Teatro

Maurizio Lastrico, come i 'bugiardi' intrigano l'anima

Maurizio Lastrico, come i 'bugiardi' intrigano l'anima

La versione de 'Il bugiardo' di Carlo Goldoni, in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano fino al 13 marzo, ha sembianze diverse da quelle classiche: è una variante 'pop' quella di Valerio Binasco, fatta di gag, equivoci, trovate comiche con il supporto di Maurizio Lastrico e la Popular Shakespeare Kompany, coinvolta nella produzione dello spettacolo assieme alla Fondazione Teatro Due di Parma.

Molti lo conosceranno come volto comico di Zelig, ma Maurizio Lastrico non scrive solo ‘belinate’ come insegnano gli amici genovesi. È autore anche di pregiati volumi per Mondadori, quel “Nel mezzo del casin di nostra vita” di dantesca memoria, come si evince facilmente dal titolo. È tuttavia anche narratore di altre storie, in particolare di una, quella di Lelio ne "Il bugiardo": un personaggio anche “romantico”, un disadattato afflitto da malesseri e inquietudini, che vive in una società basata sulla menzogna, in cui vendersi è all’ordine del giorno. Ma la chiacchierata non può basarsi solo su bugie, o meglio sul racconto di queste: Lastrico infatti parla anche di fiducia, investimenti (non economici), valori, morale e matrimonio. Non necessariamente in quest’ordine.

 

Parliamo di Lelio, il tuo personaggio. Quali sono le sue caratteristiche?
E’ un bugiardo patologico, che fa della bugia uno strumento per sopravvivere non solo a livello materiale – deve riuscire a mangiare in qualche modo! – ma anche per entrare in un nuovo mondo. Lelio racconta bugie anche a se’ stesso, per sfuggire alla sua realtà quotidiana però esercita sugli altri effetti diversi: imbroglia ma fa anche innamorare, crea illusioni. Le bugie che racconta, tuttavia, funzionano per lui come un boomerang: tornano indietro e, alla fine, si ritroverà intrappolato.

 

Esercita un effetto sugli altri, ma è anche vittima della società.
Si. E’ una gran canaglia, bisogna dirlo, però è vittima egli stesso perché quella in cui vive è una società in cui non si riconosce, fatta di obblighi che non comprende: i padri decidono con chi devi sposarti, per esempio. Lui vorrebbe che l’umanità, l’intelligenza, lo spirito fossero gli elementi che consentono ad un uomo di avere una posizione sociale, non che altri decidano per lui.



Incarna anche il bugiardo di oggi? O il bugiardo contemporaneo ha delle sue caratteristiche diverse e peculiari?
Credo in realtà che la menzogna sia atemporale, che ci sia sempre e a tutti i livelli. Viviamo in una realtà fortemente menzognera, si pensi alla pubblicità ad esempio. E questo perché la menzogna abbellisce la realtà, incanta e seduce. È d’altronde il potere del romanzo: promette alle persone altre dimensioni. A volte è fatto a fin di bene, come accade in qualche modo a teatro: sul palcoscenico si racconta una vita non vera, che però fa immaginare. Noi attori poi siamo ammirati, pur avendo delle vite normalissime: chi sa cosa c’è dietro a tutto quel mondo?



E’ retorico dirlo, ma quindi la menzogna domina ancora la nostra vita?
Certamente. Il bisogno di avere un altro immaginario è forte oggi. Ho visitato altri paesi e si percepisce una grande energia. In Italia invece s’è una grande disillusione. Senza però iniziare grandi discorsi, inerenti crisi economica, fiducia nei mercati o altro la disillusione di cui parlo riguarda anche gli investimenti di vita che ciascuno di noi fa. La mancanza di fiducia nel futuro ci porta a chiederci se sia ancora il caso di mettere al mondo dei figli oppure no, ad esempio. Pensando al suo futuro, Lelio si dice “accada quello che deve accadere, con le mie invenzioni me la caverò in qualche modo”. Oggi fa molta paura questo approccio alle cose.

