Ragazzi di vita… crescono. Lo spettacolo diretto da Massimo Popolizio torna sui palchi d'Italia anche in questa stagione. Dietro le quinte abbiamo intervistato il giovane e talentuoso Lorenzo Parrotto.
Lorenzo Parrotto entra nel 2016 nel cast di Ragazzi di Vita, subito dopo il diploma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”. Nonostante la giovane età vanta già numerose esperienze e importanti collaborazioni e sicuramente Ragazzi di vita, in scena al fianco di Lino Guanciale (Qui l'intervista a Lino Guanciale) resta una tra quelle maggiormente significative per la sua crescita personale e artistica.
In questa intervista Lorenzo ci spiega come il romanzo pasoliniano del 1955, tradotto sull'attuale scena teatrale, resta tutt'oggi una provocazione ma anche un invito alla riflessione sui mali della nostra società, un vero esempio di teatro popolare e appassionato che è memoria storica per le generazioni che verranno.
Lo spettacolo, il romanzo-documentario di Pasolini, parla di ragazzi di strada che crescono e diventano uomini. Dopo tre anni quanto è cresciuto il “tuo” ragazzo di vita?
Una delle cose più belle e misteriose del teatro è che è fatto dalle persone. Persone che quasi sempre hanno un vissuto diverso, che determina poi le loro scelte e il loro lavoro. E’ il caso di questo spettacolo: essendo ancora molto giovani dopo tre anni si possono notare in noi grandi differenze sia a livello fisico che umano, avendo avuto più esperienze. Il “mio” ragazzo di vita si sta divertendo molto di più.
Neorealismo, ferocia ma anche spontaneità e bellezza di una Roma lontana. Ragazzi di vita è questo e molto altro. Per te cosa ha rappresentato?
Quando penso a questo spettacolo e a quello che racconta, mi viene subito in mente ciò che mi disse mio nonno dopo la prima replica, nel 2016: “Roma era proprio così”. Questo per dire che, aldilà di quello che si può definire soggettivamente giusto o sbagliato, questo spettacolo, grazie alla visione sapiente di Massimo Popolizio, racconta un mondo che comunica una ‘forsennata vitalità’, che comunica quello che era davvero. E avere memoria grazie al teatro è avere anche l’opportunità di rivivere e immaginare ciò che è stato. E' una grande ricchezza.
Lo spettacolo richiede una grande preparazione fisica affiancata a quella tecnica e vocale. Quali strumenti sono stati utilizzati per raggiungere questo risultato?
Ricordo perfettamente che per questo spettacolo abbiamo fatto pochissimo ‘tavolino’. Massimo ci ha catapultati direttamente sul palcoscenico avendo già in mente ogni cosa. Ci ha sempre detto che stavamo creando una griglia, una gabbia, ma che proprio grazie ad essa saremmo stati forti, incisivi e protetti. La vocalità e la preparazione fisica sono stati alla base del montaggio di questo spettacolo. Moltissimo ha contato la tecnica.
Lo spettacolo è sicuramente provocatorio per gli espliciti riferimenti sessuali. Come viene percepita secondo te una simile operazione teatrale sulla scena contemporanea di oggi?
La parabola del Riccetto è emblematica per spiegare e rappresentare ciò che stava accadendo in quell’epoca. Da una amoralità si è passati a un’immoralità, frutto della società dei consumi prima e dell’avvento della tecnologia poi. Nella prima scena rischia la vita per tentare di salvare una rondine, nell’ultima lo vediamo gioire per le sue scarpe nuove senza neanche provare a salvare un bimbo che si tuffa nell’Aniene. Questa, oltre a essere una provocazione, può rappresentare un’importante chiave di lettura per i nostri tempi. Cos’è importante per noi? Qual è e com’è diventato il nostro sistema di valori? Secondo quali criteri diamo l’importanza giusta a quello che noi riteniamo giusto? Sono discorsi molto aperti, e al tempo stesso necessari.
La vita dei ragazzi è una vera e propria lotta per la sopravvivenza. Potrebbe essere questa una metafora e una fotografia della società odierna?
Ciò che stupisce di più è come Pasolini descrive le borgate romane negli anni ’50. Baracche, lamiere e bidonville a perdita d’occhio, quartieri che oggi prendono il nome di Quarticciolo, Pietralata, Montesacro, Acqua Bullicante, Quadraro. In uno dei monologhi iniziali il personaggio di Lino ci fa capire come Roma all’epoca non aveva nulla di diverso rispetto a una grande metropoli indiana o sudafricana, per via delle condizioni di vita, delle infrastrutture, del clima. Oggi molte cose sono cambiate, ma non la povertà e le difficoltà delle persone.
Il tuo momento più bello in questa avventura?
Il momento più bello è stato senz’altro il giorno in cui ho saputo che avrei fatto parte di questa famiglia. Inoltre, lascia ben sperare il confronto con gli spettatori che, subito dopo le repliche, hanno ancora voglia di parlare e di sapere di più riguardo Pasolini e lo spettacolo. Sono convinto che un teatro fatto con passione e onestà avvicinerà sempre di più il pubblico.
Quali sono i tuoi prossimi programmi?
Qualche novità in cinema e tv ma non dico nulla perché rimango un sanissimo scaramantico. Il prossimo novembre debutterà a Roma, il Satyricon riscritto da Francesco Piccolo e diretto da Andrea De Rosa. Dopodiché partirà la tournée di Kobane Calling, il primo adattamento teatrale di Zerocalcare diretto da Nicola Zavagli.
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