Hanno detto che è troppo giovane, e addirittura “troppo bello” per fare il Giovanni, la storica maschera della Compagnia di Legnano. Ma questo quarantenne di Abbiategrasso raccoglie la sfida.
Un inizio come orafo, poi la folgorazione per il teatro, dove inizia la carriera di attore e di insegnante nei laboratori per bambini, adolescenti e adulti con “Scimmie Nude”. Quarantatré anni, laurea in Beni culturali indirizzo Cinema Musica e Teatro, con una tesi proprio su I Legnanesi, una carriera nel teatro di ricerca: ora, con la “chiamata” per il ruolo del Giuan Colombo, Lorenzo Cordara ha temporaneamente messo in stand-by l’insegnamento, che resta comunque la sua passione.
Lo abbiamo intervistato a pochi giorni dal suo debutto ufficiale. Consapevole della “pesante” eredità del predecessore Luigi Campisi, si racconta a cuore aperto.
Un ruolo che è Storia con la S maiuscola. In fondo, è come cambiare Zingaretti in Montalbano con un altro attore. Come ci si sente?
Beh, sarei falso a dire che non ho un po’ di ansia, ma è un’ansia sana. Sarò davanti a un pubblico abituato ad attori storici, ma è una sfida e al contempo un cambiamento, e il cambiamento crea sempre delle aspettative, delle delusioni, ma crea anche delle cose positive. E’ la bellezza di questo mestiere. “Il teatro è finzione ed è per questo che ho bisogno di attori veri”, disse Strehler e io sul palco voglio essere vero. Alla fine anche Arlecchino e Pulcinella sono maschere, esistono da secoli e ognuno le porta avanti con vari volti e varie modalità. Certamente, l’abitudine porta uno sbilanciamento, ma cercherò di andare a ribilanciare e spero che il pubblico mi voglia bene comunque.
Come è arrivato a questo ruolo?
C’è da dire che i Legnanesi sono per me una lunga tradizione di famiglia, dato che i miei genitori a Natale mettevano sempre il loro LP e ci facevamo grandi risate e cantate in allegria.
Poi ho organizzato delle date dei Legnanesi ad Abbiategrasso, il mio paese d’origine e, negli ultimi mesi, sapevo che c’era nell’aria l’addio di Campisi alle scene, quindi mi sono proposto. Ho fatto vedere delle cose ad Antonio Provasio, delle parti di me in dialetto, in cui cercavo di ricalcare la figura del Giovanni. Hanno provinato diverse persone e poi hanno scelto me. Non posso che esserne felice e onorato.
Consigli da Campisi?
Per me lui è un fenomeno, uno dei miei idoli teatrali di sempre. Ovvio, ci siamo confrontati, mi ha dato dei consigli, mi ha detto di contare pure su di lui per qualsiasi cosa. Ma in tutta sincerità vorrei cercare di dare una mia impronta al Giovanni.
Dunque che Giuan sarà quello di Lorenzo Cordara?
Sicuramente non voglio fare una copia di Campisi, perché cadere nell’imitazione è facile ma molto rischioso. Tuttavia, la maschera è quella: un anziano, un gran bevitore, con la sua camminata incerta. Ci ho messo del mio, prendendo spunto da qualche osteria di Abbiategrasso e da un paio di personaggi che lavorano in un vecchio mulino vicino a casa mia, che si occupano di riso, granoturco… due personaggi di campagna. Il “mio” Giovanni lo stiamo preparando giorno dopo giorno… è evidente che all’inizio sarà un po’ costruito, ma col tempo prenderà forma, si plasmerà di replica in replica. Al pubblico chiedo solo un po’ di pazienza e di fiducia: sono certo che vorrà bene anche al “mio” Giovanni.
Come è il modo di fare teatro di Lorenzo Cordara, al di là della maschera del Giovanni?
Io seguo la regola delle 3 C: cuore, coraggio e curiosità, quelle che devono esserci sempre in teatro. E ne aggiungo una quarta: concentrazione.
Come le è sembrata la “famiglia” Legnanesi?
La parola famiglia non è casuale: io nel giro di un anno e mezzo sono rimasto solo, perché ho perso sia mia mamma sia mio papà. Davvero una dura prova per me. Qui respiro l’aria di una famiglia – e spero di non sbagliarmi. L’ho detto anche a loro: ho bisogno di quest’aria familiare. E vorrei che anche il pubblico mi sentisse, col tempo, uno di famiglia.
LEGGI ANCHE: Intevista a Luigi Campisi
Qui TUTTI GLI SPETTACOLI in scena nei Teatri italiani.