Teatro

PRISCILLA/1. SIMONE LEONARDI: Lasciarsi ancora un pochino illudere dall'amore

PRISCILLA/1. SIMONE LEONARDI: Lasciarsi ancora un pochino illudere dall'amore

A Milano ormai è PRISCILLA MANIA! Spettatori in delirio dalla sera del debutto italiano - il 14 dicembre scorso - del musical Priscilla, la Regina del Deserto. La compagnia ha inoltre festeggiato a suo modo il Carnevale Ambrosiano, organizzando (nell’ambito della Settimana della Moda-Donna) una fantasmagorica sfilata aperta al pubblico, che ha potuto così ammirare una selezione dei meravigliosi costumi utilizzati nello spettacolo. Teatro.Org ha colto l’occasione per intervistare i tre protagonisti del musical, cominciando da Simone Leonardi (Bernadette) al quale abbiamo lasciato il compito di presentarsi e di illustrare la sua ormai maturata esperienza nel mondo del musical:

«La mia carriera nel musical inizia nel 2001. Io volevo fare l’attore di prosa, soltanto che ‘non si vive di sola prosa', e quindi ho deciso di dedicarmi a questo genere che, oggi, sta diventando sempre più popolare. Dopo una prima esperienza di teatro musicale al Sistina con la Compagnia delle Stelle – il Racconto di Natale di Dickens, dove interpretavo Bob Cratchit – è arrivata una scrittura per Full Monty, con la regia di Gigi Proietti. E da lì tanti titoli e produzioni di qualità (Alta società, My fair lady, Lady Day, Rent). Poi, l’avvento del grande musical in stile anglosassone, con due anni e oltre 500 repliche de La Bella e la Bestia, nel ruolo di Din Don, e  ora eccomi qua: Bernadette

Come ti sei preparato alle audizioni?
«Le mie audizioni in particolare sono state “strane”, perché sono stato inizialmente opzionato per il ruolo di Tick. Ma a volte la durata di un’audizione si dilata nel tempo, e io ho ottenuto un’altra scrittura per un lavoro a Roma e mi stravo decidendo a rimanere lì, così ho scritto alla Produzione, ringraziandoli, e spiegando che avrei fatto stagione a Roma. Ma, si sa, il fato ci mette sempre un po’ lo zampino: mi arriva una telefonata un venerdì mattina in cui mi si chiedeva di prendere un treno per Milano il giorno dopo per partecipare a un workshop con il team creativo australiano del musical tutto centrato sul personaggio di Bernadette. La cosa mi ha colto di sorpresa, ma mi ha anche stimolato, perché pensavo di essere troppo giovane, ma allo stesso tempo mi dicevo che se avevano bisogno di vedere me, magari la sorte mi stava rivelando un motivo a me ignoto. E così ho studiato le scene e le canzoni che mi sono state assegnate, ho partecipato al workshop e sono stato confermato come Bernadette. Ho dovuto sistemare un po’ di cose, a livello logistico, a Roma, pur di essere in questo spettacolo. Ma, dopotutto, è bello lasciarsi sorprendere!»

Cosa ti regala essere in scena tutte le sere con questo spettacolo?
«Regala innanzitutto dolore alle ginocchia, per via dei tacchi! La sorpresa più grande è quella di trovarsi di fronte ogni sera un pubblico sempre più numeroso ed entusiasta per uno spettacolo che credevo sarebbe stato difficile da “digerire”. Invece, più andiamo avanti, più ho la sensazione che il pubblico italiano aspettasse uno spettacolo come Priscilla».

C’è però ancora chi pensa che grandi produzioni come questa, realizzate in Italia, comportino rischi elevati…
«A chi fosse ancora scettico, rispondo che le cose vanno fatte. Io vengo da una famiglia povera, priva di mezzi: se avessi dato retta a coloro che all’Accademia Silvio d’Amico mi hanno cacciato o che al Piccolo mi hanno detto di cambiar mestiere, probabilmente non sarei andato avanti, e invece, sfidando i giudizi altrui e fidandomi del mio istinto, ho continuato. Forse sono stato un po’ visionario. E il nostro produttore, Daniele Luppino, lo è stato molto, in questo senso».

E oltre a essere ‘visionari’ cosa può essere di aiuto a un bravo performer?
«Bisogna essere innamorati, del proprio mestiere e del proprio sogno. E soprattutto togliersi dalla testa che questo lavoro dia risultati a breve termine. Io dopo tredici anni che lo faccio, comincio a essere ‘credibile e conosciuto’ adesso. Le persone ora mi ricordano quasi solo per La Bella e la Bestia – o mi ricorderanno per Priscilla – e a me sta bene così, perché la verità di un percorso è qualcosa che avviene nel tempo. La nostra vita ha i suoi tempi, quindi assecondiamoli e smettiamola di cercare scorciatoie, che col tempo in realtà non premiano».

Qual è il percorso di Bernadette nello spettacolo?
«Il percorso di Bernadette è quello di una persona che ha creduto in un suo progetto di vita, lo ha portato avanti nonostante i pregiudizi, le enormi difficoltà, e questo è stato il minimo comune multiplo che io ho trovato con un personaggio idealmente distante da me, ma in realtà molto vicino. La difficoltà vera è conoscere ed entrare in contatto con se stessi e questo molti artisti non lo sanno fare. John Strasberg diceva: ‘Se volete essere bravi attori, conoscete il più possibile voi stessi'. Io ho attinto da me stesso per interpretare questo personaggio e riesco a vedere con i suoi occhi».

Bernadette è il personaggio più maturo e, probabilmente, disilluso, tra i tre protagonisti. Che peso ha questo nella vicenda?
«La sua visione lucida della vita è il sentore di trovare un sentimento nuovo. Ecco, di fronte a questo anche Bernadette ritorna a essere illusa. Forse, l’unica cosa da cui gli essere umani devono lasciarsi ancora un pochino illudere è l’amore».