Teatro

Monica Guerritore: 'Il mio teatro non è colto, è vivo'

Monica Guerritore: 'Il mio teatro non è colto, è vivo'

"Il teatro è sempre diverso. Ogni volta che affronto un personaggio o un testo… parto per un viaggio interstellare". No, non è una versione di "Star Wars" ambientata sul palco. E' quello che "sente" e ci racconta l'attrice romana, che ha da poco terminato una tournée, e tornerà presto sul palcoscenico con una commedia di Woody Allen, della quale curerà adattamento e regia.

Voce profonda, sguardo intenso: Monica Guerritore è una Signora del teatro italiano. Una personalità artistica unica, forte e intensa, portata avanti grazie a una vocazione teatrale non comune iniziata in età adolescenziale, nutrita anche grazie a maestri come Giorgio Strehler e Gabriele Lavia, per lungo tempo suo compagno di vita. Una carriera che praticamente non conosce soste, anche se lei stessa ammette che avrebbe bisogno di ricaricarsi. La verità  - ed emerge chiaramente da questa intervista - è che l’amore per il teatro è talmente forte… che le batterie le ricarica solo sul palco.

Lei afferma che in teatro viene prima il “cosa” e poi il “come”. È un ordine consequenziale di approccio al testo che abbraccia ogni volta?
Il “cosa” è un punto di vista molto personale. Spesso curo la drammaturgia perché non racconto il testo ma ciò che io voglio vedere del testo.

Ha lavorato con sua figlia Maria, assistente alla regia nello spettacolo "Qualcosa rimane". Com’è andata?
Maria possiede una visione dal punto di vista dell’organizzazione, della regia e quindi non c’era competizione diretta, semmai lo scrutare le capacità di messa in scena, di drammaturgia, di dirigere. Lei ha visto una testimonianza che le serve per il suo lavoro e anche per capire che tipo di madre sia una donna che lavora in teatro, perché avendo un padre ingombrante come Gabriele Lavia, lui ha “di diritto” la forza del mestiere, mentre la madre rappresenta l’affetto. Nel 2000 si pensa ancora che la donna stia a casa e l’uomo lavori. È stata per lei una rivelazione vedere la madre come il padre. Credo che l’esperienza, per mia figlia, sia stata forte soprattutto sotto il punto di vista, molto fisico, dello scoprire la madre nella sua parte virile.

Tra lei e le sue figlie, nel privato, c’è mai stato uno scontro generazionale?
L’altra mia figlia, Lucia, è attrice e attualmente è in tournée con Madame Bovary, quindi è con lei che poteva esserci un confronto generazionale diretto. Non pensavo che sarebbe riuscita a superare, nella mia memoria, la mia Bovary con Giancarlo Sepe, che ha fatto epoca. Invece sono rimasta senza fiato: “Chapeau!” Lucia, come Maria, ha vissuto di teatro, di film, di belle musiche, di belle immagini, di bei testi, di begli spettacoli. E con “belli” intendo forti. I suoi non sono mai ruoli borghesi o generici oppure “normali”; sono sempre ruoli d’astrazione, un po’ “fuori”. Guarda alle cose in maniera trasversale, con la coda dell’occhio. Questo credo le abbia dato la forza per fare una Madame Bovary assolutamente inusuale.

Ha da poco vestito i panni di Judy Garland, leggenda di Hollywood e della musica. Il lavoro ha richiesto una lunga preparazione canora. Come si è modificato il suo rapporto con la voce?
Lisa Angelillo, Rossana Casale, Maria Grazia Fontana hanno lavorato con me sull’espressività e quindi sul non cercare la pulizia della voce, che Judy Garland non possedeva più - ed era il suo grande cruccio. Però la tonalità sì, l’aveva mantenuta. Ho lavorato moltissimo al pianoforte perché le note, nel jazz e nel modo di cantare degli artisti americani di quel tempo, sono fondamentali. Nel momento in cui mi sono impadronita delle note - io sono naturalmente intonata - nell’emissione del fiato, la mia fatica diventava la sua fatica. Judy Garland non aveva più il “la” a cui arrivava da ragazza. Le era rimasto il tono da contralto, che è simile al mio di mezzosoprano. Il suo non poter “andare su”, era il mio non riuscirci. Il suo, era il mio sfuggire con una risata o con una gag, per intrattenere il pubblico e glissare sulla nota mancante. C’era identificazione. 

