Stage Entertainment Italia torna a produrre dopo tre anni di "pausa". La scelta è caduta sul musical "Footloose". Ne abbiamo parlato con Matteo Forte, amministratore delegato, nel nostro Paese, del colosso mondiale del "live entertainment".
Matteo Forte, amministratore delegato di Stage Italia, illustra lo sviluppo della strategia aziendale del colosso mondiale del live entertainment; tra indiscutibili successi e nuovi progetti, espone il suo punto di vista (di operatore privato) sul sistema di finanziamento pubblico alla cultura nel nostro Paese.
Ci racconti come Stage Entertainment ha iniziato la sua avventura in Italia.
Nel 2007 abbiamo rilevato il Teatro Nazionale di Milano, iniziando i lavori di ristrutturazione, con l’obiettivo di collaudare in Italia la lunga tenitura, ovvero la permanenza nei nostri teatri di uno stesso spettacolo per l’intera stagione. Abbiamo iniziato con La Bella e la Bestia, nel 2009: sono stati venduti oltre 300 mila biglietti, con un incasso superiore ai sedici milioni di euro. Tuttavia, i costi di gestione dello spettacolo risultavano più alti di questo incasso straordinario; abbiamo dunque provato a spostare la produzione da Milano a Roma, per essere presenti sui due principali mercati di riferimento italiani, ma anche per poter “spalmare” i costi di allestimento dello spettacolo. Finché, nel 2012, abbiamo deciso di cambiare completamente il nostro modello di business, cominciando a ospitare altri spettacoli oltre alle nostre produzioni e cercando uno sponsor che volesse essere visibile sul mercato e ci aiutasse in termini economici: la visibilità che Barclays ha avuto all’interno del Teatro Nazionale ha aperto la strada a molte altre aziende che ci hanno chiesto spontaneamente una collaborazione.
Questo “nuovo” modello di business viene utilizzato nei teatri Stage Entertainment di tutto il mondo?
No. La nostra multinazionale è sempre stata concentrata sulle attività di produzione e vendita degli spettacoli. Questo fino a quando, nel luglio 2015, Stage Entertainment è stata acquistata per il 60% da un fondo d’investimento. Il restante 40% è ancora nelle mani di Joop van den Ende, fondatore e presidente, la cui “missione personale” era quella di realizzare spettacoli top quality, senza “contaminarli” con nessun altro marchio. Il modello Stage attualmente presente in Italia rappresenta il punto di riferimento a livello internazionale per tutte quelle attività di sponsorizzazione e che sono "altro" rispetto alle competenze più specificamente teatrali. Stiamo cercando di convertire alcuni dei nostri teatri nel mondo in questo senso.
Cosa nello specifico ha funzionato meno negli anni scorsi, tanto da indurre Stage Italia a cambiare strategia?
L’errore che non abbiamo riconosciuto di aver fatto nel corso dei primi tre anni è stato quello di investire troppi soldi negli spettacoli. Io ho visto quest’anno diverse produzioni ben fatte, l’ultima è Jersey Boys. Una produzione realizzata evidentemente con un budget che, a confronto con quello de La Bella e la Bestia, è molto più basso. Eppure si tratta di un buon titolo, prodotto in maniera ottimale. L’errore di Stage, dunque, è stato quello di doversi confrontare con un mercato che produce a basso costo, avendo lo stesso bacino di riferimento, ma con un punto di rientro dell’investimento che è molto più alto rispetto a chiunque altro. Probabilmente quello che facciamo di diverso da altri operatori è mettere insieme competenze che provengono da realtà aziendali, coniugandole con il mondo del teatro e della cultura. Il risultato è che il Barclays Nazionale è un teatro che non riceve finanziamenti pubblici, mantenendo comunque il proprio utile.
Qual è la sua opinione, in qualità di manager, su quanto ha appena affermato?
Il modello dei finanziamenti dovrebbe essere completamente rivoluzionato, perché oggi il Fus premia aziende poco virtuose, che non riescono ad arrivare al breakeven dei costi e li ripiana non per arrivare a un profitto, bensì a un pareggio nelle spese. Un sistema, dunque, che non incentiva per nulla l’iniziativa imprenditoriale che il produttore o il singolo teatro dovrebbero avere. Il teatro è (anche) un’azienda e i conti devono tornare a prescindere dal fatto che il Governo li ripiani.
Se fai l’imprenditore, i soldi te li devi cercare, e non è facile trovarli: se però sei stimolato dal fatto che non solo devi pagare bollette, dipendenti e quant’altro, ma magari anche generare un profitto dalla tua attività, allora ti ingegni – e noi italiani siamo bravissimi a farlo – per trovare il modo di riuscire ad avere sponsorizzazioni. Lo Stato, attraverso il Fus, invece ti dice: se tu mi dimostri che non ce la fai, allora io ti do quello che ti serve.
La vedo raggiante per i progetti dei prossimi mesi. Allora parliamo di questo nuovo allestimento di Footloose…
La scelta del titolo è scaturita dalle indagini (survey) che noi compiamo sulla nostra base-clienti. Footloose è risultato primo su dieci titoli che noi abbiamo profondamente scandagliato, dopo averli proposti al nostro pubblico. L’ultimo titolo che abbiamo scelto in questo modo è stato Dirty Dancing, che ha venduto centomila biglietti in due mesi. Le survey non saranno affidabili al 100%, però un’indicazione te la danno.
Non teme un effetto “buco nell’acqua”?
Il fatto che Footloose sia stato prodotto nel 2005 da Maria De Filippi – con altri criteri – non mi preoccupa, perché ormai i milioni di euro che Stage ha investito nel mercato italiano, hanno in qualche modo identificato il Teatro Nazionale come “il tempio del musical”: le persone vengono qui per vedere uno show di qualità. Dunque, una nuova produzione Stage, presentata in apertura di stagione, con le caratteristiche di qualità che il pubblico si aspetta, mi fa stare tranquillo. Non è assolutamente un titolo innovativo, come ad esempio Next to Normal, che è un bellissimo spettacolo, purtroppo non abbastanza conosciuto. Io devo seguire il mercato, il quale mi chiede titoli conosciuti, con musiche altrettanto note al pubblico.
Quindi, il trend anni Ottanta funziona?
Sì, ma non perché gli anni Ottanta siano tornati di moda. Va considerato che, negli ultimi quattro anni, il 30% in media del pubblico che è entrato nella nostra sala per assistere a una produzione Stage Entarteinment, non è mai stato in teatro. Il pubblico del musical è femminile, dai 35 fino ai 55 anni, che ha vissuto quel periodo da adolescente e quindi se lo porta nel cuore.
Proprio mentre pubblichiamo questa intervista, viene ufficializzato il cast di Footloose, che debutterà proprio nel “tempio milanese del musical” il 24 settembre, con repliche fino al 31 dicembre. Un gruppo eterogeneo, ricco di giovani talenti e di artisti dalla provata esperienza nel panorama del musical nazionale e internazionale, nel quale spiccano i nomi di Riccardo Sinisi (Ren McCormack), Beatrice Baldaccini (Ariel Moore), Antonello Angiolillo (Reverendo Moore), Floriana Monici, Angelo Di Figlia e Andrea Spina, come regista residente.