Teatro

Piedigrotta, Viviani ed il Teatro secondo Nello Mascia

Piedigrotta, Viviani ed il Teatro secondo Nello Mascia

Napoli in questi giorni vive la rievocazione della più antica delle feste popolari, la festa di Piedigrotta che, sin dal paganesimo, ha significato per il popolo un momento di pittoresco e giocoso svago ma anche di confusione, tumulto ed eccessi, che il drammaturgo stabiese Raffaele Viviani, nel 1919, raccontò, come era suo stile, con sguardo crudo, disincantato, pessimista. La commedia, dal titolo, appunto, “Festa di Piedigrotta”, ha avuto innumerevoli versioni, l’ultima delle quali, con grande successo, vede impegnato l’attore e regista Nello Mascia, che si avvale, per l’elaborazione musicale di due grandi musicisti quali Eugenio Bennato ed il percussionista Ciccio Merolla. Abbiamo incontrato Mascia in occasione delle ultime repliche di questo spettacolo, che vede in scena decine di artisti, tra attori, cantanti e ballerini, capeggiati, oltre che dallo stesso regista, dall’attore Tommaso Bianco e la cantante Pietra Montecorvino . Mascia, quali sono, secondo lei, le differenze contestuali della festa di Piedigrotta di oggi rispetto a quella raccontata da Viviani? Direi che il contesto sia , purtroppo, lo stesso: Napoli, come nel 1919, è una città devastata. Al di là dei problemi oggettivi, è oggi, come allora, priva di identità culturale, incapace di sentirsi capitale. In quanto alla festa stessa, già allora Viviani la raccontava come crepuscolare, per lui era un pretesto per raccontare un popolo di vinti, la cui miseria umana li fa essere, allo stesso tempo, vittime e carnefici. La figura degli scugnizzi, può essere assimilata a quella degli attuali bulli? Sicuramente nel raccontare le due diverse “popolazioni” di scugnizzi che vengono descritte nella commedia, i giovani ed i più grandi, i primi dei goliardi i secondi violenti e prepotenti, Viviani ha raccontato il percorso di una malavita che comincia appunto nell’adolescenza e culmina con atti di violenza sconsiderati. Lei ha reso molti momenti dello spettacolo in maniera originale e spesso attualizzandone i personaggi. Uno fra tutti, Mimì di Montemurro, nato come macchietta per rappresentare il provinciale venuto dal paese della Lucania per conoscere la grande città, in questa sua versione è interpretato da un attore di colore, che ne amplifica la diversità Certo, Mimì rappresenta il “candido” la cui cultura incontaminata si trova a fare i conti con questa assenza di identità del popolo cittadino. Leggevo che in alcune tribù keniote i genitori lavano i figli personalmente fino al compimento dei 50 anni. La cosa ci deve far pensare a quanto ancora, in certe civiltà non inquinate dal modernismo occidentale il rapporto fisico sia importantissimo, e credo che si debba imparare molto da queste culture perchè si ritrovi una dimensione più “umana”. In quanto al lavoro drammaturgico effettuato nell’adattamento della commedia, molti sono stati gli intellettuali che hanno storto il naso di fronte ad alcuni cambiamenti di modernizzazione, ritenendo che il lavoro dovesse essere rappresentato così come lo aveva scritto il suo autore e trovando l’operazione irrispettosa dello stesso. Io credo che, come recita una citazione di Peter Brook che ho voluto apparisse sul programma di sala, il teatro abbia assoluta necessità di attualizzazione, per poter essere considerato ancora vivo. D’altra parte nessuno si sognerebbe di mettere in scena un’opera di Shakespeare così come si faceva nel ‘600. A proposito di Shakespeare, lei è in procinto di andare in scena con due progetti shakespeariani Sì, con lo stabile di Palermo, col quale collaboro da anni, sarò Polonio nell’Amleto, interpretato da Luca Lazzareschi, mentre Luciano Roman sarà Claudio e Galatea Ranzi Gertrude. Sempre con la Ranzi, poi, sarò protagonista di uno spettacolo tutto imperniato sui monologhi shakespeariani Altri progetti? Tra tutti mi piace ricordare la conferenza-evento su testo di Gherardo Colombo “Sulle Regole”, a cui tengo molto. Bisogna ricordare il ripetto dei diritti dell’uomo, soprattutto alla nostra Costituzione, troppo spesso ingiustamente vilipesa. Un’ultima domanda: lei ha recitato tanto Viviani, ma anche Eduardo e Manlio Santanelli. Esiste un’identità precisa della drammaturgia napoletana? Esiste una poetica che non ha appartenenze geografiche. L’arte, quando davvero tale, è universale. Serto le storie raccontate attingono alla realtà ambientale dell’autore, ma nessuno nega a Garcia Llorca la sua universalità artistica, pur essendo la sua opera imperniata in gran parte sulla società gitana spagnola.