Un libro strutturato solo e unicamente come dialogo. Una bella sfida che ci racconta proprio Baccomo in questa intervista, che ora vede il suo romanzo prender vita sul palcoscenico con Claudio Bisio e Gigio Alberti.
2007. Un rampante avvocato milanese molla carte bollate e tribunali e apre un blog in cui si burla del mondo del lavoro. Ironia e cinismo a dosi massicce: è un successo. Il giustiziere (allora) mascherato si fa chiamare Duchesne e, nel giro di qualche anno, diventa uno dei più apprezzati autori italiani, “penna” dei testi di Claudio Bisio e Frank Matano – per citarne alcuni.
Lui è Federico Baccomo, scrittore, autore, anche insegnante di scrittura e il suo ultimo libro “Ma tu sei felice?” (Solferino, 2019) è ora in scena in tutta Italia come pièce teatrale, con Claudio Bisio e Gigio Alberti.
Come nasce questo testo, dal taglio così particolare e dal ritmo veloce?
È un'idea cui stavo dietro da dieci anni, quella di scrivere un romanzo in forma di dialogo, senza parole che non fossero quelle pronunciate dai personaggi stessi. Le prime pagine risalgono al 2009 e furono pubblicate su una rivista di fumetti. Da allora, anno dopo anno, ho continuato a far parlare i due personaggi.
Qual è la difficoltà nello scrivere un testo solo dialogo?
La difficoltà più grande per un autore credo sia quella di nascondersi. In un romanzo - nelle descrizioni, nelle scene di azione, nelle riflessioni - l’autore può esibire il suo sguardo, le sue parole, il suo bello stile. Viceversa, quando si hanno a disposizione solo dialoghi, bisogna essere fedeli alle voci dei personaggi, contano solo loro, e se sbagliano i congiuntivi, tocca sbagliare i congiuntivi.
Bisio e Alberti ora lo portano a teatro. Come si è realizzato questo passaggio?
È stata un'idea di Claudio. Sono anni ormai che gli faccio leggere i miei libri in anteprima: lui mi fa l'onore di accompagnarmi nelle presentazioni, dove spesso legge dei brani nel modo splendido che ha lui di rendere ritmo e battute. Fin dall'inizio ha amato il testo e azzardato l'ipotesi di portarlo un giorno a teatro. Poi è arrivato il lockdown e, insieme a Gigio, ha curato una lettura integrale online. Il riscontro è stato ottimo e, da lì, è venuta l'idea di portarlo a teatro e rendere la lettura un vero e proprio spettacolo.
Durante la stesura del libro, a chi ti sei ispirato per Vincenzo e Saverio, i due protagonisti?
Fisicamente non li ho mai immaginati, è una cosa che tendo a non fare. Mi piace concentrarmi sulla specialità delle voci, del vocabolario, dei tic linguistici. Vincenzo è l'uomo che si dà arie di successo, di obiettivi raggiunti, e la sua grammatica, esagerata, arrogante, ne risente. Saverio è quello invece che si dà arie di saggezza, di conoscenza, e dunque si fa sornione, compiaciuto. Anche se poi l'uno di successo non ne ha davvero, né l'altro di saggezza. Ma se intendi se avessi in mente due volti noti (e appunto due voci) che li interpretassero, la risposta è: Claudio Bisio e Gigio Alberti.
Ruffianeria?
Facile pensarlo, ma proprio a liberarmi del sospetto, lo spiego: Claudio è un interprete ideale delle cose che scrivo fin da quella volta che un personaggio di un mio libro, La gente che sta bene, dovendo pensare a un attore che lo interpretasse sullo schermo, urla: "Claudio Bisio!". La cosa pazzesca è che poi è successa davvero, il che credo stabilisca un precedente difficilmente replicabile: un personaggio di un libro che sceglie il proprio attore sullo schermo. Quanto a Gigio, l'ho visto a teatro diverse volte, tre o quattro solo per Aspettando Godot, e la sua performance mi aveva incantato. Se a questo si somma che Claudio e Gigio sono più che amici, fratelli, si può capire perché fossero (e sono) la coppia ideale per dare anima a questo testo.
A ben vedere, poi, il libro si presta molto per una trasposizione teatrale. Era già stato pensato in quest’ottica?
La speranza che diventasse una pièce ha accompagnato tutta la stesura, ma senza mai sconfinare nelle intenzioni: i dialoghi del libro son stati scritti per essere letti da un lettore nella solitudine del divano. La sorpresa è che funzionano anche sul palco ma il merito è soprattutto degli attori.
Dove pesca, Baccomo, il materiale per i suoi testi? Cosa osserva, chi, dove e come?
Mi sono sempre considerato senza fantasia, eppure le storie che scrivo mi nascono tutte nella testa, non sono storie vere, né storie che ho incrociato, né storie che ho vissuto (nemmeno il mio primo romanzo, che parlava di avvocati e che spesso è stato chiamato autobiografico: non c'era nulla di vero, se non un ambiente e uno sguardo). Poi naturalmente tutto quello che vedo, sento, leggo, che mi passa davanti, finisce nei testi, ma ricombinato in una forma che inganna la realtà, ordinandola in quella cosa che spesso viene irrisa, svalutata, ma a me continua a sembrare una gran magia dei romanzi: la trama.
Una commedia dell’assurdo dove Vincenzo e Saverio ricordano molto i due Estragone e Vladimiro. Ti hanno ispirato?
Eh sì. Beckett, non solo con Aspettando Godot, è una presenza viva nel testo, non tanto come ispirazione quanto come nume, tanto che i personaggi a un certo punto lo citano e lo deridono, senza rendersi conto che è anche a lui che devono la possibilità di stare intorno a un tavolo a chiacchierare.
Ma tu sei felice, Federico?
Certo, come tutti.
MA TU SEI FELICE? - La Date del Tour