Paolo Scotti rivolge lo sguardo al futuro del teatro, tra nuovi talenti e sale che perdono la propria vocazione: “Prima il pubblico si fidava dei cartelloni, adesso va riconquistato ogni volta”.
Teatro Litta, Sala Cavallerizza e Teatro Leonardo: tre sale dislocate in altrettante e differenti zone della città di Milano compongono l’offerta teatrale 2018/2019 di M.T.M. – Manifatture Teatrali Milanesi. Una stagione trasversale che, soprattutto nella sala di corso Magenta, dedica particolare attenzione alla drammaturgia contemporanea e al teatro indipendente under 35; con un focus su Giovanni Testori (due spettacoli a marzo 2019 diretti da Mino Manni); e il progetto speciale Rooms for Secrets, performance site specific curata da Antonio Sixty nei suggestivi spazi di Palazzo Litta.
Paolo Scotti, responsabile artistico del Teatro Leonardo, introduce così il nuovo cartellone: “Mai come ora, il teatro deve essere vissuto come una necessità, perché rappresenta una grande àncora di salvezza”.
Il teatro come necessità: cosa intende esattamente?
Non vorrei sembrare retorico, ma soprattutto nel periodo storico che stiamo vivendo, penso sia importante andare oltre le apparenze e sottolineare la modernità del teatro, che invece spesso viene inteso come uno strumento antico.
Il cartellone del Teatro Leonardo si presenta trasversale, all’insegna di grandi ritorni, spettacoli internazionali e teatro musicale: può sintetizzare cosa vedremo dal prossimo autunno?
Abbiamo due grandi ritorni: Fame mia, con Annagaia Marchioro e la regia di Serena Sinigaglia e La merda, di Christian Ceresoli, spettacolo in cui si riconoscono tutti, se non altro per il dramma della condizione umana.
Poi, il varietà: da gennaio 2019, ogni quindici giorni per sette mercoledì; abbiamo anche la presenza insolita di un musical originale firmato da Tobia Rossi e intitolato Smack! Bacia chi ti pare, che affronta le tematiche tipiche del mondo gay in un’atmosfera divertente, quasi fiabesca. Infine, ci sono due titoli internazionali presentati in versione replica, cioè esattamente come gli allestimenti originali: Che disastro di commedia! (gennaio 2019) e Potted Potter, l’unica “parodia non autorizzata” delle gesta del celebre personaggio nato dalla penna di J.K. Rowling, che debutterà a Milano dal 12 ottobre e poi girerà l’Italia in tour, grazie all’impegno produttivo di Gianmario Longoni.
Negli ultimi anni capita di vederla spesso in giro per i teatri milanesi ad assistere a spettacoli di tutti i tipi: naturale curiosità del mestiere o scouting di giovani talenti?
Dal 1983 ogni anno sono coinvolto nella programmazione di almeno un teatro. Oltre al Leonardo, da circa una decina d’anni mi occupo del cartellone del Creberg di Bergamo. Io ho sempre fatto scouting perché la mia curiosità è rimasta inalterata nel tempo e devo dire che mi ha anche ripagato, perché attraverso questa attività ho lavorato con Antonio Albanese, Gioele Dix, Daniele Luttazzi e molti altri. L’unico talento che credo di avere è quello di riuscire a intuire un po’ prima degli altri l’efficacia di qualche interprete. Continuo a farlo molto volentieri e da quando lavoro con M.T.M. mi sono anche misurato con un territorio che conoscevo meno, andando a curiosare ciò che succede nei piccoli teatri.
Quali sono, a suo parere, i nuovi talenti da coltivare?
In questo cartellone posso fare due esempi: il gruppo Contenuti Zero, a mio giudizio la novità più dirompente degli ultimi anni, con una qualità di scrittura sorprendente; poi c’è Annagaia Marchioro, alla quale auguro veramente di diventare la nuova Anna Magnani.
Leggi QUI la nostra intervista a Annagaia Marchioro
Come è cambiato negli ultimi anni il modo di comporre i cartelloni teatrali?
Per me non è mai cambiato. Nella prima stagione che ho programmato, all’interno dello stesso cartellone c’erano il Gran Pavese Varietà e La gaia scienza di Giorgio Barberio Corsetti, passando per compagnie di sperimentazione degli anni Ottanta. Ho sempre pensato che il teatro debba essere un’accozzaglia di generi, perché il palcoscenico trasmette emozioni al di là degli spettacoli che vengono rappresentati. A livello nazionale, però, molti teatri hanno certamente perso le proprie vocazioni, ossia quelle caratteristiche per cui le loro programmazioni risultavano familiari al pubblico.
Quali dunque le conseguenze di questa perdita di vocazione sul futuro del teatro?
La conseguente perdita di riferimenti nella programmazione degli spettacoli in tour, ma soprattutto lo spaesamento del pubblico, che prima si fidava delle proposte dei teatri, mentre adesso va riconquistato ogni volta.