Teatro

Gli occupanti del Globe: "Il nostro è stato un atto politico"

Globe Theatre
Globe Theatre

L’occupazione al Globe voluta dalla rete di lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo e della cultura si è conclusa. Ora si tirano le somme.

Sono sette le regie che hanno messo in atto, nei giorni scorsi, l’occupazione al Globe Theatre di Roma: Presìdi Culturali Permanenti, Il Campo Innocente, Autorganizzat Spettacolo Roma, Mujeres nel Teatro, Arci Roma, RISP, CLAP. 

Un’azione dichiaratamente politica mossa da una necessità, quella di avere un confronto con le Istituzioni. Sono passati tanti, troppi mesi dall’inizio della pandemia, mesi nei quali le mobilitazioni nel settore sono state effettivamente considerevoli tra la nascita di collettivi, le manifestazioni in piazza e l’occupazione dei teatri. Eppure, nonostante il fermento, le richieste da parte del settore in tema tutele, sostegni, diritti e rinnovamento sono rimaste ad oggi inascoltate. 

In questo silenzio è cresciuto il malessere e continuerà a crescere se non si vedranno a breve risultati concreti. Ne abbiamo parlato con Luisa Casasanta, attrice, autrice, membro dei Presìdi Culturali Permanenti e presente nel tavolo comunicazione del Globe Occupato.
 

Perché occupare un teatro e perché proprio il Globe?
Era per noi importante seguire la scia intrapresa nelle altre parti d'Italia e oltralpe, le mobilitazioni precedenti sono stati per noi una bella spinta, partendo dalla timida iniziativa del Verdi di Padova fino alle occupazioni del Mercadante di Napoli e del Piccolo di Milano. Chiaro che c’è un sentimento generale sulla mobilitazione: la necessità di farsi ascoltare. 
In merito al Globe, c'è stata una polemica sulla scelta perché si è pensato a una sorta di critica della gestione. In realtà, l'occupazione era simbolica, era importante che si concretizzasse questo sentimento nazionale per il quale c'era una necessità di risposta. Il Globe era uno spazio ideale per la logistica, per il rispetto delle norme sanitarie, un luogo adatto all'accoglienza non solo del comparto e dei precari ma anche della cittadinanza, della popolazione.

Anche l’India ha gli spazi adeguati, perché non occuparlo? Tra l’altro siete stati appoggiati dal Teatro di Roma...
Volevamo dare un significato politico al gesto compiuto, che fosse un gesto forte e che portasse con sé anche un rischio. Doveva essere un fulmine a ciel sereno come è stato, ci interessava quello. Se fossimo andati all'India magari avremmo avuto le spalle coperte, ma non la risonanza anche mediatica ottenuta.

© LaPresse


Si è mobilitato anche Franceschini, lo avete invitato voi?
No, il Ministro è stato informato e qualche ora dopo si è presentato al Globe. Siamo stati molto felici di questo, di poter avere un dialogo con lui. Ovviamente noi eravamo ipercritici ma siamo stati molto attenti a cogliere questa opportunità senza sprecarla in gesti o parole inutili. 
Naturalmente è stato contestato con una agorà politica e sicuramente ha detto anche cose che non corrispondono a verità, ma abbiamo ottenuto un incontro, un tavolo interministeriale con la presenza anche del Ministro del Lavoro. 
Ci sarebbe piaciuto avere in presenza anche il Ministro dello Sviluppo Economico e delle Finanze, per parlare delle condizioni di lavoro, dei contratti e del Fus, ma è comunque un inizio. Probabilmente, se fossimo rimasti alle mobilitazioni in piazza non avremmo ottenuto questo risultato.

Rispetto alle altre organizzazioni, avete chiesto cose diverse al Ministro?
Naturalmente abbiamo intercettato le istanze di altri gruppi attivi politicamente, ci siamo incontrati e scontrati con altri tipi di istanze. Ci sono delle priorità come ad esempio la gestione del reddito di continuità. Il discorso del precariato è generale, riteniamo che il reddito di continuità sia pregnante, questo rispetto ad altri gruppi. Solo alcune categorie sono tutelate da leggi come la Orfini-Verducci. In questo anno quasi e mezzo sono state ottenute poche vittorie, ma è chiaro che uniti abbiamo una risonanza diversa. Ci siamo messi in discussione, scambiato opinioni e questo ha portato poi alla possibilità di un tavolo di confronto con le istituzioni.

