Pirandello scrisse la sua ultima commedia in tono triste ma divertente, emblematico e duro. La morte non gli permise neppure di finirla, solo a tentativi pare susurrasse al figlio come avrebbe dovuto concludersi, la sua commedia. La Compagnia Lombardi-Tiezzi la propone invece con costumi vivaci, da clown e con un’interpretazione effervescente, eccellente per ritmo, incanto e coinvolgimento. Al Teatro Leonardo di Milano fino a domenica 8 febbraio andate a vedere e godetevi questo spettacolo in cui l’amore per la cultura e il teatro non sembrano bastare per salvarli dalla ferocia dei mostri, i giganti che fanno tante cose, e pure bene, ma non comprendono i moti dell’intelletto e distruggono quanto li infastidisce. Compresa l’arte e chi la rappresenta. Sandro Lombardi, straordinario Mago Cotrone che si rifugia nell’incantesimo di una surrealtà quasi mistica, risponde alle nostre terrene domande.
Come mai questo testo oggi?
La scelta dei testi viene sempre determinata dai teatranti. Tiezzi e io scegliamo i testi, è come compissimo un viaggio interiore, con certe tappe, certe soglie che arrivano quasi naturalmente da sé. C’è sì il desiderio di leggere il diverso ma è secondario, non è programmatico.
E come si attualizza una commedia del secolo scorso? L’attualizzate?
Non si tratta di attualizzare un testo, sono sempre attuali! Semmai direi ‘misurare questa dal tempo’, valutare nel frattempo cos’è successo e cosa no. Non cosa ha perso, ma cosa abbiamo perso noi, non solo la compagnia ma l’intero mondo, fra la stesura del testo e l’oggi.
Beh, la Montagna fu scritta a partire dal 1933 e Pirandello morì nel ’36. Tempi duri, vero?
Direi che ci siamo resi conto che Pirandello aveva capito che cosa avremmo perduto, che il teatro non sarebbe più stato uno spettacolo popolare ma d’èlite, e cosa avrebbe preso il suo posto. Nell’Ottocento l’opera e la prosa erano popolari. Pirandello vedeva già come lo sport, con gli stadi, stesse portando via la gente alla cultura di un tempo. Criticava anche il cinema, per quanto in forma ambigua poiché Pirandello ha fatto cose del cinema. E non poteva prevedere che la televisione, che ancora non esisteva, sarebbe stata come gli stadi: il nemico del teatro. Io non ho nulla contro il mezzo tecnologico in sé, ma è l’uso che se ne fa, che spaventa. Ho l’impressione che i dirigenti televisivi credono o vogliono che la gente sia molto più stupida di quello che è.
Per fortuna ci siete ancora voi e altri! Cos’altro mi dici sul testo?
I Giganti della Montagna è un testo incompiuto e, pensando a come risolverlo, vengono diverse idee, come Strehler che fece cadere il sipario di ferro sul carretto. Eppure anche la Turandot fu opera incompiuta e quindici anni fa Luciano Berio ne fece un finale nuovo. Se si può fare nella musica, perché non farlo con il teatro? La scelta è caduta su Franco Scaldati, che è un bravissimo autore, poi è anche un siciliano e gli abbiamo chiesto il terzo atto, che ha scritto in un palermitano degli anni ’50, comprensibile. Stefano Pirandello, il figlio, aveva raccolto dalla voce del padre come egli volesse chiudere l’atto, con la compagnia della contessa che va a rappresentare finalmente Il bambino scambiato e i giganti prima ridono, poi fischiano e arrivano addirittura a uccidere tutti i componenti della compagnia.
Ovviamente era una metafora di una realtà culturale paurosa, come al giorno d’oggi?
