Procede con successo la tournée dell’Amleto shakespeariano firmato da Armando Pugliese.
Un Amleto che il pubblico sente forse più vicino, oseremmo dire di taglio cinematografico, che inquadra la vicenda da un’angolazione diversa, ponendo “un gap culturale e intellettuale all'origine della confusione e dei dubbi che assillano il giovane principe…”, come afferma il protagonista Alessandro Preziosi.
In una chiacchierata nomade, che ha inizio dopo una trionfale replica al Teatro Verdi di Salerno, il “prezioso” Amleto ci parla della sua ultima fatica, del suo modo di vivere il palco e il set.
Com’è questo Amleto, in cosa è differente dalle altre versioni a cui negli anni abbiamo assistito?
“Prima cosa nasce nel 2008, e, a differenza degli altri molto più pieni di teatralità, di epicità, di poetica (come ad esempio quello di Gassman, attore a tutto tondo), il nostro è una cerniera di tutti i disagi e le amarezze di cui la mia generazione è consapevole. E la consapevolezza non arriva improvvisa, non è più uno sfogo, perché ogni volta che il personaggio apre bocca sembra richiamare le difficoltà contemporanee, di cui ha ben coscienza, ed interagire con esse, anche solo dialetticamente, in una realtà che è la stessa di oggi, fatta di genitori, di amici, di regole, di leggi non rispettate, di tempi ingiusti. Ovviamente viene mantenuta la vendetta, la componente teatrale e drammatica che assolutamente non poteva mancare nello spettacolo, ma sempre cercando di mantenere tutta la contemporaneità del testo, quella quotidianità fisiologica che lo fa quasi diventare un dramma borghese.
Il presupposto che il regista ha voluto mettere in scena è il percorso che va dal dubbio alla certezza, solo che di questo dubbio, ed in questo Amleto è come S. Agostino, la realtà non è mai sconosciuta, il protagonista ne è estremamente consapevole, anche se per una certa pigrizia mentale o per distacco culturale sembra non accettarlo. Rileggendo le battute in quest’ottica, è come ascoltare le parole di uno di noi, ed è in quest’ottica che lo spettacolo può esser definito un dramma borghese.”
Definisci il teatro come i magazzini di un grattacielo; ci spieghi in che senso?!
“Sì, come depositi funzionali ad una struttura verticale. Di un grattacielo è visibile la parte finale, quella che emerge: ma altro non è che l’evoluzione, architettonica e non solo, delle fondamenta. Ed è attraverso quella sorta di sostegno della costruzione, che è possibile rifornire di materiali l’intero edificio, e per tutte quelle che sono le sue esigenze. Il teatro è da sempre il luogo in cui hanno origine artigianalmente i passi di un percorso, è quello che mantiene in vita il mestiere dell’attore, lo responsabilizza e lo rende fervido… Comunque darne una definizione è di per sé riduttivo.”
Come si sposa la tua laurea in legge con la carriera d’attore?
“In realtà non si sono mai sposati, separati all’origine. Sicuramente l’applicazione che mi ha dato il percorso da studente mi ha aiutato nel lavoro d’attore. Lo studio che c’è, o dovrebbe esserci, dietro qualunque mestiere, e che può fare la differenza anche in un attore, lo devo all’Università. Certo fare l’avvocato non c’entra niente con me, ma studiando i testi di legge ti rendi conto di come una virgola può cambiare tutto: io sono uno studente in legge che ha cominciato a scoprire l’importanza delle parole e poi ne ha scoperto il suono.”
Hai un copioso background teatrale, ma il successo arriva con la televisione. Qual è oggi il tuo rapporto con set rispetto al palcoscenico?
“Col teatro non è mai cambiato, mi sembra sempre di rimanere su delle rotaie laboriose, umili, e non uso questo termine nella sua accezione borghese… voglio dire che il teatro ha bisogno di grande pazienza! Con la televisione ed il cinema è sempre difficile, bisogna stare in guardia, il set è più ipocrita rispetto al palcoscenico, non è riuscito mai a guadagnare a pieno la mia fiducia.
La sicurezza di cui i personaggi necessitano, il teatro può riuscire a certificarla, ha componenti precise, coerenti, radicali, che il cinema o la tv oggi non posseggono.”
Pare che il tuo sogno nel cassetto sia quello di cantare, dobbiamo aspettarci un musical?
“Con Le tre caravelle, circa quattrocento repliche e tanto successo, ho sperimentato lo spettacolo musicale… e mi è bastato! Il musical è un’esperienza diversa, forse più complessa. Piuttosto mi piacerebbe fare un debutto musicale serio, ma per prepararlo mi ci vorrebbero una decina d’anni.”
Se dovessi sponsorizzare il vostro Amleto, cosa diresti?
“E’ emotivamente stupefacente, abbatte molti pregiudizi e, come faceva il teatro di una volta, può aiutarci ad aprire parentesi di coscienza, può rendere la coscienza non solo una parola ma un concetto un po’ più preciso e concreto!”
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