Questa occupazione ha diviso un po’ il settore, alcuni vi hanno appoggiato altri no, come mai? Eppure avete dichiarato che è stato un gesto a favore di tutta la categoria.
Innanzitutto abbiamo avuto una rassicurazione dalla stampa, è stato chiaro che l’occupazione non fosse un gesto per l'apertura dei teatri ma per la riforma del settore e già questa è una mini vittoria. Quello che mi dispiace di alcuni colleghe e colleghi è la loro inconsapevolezza, un atteggiamento difficile da scardinare, questa lontananza dalle mobilitazioni come richiesta dell'esercizio di un diritto. Da almeno vent'anni c'è una sorta di guerra tra poveri, è difficile accedere al lavoro e nel momento in cui si lavora mancano i diritti, le tutele e le garanzie.
Hanno pensato che potesse essere tolto qualcosa dal già poco che si riceve. Erano preoccupati per la stagione estiva, per il fatto che potessimo impedirgli di andare in scena, hanno pensato al proprio orticello senza capire che quello che stavamo portando avanti va oltre. 

© Matteo Nardone

La paura della sopravvivenza da un lato è comprensibile, dall'altro abbiamo lavoratori e lavoratrici privi di tutele, garanzie e diritti. Non aver colto questo è dimostrare ancora una volta di essere sotto scacco. 
Alcune ‘personalità’ hanno gridato alla sacralità del teatro, pensando che potessimo trasformare il Globe in un centro sociale. Una di queste, e parlo a titolo personale, è un mio ex datore di lavoro che non ha mai pagato le prove, ad esempio.

Le proposte al Ministro, quanto pensi incideranno sul cambiamento che il settore auspica?
Le proposte inciderebbero se fossero adottate, la preoccupazione è proprio che l'incontro sia di facciata e non il trampolino di lancio per un reale cambiamento. Noi abbiamo le idee abbastanza chiare, sappiamo quali sono le falle, cosa va riformato e cosa va ricostruito da capo. C'è la necessità di rivedere la contribuzione, la redistribuzione dei fondi Fus, la necessità di un reddito di continuità o la formazione di una retribuzione permanente, qualcosa che intervenga nei periodi di inattività, una richiesta impensabile anni fa per un diritto del genere quando in realtà in Francia già esiste. 
Il modo per metterlo in pratica c’è, i soldi ci sono, bisogna solamente indirizzarli. Le nostre richieste sono necessarie e fattibili, bisogna naturalmente aspettare le risposte.


Una sintesi di quanto emerso in questi cinque giorni di occupazione?
Ci sono battaglie comuni che è necessario portare avanti tutti insieme.

Avete avuto l’appoggio di un teatro pubblico, è importante che abbia sostenuto i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo. Però i teatri pubblici non hanno sollevato grandi questioni in questo periodo...
Quando abbiamo iniziato la mobilitazione, abbiamo cercato di capire quali fossero i nostri nemici, coloro che impedivano un rinnovamento, il rifondare totalmente il settore. Chiaramente sarebbe facile individuarli nei datori di lavoro, ma il datore di lavoro agisce in un sistema che è già strutturalmente marcio; per questo i nostri interlocutori devono essere le Istituzioni. I datori di lavoro, se virtuosi, avrebbero altrettanto interesse a scardinare un sistema malsano per rifondarne uno invece salubre.
Questa mobilitazione dal basso, che va avanti da mesi e che ora con l'occupazione del Globe ha ottenuto risonanza e adesione, serve anche a capire questo: se i teatri pubblici possano dirsi nostri alleati oppure no. 
Abbiamo stilato una lettera di adesione affinché fosse firmata anche da chi, con la sua firma, può decretare un reale cambiamento. Eppure attualmente il Teatro di Roma è l'unico teatro pubblico ad aver aderito alla nostra mobilitazione e questo è significativo. Ora che la misura è colma e un cambiamento è più che necessario, su questi temi bisogna che la parte datoriale prenda una posizione, dia delle risposte; in due parole, bisogna inchiodarli. Dato che finora hanno latitato, che ora ci dicano da che parte stanno.

Avete dichiarato che questo è solo un primo passo. Sono previste altre ‘incursioni’ in futuro?
Non ci fermeremo, assolutamente, è stato un inizio. Sicuramente ci saranno altre azioni perché con questa occupazione ci si è aperto l'universo. Il 26 aprile è fissata questa terza falsa partenza e capiremo quale tenore dare alla militanza, non possiamo stare a guardare anche questa imposizione.