomma, ma per l’economia di un borgo sono comunque cifre notevoli.
Quest’anno il tema del festival consiste in una riflessione sulla comicità a 50 anni dal debutto di “Mistero buffo” di Dario Fo. Qual è il messaggio?
Gli interventi artistici sono preceduti da aperitivi musicali: lo chansonnier Carlo Fava, come un pifferaio magico, chiama il pubblico a seguirlo lungo la via degli orti, illuminata fino al cortiletto dove avviene l’incontro vero e proprio, che diventa un meraviglioso teatro al naturale.
Per questo festival, ho scelto persone che per capacità professionale, secondo il mio gusto personale, sono riuscite a fare della comicità uno strumento di riflessione, scegliendo prima di tutto il teatro: per la serata d’apertura ho pensato a Lucia Vasini, perché è un’artista che stimo da sempre, poi l’ho vista in Mistero buffo (versione femminile) e l’ho trovata una magnifica erede di Franca Rame. Ma non le ho chiesto di portare uno spettacolo, sarà una chiacchierata informale con il pubblico.
Antonio Cornacchione è un interprete che guarda all’oggi è riflette sulla comicità in modo lucido, graffiante, caustico, ma mai volgare.
Con i suoi reportage lei ha girato il mondo, creando l’esperienza del “giornale parlato”: come coniuga il linguaggio giornalistico con quello teatrale?
Ho visto che c’è una grande fame di informazione, ma contemporaneamente molti si sentono sazi, pensando di soddisfare questo bisogno esclusivamente attraverso i titoli. I quotidiani sono sempre meno letti e mi dispiace molto, considerando che da oltre 20 anni firmo articoli sul Corriere della Sera. La lettura del giornale sul telefono, sul tablet in metropolitana o sui social, è superficiale ed è un fatto gravissimo. Ho notato invece che il bisogno di informazione è appagato dal silenzio e da un modo di stare insieme all’interno di uno spazio scenico - non per forza un teatro, anche essere un luogo protetto in mezzo alla strada, un giardino, una biblioteca, il retrobottega di un negozio – ad ascoltare qualcuno che non si è improvvisato operatore dell’informazione, ma che da anni fa questo mestiere e che possiede anche gli strumenti per interpretare la realtà. Altrimenti che differenza c’è tra un giornalista e uno che passa per la strada e filma con il telefonino, poi mette un titolo e fa un post? Altroché giornalismo 4.0, il mio è 0.1: mi prendo la responsabilità di metterci la faccia e lascio che sia la notizia protagonista sul palco.
Io sono una giornalista prestata alla scena e in questo modo do voce alla notizia e metto in comunicazione i fatti con il lettore.
Essere giornalista l’ha aiutata nella direzione artistica del festival?
Sì, perché scrivendo di teatro non ho avuto grandi difficoltà a scegliere i temi o gli artisti più indicati da coinvolgere. La mia agenda è ben fornita e la passione, nonostante tutto, non è ancora venuta meno.
Meglio il mestiere del giornalista o dirigere un festival?
Mi piacerebbe poter dire che le due cose non entrano in collisione. Spero di poter continuare in entrambi i percorsi con la stessa passione e con la massima libertà.