La situazione è davvero spaventosamente nera. Io dico solo che in Germania per la cultura viene stanziato il 7%, in Francia il 6%, in Italia il 0 e qualcosa… Nel Paese baciato dalla fortuna per possesso di beltà! Cos’è cambiato dai tempi di Mussolini, che chiamava la cultura ‘ il culturame’, con disprezzo totale? E quindi non posso aggiungermi a chi dice che non si sa più come andare avanti, non c’è solo mala cultura ma la scuola… come si può pretendere di progredire senza cultura? L’Italia ha avuto un movimento economico non indifferente proprio grazie al suo patrimonio culturale.
Andiamo avanti. Che altro farai?
Intanto il prossimo 12 febbraio sarà in libreria il mio primo romanzo Le mani sull’amore di Feltrinelli: l’ambiente in cui si svolge la storia è un ospedale, il reparto psichiatrico del Fatebenefratelli di Roma e lì ebbi una sorpresa piacevole. Mi aspettavo un luogo sinistro e terrificante e invece mi sono trovato con persone civili, professionalmente ineccepibili, insomma una situazione che dipende proprio dalle persone singole. D’altronde, basterebbe così poco per far funzionare tutto bene: amando il proprio lavoro. Ecco cosa non capisce il governo, quante capacità culturali e imprenditoriali ci sono nel nostro paese e quanto poco ci vorrebbe per sostenerle e non per reprimerle e scoraggiarle.
Verissimo. Tornando a La Montagna, perché la costumista Giovanna Buizzi ha scelto quei coloratissimi e divertenti abiti di scena?
I costumi, normalmente, tendevano a creare una differenza tra la compagnia degli Scalognati e quelli della contessa, ma a Tizzi interessava molto, in questa sua lettura, suggerire che fossero tutti dei fantasmi, che fossero tutti morti, come crede la Sguincia. E ha voluto che anche nei costumi ci fosse una qualche somiglianza. In fondo gli Scalognati si sono chiusi in una torre d’avorio mentre la contessa ancora vuole il pubblico. Il dissidio che Cotrone pone da un lato, cioè che il teatro vada fatto solo per loro stessi mentre la contessa dice che va fatto solo per il pubblico, ecco io invece dico che bisogna farlo per il pubblico come se lo facessimo per noi stessi. Ci vuole una via di mezzo per parlare al pubblico di oggi. Io credo che indichi questo, la strada della distanza.
Ti sembra davvero il punto d’equilibrio?
Noi abbiamo già un pubblico selezionato ma, quando ero ragazzino io, era normalissimo andare a vedere spettacoli di 4 o 5 atti; oggi sarebbe una follia. La contessa continuava a farla in 5 atti, la sua commedia. Bisogna farla sì ma non per far scappare il pubblico o farlo inferocire, come accade coi Giganti.
Ma chi sarebbero, questi Giganti?
Pirandello li descrive come degli zotici ma hanno fatto strade, scuole, opere immani: sono il nuovo pubblico La gente cambia, le condizioni socio economiche cambiano. Pirandello ha vissuto durante il primo cambiamento del Paese, ai primi del Novecento e quindi non li vede ancora come veri nemici. Da un lato abbiamo la poesia, dall’altra una nuova società, cambiata; se però vogliamo che questi possano accogliere la poesia di prima, le cose andranno male.
Quindi è anche giusto cambiare?
Sì, c’è uno stimolo al cambiamento ma non a degradarsi: a prendere atto che i tempi sono cambiati e che non ci si può prendere certi lussi. Non concede nulla né cerca di accattivarsi il pubblico, ma nello stesso tempo descrive ogni emozione. Eppure, se l’avessimo interpretato nella sua interezza, lo spettacolo sarebbe durato 5 ore, quindi bisogna adattare i testi ed è legittimo, c’è chi lo fa. Ma bisogna trovare un punto d’incontro per toccare lo spettatore.
Chi ha fatto questo lavoro sul testo?
La drammaturgia l’ho fatta io assieme a Federico Tiezzi.
Siete fantastici. Che farai più avanti?
A maggio e giugno, nel cortile del Museo del Bargello, a Firenze, mettiamo in scena ‘Il riformatore del mondo’ di Thomas Bernhard.
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