"Riascoltando oggi i testi di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, scopriamo che sono ancora tremendamente attuali. Colpiscono per la loro lucidità e intelligenza".
La voce di Wikipedia dedicata a Neri Marcorè è lunga quasi 35 mila battute. Cinema, teatro, televisione, radio, doppiaggio: Marcorè ha fatto tutto.
Nella sua vasta produzione teatrale spicca il lavoro di studio e divulgazione che Marcorè ha fatto su Giorgio Gaber con una serie di spettacoli, molti con la regia di Giorgio Gallione. Per questo suo lavoro su Gaber, Neri Marcorè ha ottenuto il Premio Bindi alla Carriera, nel ventennale della scomparsa del cantautore milanese. Teatro.it lo ha incontrato per sapere qualcosa in più sulla sua attività.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Il Premio Bindi è una soddisfazione anche per chi ha un curriculum di dieci pagine?
Assolutamente si. Bindi è stato un grande musicista e compositore, e il premio a lui intitolato è prestigioso e importante. E’ un onore essere accostato alla sua figura. Purtroppo, come capita spesso, Bindi viene apprezzato di più adesso rispetto a quando era vivo. Avrebbe meritato un riconoscimento ben maggiore già quando era in vita, visto il suo valore artistico.
Com’è nato l’incontro con Giorgio Gaber?
Non si è trattato di un amore giovanile, ho scoperto Gaber quando ero già abbastanza avanti negli anni. Ovviamente conoscevo Gaber come tutti quelli nati negli anni 60, ma non avevo approfondito. Poi un giorno ho iniziato a sentire in modo diverso le canzoni che avevo sempre ascoltato forse distrattamente. In breve ho riscoperto trent’anni di repertorio di Gaber. Ho comprato tutti i dischi, soprattutto i live: ho scoperto il teatro-canzone.
Album come “Polli di allevamento” oppure “Dialogo tra un impegnato e un non so” sono stati importanti per la mia formazione artistica. Ma quando parliamo di Giorgio Gaber non possiamo dimenticare Sandro Luporini: Gaber e Luporini sono inscindibili, sono una cosa sola. Se riascoltiamo oggi i loro testi di 30 anni fa, scopriamo che sono ancora tremendamente attuali. Colpiscono per la loro lucidità, intelligenza e attualità ancora oggi.
Quindi le cose sono due. O non ci siamo mossi granché come umanità e come società, nonostante il nostro tanto sbandierato progresso; oppure Gaber e Luporini hanno avuto la capacità molto rara di leggere nel futuro, di capire dove stavamo andando, e ce lo hanno raccontato”.
Cosa rappresenta Giorgio Gaber per Neri Marcorè?
Un esempio di coraggio e di coerenza, come uomo e come artista. Gaber ha cercato di essere coerente con sé stesso. Quando il suo percorso di artista lo ha portato ad assumere certe posizioni di critica nei confronti della società, lo ha portato a un certo impegno, Gaber ha deciso di lasciare la televisione e quindi tutto ciò che quel mondo rappresentava: a cominciare da una grande notorietà e quindi da guadagni facili.
I programmi TV di quegli anni erano molto diversi da quelli di oggi: più creativi, più sperimentali, sotto alcuni punti di vista più liberi. Ma forse lui si sentiva ingabbiato in un personaggio, in uno schema. Agli inizi degli anni 70 Gaber è tornato definitivamente al teatro, dove aveva già avuto delle esperienze negli anni precedenti, e così ha trovato il contatto diretto con il pubblico. Ovviamente non è stata una scelta facile.
Gaber era più attore o più cantante?
Impossibile dire dove finiva uno e iniziava l’altro. Le sue canzoni sono entrate nella storia della musica italiana, ma Gaber era anche un attore strepitoso. Un esempio incredibile per uno come me, con le mie caratteristiche. Vestito di nero, con una chitarra in mano e con solo una sedia in scena, Giorgio Gaber riempiva il teatro: di pubblico e di significati, lo riempiva con la sua arte. Proprio l’essenzialità del suo proporsi sul palco dà la misura di quanto fosse potente il suo modo di comunicare.
La poetica di Marcorè e quella di Gaber sono simili?
Non ho composto canzoni come le sue, ma mi riconosco in gran parte delle sue. Non so se ho una poetica. So che cerco di dare vita a qualcosa, a delle emozioni, facendo il mio lavoro. Ad avere una poetica è chi scrive. Io sono un interprete. Certo, chi interpreta ha la responsabilità di fare da tramite fra chi scrive e il pubblico. E’ l’attore che porta allo spettatore la poetica dell’autore.
Ma non vorrei dare l’impressione di avere un atteggiamento fideistico nei confronti di Gaber. Ci sono anche parti che non condivido; qua e là nell’opera di Gaber può affiorare un po’ di retorica, che non mi piace. Ma questo è provocato anche dal fatto che si tratta di cose scritte trent’anni fa o più. Sono comunque peccati veniali.
Qual è il lascito di Giorgio Gaber oggi?
Nei suoi 50 anni di carriera Gaber ha davvero scritto e creato molto; ha inventato un proprio mondo delle idee. Un modo di pensare al quale in parte aderisco anche io. Dire che Giorgio Gaber ha inventato il teatro-canzone è riduttivo. Puoi creare una forma espressiva ma poi la devi riempire di contenuti. E lui lo ha fatto.
Lei ha fatto anche diversi spettacoli su un altro grande: De Andrè
Fabrizio De Andrè lo conoscevo da prima di Gaber, per un ovvio motivo: era più facile che in radio trasmettessero le canzoni di De Andrè rispetto a quelle di Gaber. Però per me anche De Andrè era uno dei tanti. Poi, crescendo, ho imparato a riconoscere e apprezzare la poesia dei testi e ho deciso di approfondire la sua conoscenza.
Questo scatto si è verificato soprattutto dopo l’incontro fra De Andrè e la Premiata Forneria Marconi, ma so che è avvenuto lo stesso per molte altre persone. Il Live con la PFM, e la conseguente iniezione di musicalità, ha permesso alla poesia e ai contenuti di emergere più chiaramente. Da quel momento in poi ho approfondito la conoscenza delle canzoni di Faber, e l’idea di trarne degli spettacoli teatrali è stata praticamente inevitabile.
Quindi anche De Andrè come Gaber era un poeta
Non c’è neanche il bisogno di dirlo. Dopo la collaborazione con la PFM, la poetica di De Andrè è cresciuta, fino a raggiungere il vertice con l’LP “Anime Salve”: che è anche il mio disco preferito.