Intervista a Falaguasta. Comunicatore a tutto tondo, ci parla del suo modo di essere attore e del suo nuovo spettacolo, "Cotto e stracotto" in scena al Teatro Golden di Roma.
Avvocato, attore, autore e regista - sia per il cinema che per il teatro - sempre attento ai contenuti ed alla riflessione. Marco Falaguasta ha ricoperto ruoli di buono e cattivo in moltissime fiction televisive e adesso si prepara ad debutto del suo nuovo spettacolo Cotto e stracotto, in scena al Teatro Golden di Roma dal 5 febbraio. Un testo attualissimo in cui racconta le disavventure di tutti noi alle prese con la burocrazia.
Memoria e loquacità accomunano le sue professioni, avvocato e attore, dove la base comune è la comunicazione. Il suo essere attore nasce quindi da un esigenza di essere in primis un comunicatore?
Sì, assolutamente. Io credo proprio questo, che attore sia una delle specifiche di un concetto più generale che è quello del comunicatore. A me appassiona proprio questo, cioè: “Perché l’altra persona dovrebbe ascoltare? Quali sono i meccanismi attraverso i quali si riesce o meno a catalizzare l’attenzione di chi ti deve ascoltare, ad avvincere chi ti sta di fronte?”. La professione di attore è quella attraverso cui questo concetto si sublima, perché chi non sa farsi ascoltare è un attore che, alla lunga, molto probabilmente dovrà cambiare mestiere, oppure accontentarsi di farlo ad un livello medio basso, e vale lo stesso per un avvocato.
Ha spaziato in ruoli diversissimi: dal “cattivo” al buono, al comico o ironico, ma sempre con un occhio alla riflessione…
Sul concetto di far riflettere va tarata bene l’affermazione, nel senso che quello che interessa a me è raccontare qualcosa che possa essere uno spunto di riflessione per chi mi ascolta. Se si verifica questo, allora la comunicazione - ritornando alla risposta precedente - diventa un’opportunità. Se ciò non si verifica, diventa una delle tante informazioni dalle quali quotidianamente siamo inondati. A me non piacciono i racconti fine a sé stessi, cioè un narrare eseguito semplicemente per dar modo all’oratore di fare vedere quanto parla bene e quanti termini conosce, o quelli fatti alla pura finalità di divertire, del ridere per ridere.
Un suo spettacolo teatrale si intitola “So tutto sulle donne”: in genere gli uomini dicono che siano impossibili da capire. Lei invece sapendo tutto, sa capirle?..
No, io non credo che le donne siano incomprensibili. Penso sia un luogo comune e come tale mi dà fastidio. Io ritengo che abbiano una maniera di ragionare molto diversa dalla nostra, molto più pratica, più sintetica, ma semplicemente perché le donne imparano il pragmatismo già da piccole, quando a dodici, tredici anni entrano nell’ordine dell’idea che daranno la vita. Perché imparano a conoscere il loro corpo attraverso i cicli naturali in maniera molto più rapida del maschio, che a quella età va a giocare a pallone punto e basta. Una ragazzina già deve prendere un impegno con sé stessa e questo conferisce alla donne un modo di ragionare più maturo. Ma non credo poi che a livello di sentimenti, sensazioni ci siano tante differenze. Anzi, io dico di non poter fare a meno della figura femminile, non solo sotto un profilo di ordine sentimentale, ma proprio come punti di vista: me ne hanno offerti di migliori le donne degli uomini, che me ne hanno dati di più vicini alla mia cultura al mio modo di vedere le cose e la vita in generale. Ascoltare il punto di vista di una donna è come affacciarsi da un balcone che fino a quel momento era rimasto chiuso. Ti consente di guardare lo stesso paesaggio da un’angolatura completamente diversa.
Il titolo della commedia So tutto sulle donne era però sarcastico, si riferiva ai “So tutto io” della situazione: immancabilmente nel processo di crescita di ognuno c’è sempre l’incontro con l’amico che ti dice come ci si comporta con le donne e che dispensa consigli, ma questo avviene “solo” perché ha 4 divorzi e 20 separazioni alle spalle…
Se lo chiedessi adesso, saprebbe farmi un bello spot per il teatro?
Beh, sì. Agli inizi si attinge ai conoscenti, ai parenti, che magari non sono mai andati di propria iniziativa a teatro e tu quando hai uno spettacolo li solleciti ad andare. Così in un anno, per tre, quattro volte, per compiacenza, affetto, pietà… - sorride - ti vengono a vedere, ma poi c’è il rischio che ti memorizzino sul telefono con il nome “non rispondere mai più”… Questo ovviamente è successo pure a me quando ho iniziato. E per non andare a teatro c’è sempre una ragione: la sera si è stanchi o magari proprio quella sera sei riuscito a trovare parcheggio sotto casa, o piove e fa freddo… Però, poi quando si vincono tutte queste pigrizie, al teatro ci si diverte come in nessun altro posto. Andare ripaga di ogni cosa: lo spettacolo dal vivo è rimasta una delle poche cifre che fa la differenza in un epoca di virtualismo, in cui tutto è gestito da remoto. L’emozione di uno spettacolo dal vivo non te la dà niente altro! Anzi forse dovremmo cercare di non perdere questo tipo di sensazione, perché dà quel sapore unico, che costa un po’ di più andarsi a cercare, ma che risulta impagabile perché è tutt’altro rispetto a una quotidianità fatta ormai di on-demand, computer e, soprattutto, i-phone
Siamo quasi al debutto dello spettacolo teatrale “Cotto e stracotto”. Mi vuole raccontare qualcosa?
In Cotto e stracotto parlo della condizione dell’individuo di fronte alla burocrazia. Ho voluto affrontare l’argomento perché, secondo me, stiamo troppo spesso rinunciando al ruolo di cittadini per assumere sempre di più quello di sudditi: accettiamo un po’ di tutto, tutta una serie di cose che farebbero impallidire anche le persone più perseveranti e coraggiose.
Il contesto è molto comico: siamo tanto piccoli di fronte a una macchina burocratica così grande, vorace. Tutto molto comico se si guarda al singolo episodio e basta! Se, però, dopo si osserva con attenzione cosa c’è dietro, secondo me prima o poi dovremmo far qualcosa per ribellarci…
Per INFO e DATE vai alla SCHEDA DELLO SPETTACOLO (Cotto e stracotto)