L'allievo di Renato Carpentieri porta avanti la sua battaglia in palcoscenico. L'impegno nelle carceri e con la disabilità. E durante il lockdown leggeva poesie e romanzi per i malati.
“Per me il teatro è servizio sociale, una cosa utile per la gente. Il giorno che mi sembrerà di non fare più qualcosa di utile per la società, smetterò di fare l’attore”. Pietro Pignatelli, attore napoletano trapiantato a Milano, interpreta il suo ruolo-missione alla lettera: durante il lockdown invece di starsene tranquillo a studiare copioni per il dopo-virus, si è inventato una serie di dirette Facebook in cui leggeva per grandi e piccini. Poesie, prosa, classici, contemporanei, romanzi brevi o lunghi, apologhi, racconti, favole: tutto.
“Non mi interessava sapere se in quel momento ad ascoltarmi c’era una persona o mille - spiega Pignatelli – Io volevo leggere per la gente, far loro compagnia con la cultura, il pensiero. Ho letto per ore e ore, senza stancarmi. Sentivo che la gente aveva bisogno di me, che non potevo chiamarmi fuori. Non potevo dire: io non c’entro. Leggere era il mio contributo per affrontare l’emergenza del virus”.
Attore, cantante e narratore
Pignatelli si definisce attore, cantante e narratore. Ha iniziato a calcare le scene a Napoli, sotto la guida del suo primo maestro, Renato Carpentieri; poi ha frequentato l’accademia di arte drammatica al Teatro Bellini di Napoli. Ha condotto per sei anni L’Albero Azzurro, il programma di Rai 1 dedicato ai più piccoli. Ha fatto La Squadra, Camera Cafè e la fiction Rai Mare Fuori, che andrà in onda in autunno.
E poi tanti musical: Peter Pan, con le musiche di Edoardo Bennato; Pinocchio, con le musiche dei Pooh; Grease; Scugnizzi; Il pianeta proibito; Eppy, l’uomo che ha costruito il mito dei Beatles; Sugar - A qualcuno piace caldo; Turandot, la regina di ghiaccio; Musicanti, il musical con le canzoni di Pino Daniele.
Leggere per gli altri durante il lockdown è servito a farti sentire utile?
Direi di si. Gli ascoltatori mi hanno detto cose bellissime, toccanti. Uno mi ha scritto “Ti ringrazio, perché qui in ospedale non posso fare altro che ascoltare, e quello che leggi mi tiene attaccato alla vita”. Sarebbe bastata questa frase, a dare un senso a tutto quanto.
Genitori mi hanno ringraziato per i momenti di intimità con i figli piccoli che regalavo loro: si sedevano vicino al computer, o allo smartphone in viva voce, e ascoltavano tutti insieme le fiabe che leggevo in diretta. Ne è uscita ancora più forte l’dea che questo mestiere non va sottovalutato: cosa che invece il nostro governo fa spesso.
La politica sottovaluta gli attori e il loro lavoro?
Sempre. La nostra è una missione, come quella dei medici e degli avvocati. I medici salvano la gente; gli avvocati tutelano i diritti delle persone. Noi dobbiamo smuovere le coscienze, portare la gente a pensare, riflettere, incazzarsi. Sono in lotta da sempre contro lo Stato, che non ci considera, non ci riconosce.
Il teatro è un bene primario, come il cibo. Uno Stato che non riconosce il valore dell’arte è uno Stato già morto. Laddove ci sarà da combattere per riaffermare il valore e l’importanza del teatro, io ci sarò.
E lo hai già fatto?
Si, quando serve, appena posso. Anni fa, quando stavo ancora a Napoli, insieme ad alcuni colleghi e amici avevamo messo insieme una macabra messinscena: un corteo funebre in nome dell’arte e del teatro, per fare polemica. Portavamo in giro una bara che conteneva testi teatrali, distribuivamo volantini in mezzo alla strada per invitare la gente ad andare a teatro e a difendere il teatro. Un’iniziativa che aveva fatto abbastanza scalpore in città, all'epoca.