 

Nello spettacolo il ruolo riservato alle donne è quello di vittime della società in cui vivono, ma comunque conformiste. Secondo te, per noi donne oggi la situazione è cambiata?
Goldoni con le donne, in realtà, ha un rapporto un po’ particolare, tant’è che è stato tacciato di maschilismo più volte. Nell’opera le donne sono quindi anche loro vittime: sognano l’amore, lo vivono come compimento della loro vita, ma il mondo in cui vivono è fatto di matrimoni arrangiati, e quando sono figlie vengono percepite come ‘problema’ dai loro padri. Quella goldoniana è quindi una visione spietata, in cui l’amore non trionfa quasi mai, ma è soffocato dalla struttura sociale. La figura della madre è anche assente. Oggi invece, per fortuna, le donne possono vivere in modo più consapevole il loro ruolo sociale, compreso quello materno. Il matrimonio è comunque presente ma è desacralizzato rispetto al passato: i trentenni di oggi sono quasi stati ‘allevati’ con l’idea che sia bene pensare prima alla realizzazione di se’ stessi, anziché trovare completamento nel matrimonio. Questo perché la generazione dei nostri genitori vedeva in quel momento della vita il conseguimento della felicità, ma gli esempi di fallimento hanno messo in dubbio che possa essere sempre davvero così. Manca quindi il senso del ‘per sempre’, viene meno anche il concetto della ‘persona giusta’ perché siamo messi di fronte ad un dilemma: realizzarsi o investire in un progetto a due, nell’idea di famiglia.

 

E’ una commedia divertente ma anche cattiva, si è detto. Perché mette in luce i nostri difetti? E in che modo sono stati letti e raccontati al pubblico?
Il ‘bugiardo’ è molto problematico. La visione di ‘Arlecchino’ di Sergio Romano e Valerio Binasco va in una direzione molto umana, a volte cupa, dove l’ironia non è usata per fare il saltimbanco, ma si vede che alla base c’è una riflessione amara sulla vita, anche molto commovente. Pantalone, per esempio, il padre di Lelio, è visto come una persona manesca e ottusa, protagonista anche lui di quella società che il figlio cerca di sovvertire in qualche modo, ma che è più forte di loro. Anche l’amore che devono conquistare Florindo e Ottavio, i quali riusciranno poi a sposare le loro amate in barba al bugiardo, è il coronamento di matrimoni che sono proprio tristi. È sempre una lotta tra l’istinto, la dimensione romantica e la società, ciò che è giusto e ciò che si deve fare. Credo che oggi sia molto attuale un discorso sulla morale, che dobbiamo in qualche modo inventarci. Abbandonati all’immobilità, anche all’assenza di un flusso artistico, siamo quindi quasi chiamati a costruirci dei valori.

 

Temi che ricorrono in Goldoni, ma anche in Shakespeare, che è un altro degli autori che avete deciso di affrontare. Come mai la scelta è caduta su questi nomi?
Premesso che si tratta di classici del teatro, entrambi però affrontano temi molto attuali, sui cui ancora ci interroghiamo, nella letteratura così come al ristorante con gli amici la sera, quando arriva il momento di quei discorsi ‘lì’, quelli veri nei quali ci sentiamo coinvolti, perché intimi. In teatro questi discorsi vivono in scena, attraverso le voci dei personaggi ma registi come Binasco, che è anche un artista, è attirato da quell’indagine come essere umano. C’è ancora curiosità sugli esseri umani, ma anche sul vivere con gli altri. La grande fortuna è quella di poter pescare e l’onestà artistica di registi come Binasco sta anche nel scegliere testi nei quali loro stessi si sentono smossi come esseri umani, al di là del nome dell’autore. Poi chiaramente Shakespeare è Shakespeare: ciò è dovuto non soltanto al fatto che ce l’hanno insegnato a scuola, ma basta leggere l’ ‘Otello’ o ‘Romeo e Giulietta’ per capire che non si sta solo raccontando una storia, si sta parlando di qualcosa di più profondo, di reale e comune a noi. Sono testi che ci intrigano l’anima, come la persona che amiamo fa con noi.

 

Quanto sforzo ha richiesto uno spettacolo di questo tipo? Lungo nella durata ma anche complesso nell’allestimento.
Lo spettacolo ha richiesto davvero un lungo lavoro, a tutti. È molto corale e coinvolge molto anche chi entra in scena per pochissimo: abbiamo per esempio Colombina o Beatrice che sembrano marginali, ma quando arrivano lo fanno con un’efficacia incredibile. Non è però automatico, devono compiere uno sforzo notevole per entrare in modo efficace in questo concerto. È fisicamente impegnativo, tant’è che si arriva alla fine spossati ma ne vale la pena, anche perché questa ‘fatica’ supporta la recitazione: il bugiardo ad esempio, compie una lotta estenuante, a colpi di bugie, fino alla fine.

 

Progetti futuri?
Sicuramente tra questi c’è quello di continuare con le cose scritte da me, nell’ambito della comicità come Zelig, ma non solo. In futuro mi piacerebbe interpretare altri ruoli, anche perché sono stato abituato molto, molto bene per quanto riguarda autori, registi e colleghi. Fare meglio di così, al momento, credo sia difficile però confido che si vada avanti in questa direzione.