Teatro

Marina Spreafico e il Paradosso del Poliziotto

Marina Spreafico e il Paradosso del Poliziotto

Con un testo scritto da Gianrico Carofiglio, Marina Spreafico, fondatrice del Teatro Arsenale di Milano, chiude la sua stagione e sostituisce ‘Guerre d’Africa’ in extremis. Carofiglio, magistrato e scrittore appena cinquantenne i cui libri sono tradotti in tutto il mondo, ha svolto le funzioni di Sostituto procuratore alla Direzione distrettuale antimafia di Bari. Ha vinto numerosi premi, tra cui il Premio Bancarella con Il passato è una terra straniera. L’Arsenale è stato trasformato in un locale, uno di quei bar dove si passa la serata e si incontrano le persone e in questo locale si incontreranno i personaggi de Il Paradosso del Poliziotto. Il Poliziotto e, appunto, la Scrittrice che gli ha chiesto un appuntamento. In questo locale si dipanerà, tra racconto e soggettive, il percorso umano e professionale di una presa di consapevolezza emblematica. Ne parliamo con la Marina Spreafico, qui in veste di regista.

 

Cosa rappresenta questo soggetto teatrale?

Mediante il racconto di alcuni casi giudiziari e dei relativi metodi di indagine, un poliziotto svela l’essenza paradossale del lavoro investigativo. E mostra l’inutilità della violenza per ottenere risultati attendibili.

Inquietante. Hai dovuto cambiarlo per farne una sceneggiatura?

Il testo è tale e quale, ma ho scansionato a blocchi questo dialogo, diciamo. inserendo cose teatrali perché in certi momenti è molto tecnico e ho pensato di inframmezzarlo con una specie di inserti a parte.

Inserti che spiegano meglio i contenuti del dialogo?

Secondo me, sono una specie di rilievo a quanto viene detto, che è chiarissimo. E’ tutto inserito in modo che si assapori il gusto di quanto viene detto, in modo da farlo emergere e renderlo più fruibile.

Vale a dire?

Per esempio, il protagonista racconta due casi giudiziari, capitati a questo poliziotto, personaggio di finzione: uno gli ha fatto capire come comportarsi con un sospettato, l’altro è il metodo da lui elaborato per ottenere delle confessioni.

Ci sono momenti drammatici?

Il primo campanello d’allarme è un pestaggio in questura a cui il poliziotto ha assistito, senza parteciparvi. L’inserto lo mostra, uno dei tantissimi che descrivono i contenuti dei dialoghi.

Credi di aver ben dosato gli interventi?

Io ho cercato di trovare un equilibrio sui due piatti di una bilancia: uno è il piano dello spettacolo e uno quello della vita reale e ho cercato di far pareggiare i due, benché talora si alzasse l’uno piuttosto che l’altro.

Ci sono molti colpi di scena?

Il nostro poliziotto in realtà parla di eventi quotidiani; ha compreso il comportamento giusto da tenere nel corso delle indagini con tanto di linguaggio preciso, forse più da pubblico ministero.

Riesce ad essere appassionante?

E’ molto pregnante. Lui parla di tecniche giuridiche e giudiziarie, tirando fuori pensieri sulla cosa. Sull’atteggiamento da avere nei casi giudiziari e tecnica d’interrogatorio.

Quanti attori sono in scena?

Il dialogo è in mano a soli due attori, ad altri dieci vanno gli inserti. I protagonisti del dialogo sono Mario Ficarazzo e Claudia Lawrence, gli altri sono Luca Ciardone, Bintou Ouattara, Irene Curto,  Alessandro Pallecchi, Lorenzo Gentilini, Angelica Prezioso, Danilo Mercatante, Pierre Villa, Lucia Nicolai e Marco Virgilio, tutti allievi diplomati nel 2011 di Scuolarsenale.

Perché senti che questo argomento dovesse stare in palcoscenico?

Io credo nella parola detta molto più che nella parola letta, è nella natura della persona di teatro, se no farei il critico letterario! Ma per me una cosa, finché non è detta a voce alta, non esiste: va detta, in un contesto di vita come il teatro, che migliora tutto, secondo me.

E’ in scena solo fino a domenica 5 giugno. Potremo rivederlo in autunno?

Speriamo di riprenderlo la prossima stagione. A me è piaciuto tanto e embra che anche il pubblico apprezzi questo diverso modo di intendere il teatro, con una testimonianza civile per un teatro civile, immerso nella nostra realtà quotidiana.