Recentemente ha rifiutato la seconda stagione di “Non uccidere” - fiction di Rai 3 che andrà anche su Netflix - perché non ha avuto modo di dare maggiore profondità al ruolo di Lucia. Ha sofferto l’impossibilità di scavare appieno nel personaggio?
Assolutamente si. Non ce l’ho fatta a rinunciare al mio credo, che è quello di dare al pubblico sempre, in qualunque forma, personaggi femminili che abbiano uno spessore, una dinamica interiore complessa, però vera. Partendo da un omicidio, non si potevano portare avanti situazioni che non fossero complesse. Bisognava, nella seconda stagione, arrivare a raccontare il vissuto di questa donna, anche in poche scene. Purtroppo in Italia non è come all’estero, dove gli interpreti, soprattutto nelle lunghe serialità, diventano parte del personaggio, perché lo respirano. Sanno che se escono da una porta non possono rientrare da un'altra porta, sanno qual è il momento consequenziale, la situazione emotiva ideale. Oramai gli attori scrivono insieme agli autori, perché il personaggio cresce con le varie serie. Non è stato accettato e io ho rinunciato, a malincuore.

Tornerà in teatro con “Mariti e Mogli”, dove cura l’adattamento teatrale tratto dal film di Woody Allen. Privilegerà l’aspetto ironico oppure psicologico di Allen?
Tratto Woody Allen come se lo conoscessi da sempre. I personaggi, come in una commedia di Cechov, danzano mentre i loro destini esplodono, quindi è molto divertente. È una commedia corale, con attori meravigliosi, e la gente viene travolta. Abbiamo fatto una piccola anteprima ed è stato un trionfo. Sono molto contenta perché questa è una novità assoluta, nel senso che Allen me l’ha data - per interposta persona - si è fidato e mi ha concesso di lavorarci.

La qualità che lei persegue spesso richiede un substrato culturale. Come regista, quale impronta darebbe a uno spettacolo rivolto ai giovani, per farli innamorare del teatro?
Gli spettacoli che faccio io sono molto complessi ma allo stesso tempo adorati dal pubblico giovanile, tanto che l’anno scorso mi hanno chiamata ad aprire l’anno accademico universitario. Dall’inferno all’infinito, Giovanna d’Arco, Oriana Fallaci sono spettacoli che i giovani hanno amato per il metateatro, il metatesto, le proiezioni. Sento di avere una naturale sintonia con i ragazzi.

Nessun fisiologico gap culturale nell’assistere ai suoi spettacoli, quindi?
No, assolutamente! Non sarei capace di fare un discorso colto, come ad esempio iniziare da Dante per giungere a Leopardi. Arrivo per assonanza emotiva, per intuito. Creo percorsi che in psicanalisi si chiamano erratici - nel senso di errare, di andare senza razionalità - che portano il pubblico giovanile a seguire con l’inconscio, perché il teatro lavora sull’inconscio, non sulla razionalità. Nel momento in cui si spegne la luce e si fa il buio, si entra in un altro mondo. I miei spettacoli non sono colti, ma magici, cioè parlano attraverso degli strani atteggiamenti, degli strani segni come la posizione del corpo. Il pubblico segue senza far niente, solo pensando. Gli attori ritengono che uno sguardo non si veda, invece il pubblico e i giovani colgono tutto, anche a distanza di trenta metri. Io non faccio mai un teatro colto: faccio un teatro vivo.

Si ricorda quando scoccò la scintilla per il teatro?
Facendolo. Quei giorni in teatro, a notte fonda durante le prove, anche con Giorgio Strehler, ero stanca. Le urla, le intemperanze, la fatica... eppure in quel buio, in quel palcoscenico, in quinta oppure in platea, stavo bene. Io credo che quando si incontra la propria vocazione e si mettono la persona e l’anima insieme, si sente che quello è il proprio posto. Io ho prima capito che quello era il mio posto, dopo ho imparato a fare il mestiere. Piano, piano, piano il mio corpo si è affinato, la mia voce è diventata duttile, il gesto assoggettato ai miei ordini.

Dopo tanti anni di carriera, c’è qualcos’altro di cui ha voglia, oltre al teatro?
No. Il teatro è sempre diverso. Ogni volta che affronto un personaggio o un testo, che mi metto a lavorare, parto per un viaggio interstellare. Non potrei mai dire che desidero qualcos’altro, perché sono già nell’ “altro”.

Quali progetti ha nel cassetto?
Ho fatto tre spettacoli uno dietro l’altro e anche un film, L’Esecutrice, un thriller con Asia Argento. Adesso ho bisogno veramente di mettermi in stand by, di vivere un momento in cui non succede nulla e il cuore si ricarica.