Chi c’era, con te?
Gli amici del teatro Elicantropo di Napoli, da sempre all'avanguardia.
E il tuo maestro Renato Carpentieri, che diceva?
Mi incoraggiava. E’ sempre stato lui a spingermi verso il sociale. Dall'inizio. Avevo 18 anni, dopo la maturità dovevo fare delle scelte. Volevo trasformare la mia passione per il teatro in qualcosa di più profondo, più organico. Volevo studiarlo bene. Così incontrai Carpentieri, che all'epoca era un pioniere. Faceva un teatro sociale; usciva dalle quattro mura dell’edificio e portava la scena e gli attori direttamente nelle strade, nelle piazze.
Voleva incontrare il pubblico nella via, facevamo laboratori teatrali appositi: per poi portare in scena i nostri spettacoli. Erano spettacoli molto forti, molto fisici; a volte facevamo invasioni improvvisate nelle piazze. Una volta abbiamo raccontato in questo modo la nascita del teatro, partendo dagli antichi greci.
Un teatro estremo, di sperimentazione
Come il teatro del fuoco. Andavamo sul Vesuvio, mettevamo in scena combattimenti di antichi guerrieri, con gli spadoni, gli scudi e gli elmi. Combattevamo a piedi nudi, sulle rocce. La gente saliva sul Vesuvio e ci guardava da lontano. Erano veri spettacoli, costruiti da Renato Carpentieri e da Amedeo Messina, che è un suo amico e grande collaboratore.
Molta carne al fuoco, forse troppa
Si. Ad un certo punto mi sono trovato a fare tre cose: il teatro di strada, l’accademia al Bellini, e l’università, facoltà di psicologia. Carpentieri mi disse che dovevo fare delle scelte. Nel campo del teatro, l’accademia o la strada. Mi disse che dovevo arricchirmi, assecondare la mia fame di teatro.
E così lascia l’accademia e iniziai un percorso di studi molto personale: laboratori teatrali ovunque, stage, corsi di canto, seminari di vari maestri. Mi sono trasferito a Milano; ho cominciato a fare musical con la Compagnia della Rancia, nel 1997 ho debuttato con Grease. Ho interpretato Geppetto nel Pinocchio dei Pooh: ero coprotagonista con Manuel Frattini, che purtroppo è mancato. Ho incontrato nuovamente Manuel in Peter Pan, dove facevo Capitan Uncino.
Il musical non è sinonimo di impegno sociale
No, ma è una forma di teatro molto impegnativa, totalizzante, formativa. Bisogna saperlo fare, se vuoi essere un attore completo. Infatti dopo sono tornato alla prosa: oggi faccio la spola tra la prosa e il musical.
Diciamo che mi divido: l’intrattenimento lo riservo al musical, nella prosa faccio molto teatro civile. Ho messo in scena spettacoli sulla diversità, sulla pazzia, contro il fascismo e le dittature. In questo mi sono tornati utili i miei studi universitari in psicologia.
E durante il lockdown leggevi poesie
La poesia è sempre stata una mia passione. Anni fa c’era un’agenzia letteraria che mi chiamava per alcuni reading: leggevo poesia per gli studenti universitari, uno dei miei autori preferiti è Ada Merini.
E’ faticoso essere un attore impegnato nel sociale?
Si, ma gratificante. Ho portato il teatro nelle carceri, più volte. Ricordo uno spettacolo sulla libertà, che si chiamava Il poeta volante, scritto da Angelo Ruta con le musiche di Angelo Giovagnoli. Sono due cari amici, io li chiamo “i miei due Angeli”: da anni creiamo spettacoli insieme, e ce li autoproduciamo.
Ho scritto uno spettacolo Il caso De Pretore, ispirato alla commedia De Pretore Vincenzo di De Filippo. Seguiva la carovana antimafia di don Luigi Ciotti, l’abbiamo messo in scena davanti alle ville requisite ai camorristi, ma anche al carcere femminile di Pozzuoli. Ricordo che una volta ci è arrivata una lettera di stima anche da parte di Luca De Filippo.
Quando hai sviluppato la tua idea di teatro sociale?
Ce l’ho sempre avuta, da quando ero ragazzo. Ho fatto lo scout nel Cngei, un’associazione scout laica che ha sedi anche a Napoli e nell'hinterland. Il motto dei rover, e cioè i ragazzi tra i 16 e i 19 anni, è Servire. Il Servizio come impegno nel fare qualcosa per gli altri, e la società nel suo insieme. Il fondatore dello scoutismo, Baden Powell, diceva che chi serve di sua volontà, è l’uomo più libero.
Ecco: questo motto, Servire, mi è rimasto tatuato sulla pelle. E ho sempre percepito, da quando ero rover, che il mio modo di servire la società era quello di fare teatro. Me ne sono accorto quando da ragazzino mi chiedevano di animare il fuoco di bivacco, la riunione serale intorno al fuoco.
Hai lavorato anche nel campo della disabilità
Ho collaborato con l’Istituto Antoniano di Portici/Ercolano, ovviamente a titolo gratuito: ho messo a disposizione il mio bagaglio di esperienze. Ho fatto parecchio teatro con i ragazzi autistici, o Down: li facevamo recitare in laboratori teatrali. Ho realizzato uno spettacolo insieme all’Associazione Il Ramo, la scuola d’arte, spettacolo e cultura creata da Sabrina Pedrazzini a Lodi.
Ed è andato effettivamente in scena?
Certo. Si chiama Il Cantico degli Invisibili, cerchiamo ancora di portarlo in giro. E’ uno spettacolo bellissimo, scritto da Angelo Ruta. Parla di invisibili, appunto: non solo i disabili ma anche i barboni, gli emarginati di vario genere. In scena i ragazzi ballano, cantano. Ci sono stati ragazzi in sedia a rotelle, alcuni con disabilità gravi. E’ lo spettacolo che ha commosso più di tutti noi autori e il pubblico.
Oltre che con i portatori di handicap, lavori molto anche con gli studenti.
Con Il Ramo cerco di portare nelle scuole il teatro classico, quello delle origini, con gli argomenti di oggi. E’ nato così, per esempio, lo spettacolo Antigone Way. Con i ragazzi delle medie abbiamo realizzato giochi teatrali basati su libri che gli studenti dovevano leggere prima del laboratorio
E Napoli? L’hai dimenticata?
Assolutamente no, per me la mia città ha sempre un richiamo fortissimo. Collaboro con il Teatro Stabile di Innovazione Galleria Toledo di Napoli. Con la regista Laura Angiulli abbiamo fatto Pescatori, di Raffaele Viviani. Io interpreto Cicciariello. Visto il lockdown, lo abbiamo messo in scena in spiaggia, in occasione del Napoli Teatro Festival, a luglio 2020. Con Laura Angiulli ho fatto anche Medea di Portamedina.
E adesso?
Sto registrando quattro audiolibri per i Gialli Mondadori, insieme alla casa di produzione Supersound. Stiamo portando in giro Zhivago Story, il libro che non doveva essere scritto. Racconto che a causa di questo libro stava quasi per scoppiare una guerra. In scena ci sono io e la cassa magica realizzata da Ivan Paradisi, un grande ebanista.
Magica?
La cassa si trasforma in tante cose, in base alle necessità e al punto dello spettacolo. Il resto lo fa la fantasia dello spettatore. Avevamo in programma una bella tournée, ma il Covid ha mandato all'aria il calendario. Ora il Teatro Sannazaro di Napoli ci ha dato la possibilità di fare due spettacoli, a ottobre. Siamo molto fiduciosi.