Teatro

Sandro Lombardi ed Arturo Cirillo- Metti una sera con una 'strana coppia'

Sandro Lombardi ed Arturo Cirillo- Metti una sera con una 'strana coppia'

Comodamente seduti sulle poltroncine del Nuovo Teatro Nuovo di Napoli, durante una delle ultime repliche de La Morsa, atto unico di Pirandello, messa in scena dalla “strana coppia” Arturo Cirillo e Sandro Lombardi, incontriamo, appunto, i due grandi protagonisti di questa fortunatissima rappresentazione teatrale.

Sandro Lombardi e Arturo Cirillo: come nasce questa strana coppia, formatasi per la prima volta in occasione dell’ambizioso progetto teatrale?
S.L: la coppia non è strana, anzi è naturale e nasce perché, come in molti sanno, da alcuni anni a Firenze ogni Primavera, faccio uno spettacolo nel Cortile del Bargello, e quando ho avuto necessità di ricorrere a registi esterni, poiché Federico Tiezzi, mio regista da sempre, era diventato direttore dello Stabile della Toscana a Prato, mi sono rivolto a Roberto Latini, con cui ho messo in scena L’uomo dal fiore in bocca e ad Arturo Cirillo a cui ho proposto la regia de La Morsa. Ho interpellato artisti che stimo ed apprezzo e con cui avevo voglia di lavorare.
A.C.: io nella Strana Coppia sono l’eletto, quello che è stato chiamato. Nel caso di Sandro, devo dire che c’erano state delle tappe di avvicinamento: una cena fatta alcuni anni fa, l’amicizia comune che lega sia me che Sandro a Iaia Forte e soprattutto la lettura del romanzo di Sandro Le Mani sull’amore, romanzo che mi è molto piaciuto e di cui curai alcune letture nella prima presentazione che Sandro fece a Napoli, alla libreria Feltrinelli. In quest’occasione, ricordo che Sandro rimase molto colpito dalle cose avevo detto relativamente al suo romanzo. Poi ho ricevuto la telefonata per la regia de La Morsa ed eccomi qui.


Mi raccontate qualcosa circa la scelta di Pirandello, la scelta di un testo minore come La Morsa e la scelta di una scenografia così particolare che cala gli attori dentro una palude in cui galleggiano teche di vetro ed oggetti impantanati:
A.C.: devo riconoscere a Sandro il merito di avermi fatto fare un Pirandello; io qualche anno fa avevo letto quasi per intero l’opera di Pirandello ma avevo abbandonato l’idea perché nessuna pièce mi aveva entusiasmato particolarmente, tranne L’uomo, la bestia e la virtù che, però, avendola fatta Cecchi, mio maestro per 13 anni, in un’edizione rimasta memorabile, non mi sentivo di proporre. Sandro invece mi ha molto incuriosito con quest’atto unico e quindi ho sposato con gioia la scelta de la Morsa. Poi la scenografia nasce da esigenze contingenti, infatti avevo escluso di fare una stanza. La palude caratterizza molto la vicenda emotiva del protagonista. Mi sono ispirato anche ad una frase di Berardinelli che in un saggio critico rievocava, con un certo fastidio, l’orribile mobilia degli interni pirandelliani.
S.L.: Di Pirandello mi affascina la lingua soprattutto, una lingua tutt’altro che naturalistica, una lingua reinventata, una lingua seducente che parla agli attori. Pirandello scrive in modo tale che sembra quasi suggerire indicazioni agli attori. Quando Arturo mi parlò di voler creare la palude in scena, l’idea mi accese subito perché la palude è la metafora della vita falsa, ipocrita, imborrita in cui vivono tutti e tre i personaggi de La Morsa. Sono personaggi che si prevaricano a vicenda e si fanno torti l’uno con l’altro. La Morsa non è una storia polverosa di Pirandello, se polvere c’è, è quella che si posa su una determinata classe sociale sia ieri che oggi, la polvere è l’oggetto della riflessione di Pirandello.


Su quali autori vorrebbe lavorare prossimamente Sandro Lombardi?
S.L.: il primo è Thomas Bernhard, altro autore che non ha paura di squartare la mentalità borghese con una violenza ancora più evidente che Pirandello.. Poi mi piacerebbe fare Koltès per la presenza di elementi melodrammatici e lingua teatrale, la sua soluzione è quella di utilizzare i grandi esempi della classicità francese, come Racine, per esprimere situazione oggettivamente degradate o disperate, al limite del tollerabile.
Infine, avrei molto piacere di mettere in scena l’opera di un giovanissimo autore contemporaneo, appena ventiquattrenne, il poeta Fabrizio Sinisi, di cui è uscita una bella raccolta di poesie,  “La Fame”, edita da Archinto. Fabrizio Sinisi ha scritto anche due opere teatrali. ancora inedite e molto belle, che spero di poter interpretare con la collaborazione di Arturo Cirillo o Federico Tiezzi.
Arturo Cirillo e Annibale Ruccello: come ricordi il lavoro per le 5 Rose di Jennifer ?
A.C.: Le 5 rose di jennifer sono state uno spettacolo molto doloroso perché mi coinvolgeva molto da un punto di vista personale. La difficoltà di Jennifer era probabilmente la paura di essere fin troppo assorbito nel dato emotivo da perdere di vista la forma, mentre per me la forma è fondamentale perché è ciò che ci salva dalla retorica, dal melodrammatico e dal patetico.


Sandro, hai altri progetti narrativi o poetici?
Sto mettendo insieme i ricordi attraverso cui raccontare la mia ventennale amicizia con quel grandissimo poeta che è stato Mario Luzi. Vorrei utilizzare questi vent’anni di amicizia per raccontare la sua e la mia storia. Questo libro lo sto scrivendo in seconda persona, proprio come Le mani sull’amore. E poi tra la mia lingua e quella di Mario Luzi un altro elemento comune è l’amore per la realtà, per l’intimità: la cifra confessionale. Nominare le cose con il loro nome, cercare la parola aderente all’oggetto che è poi una tensione che perseguo anche quando scrivo poesie, altra mia dimensione espressiva.


Arturo, quali sono i tuoi prossimi impegni a teatro?
 Io riprendo l’Avaro fino a fine marzo, poi continuo con La Morsa e poi dirigerò 23 giovani allievi dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma in una follia: la messinscena di Napoli Milionaria e non c’è nessun napoletano tra i ragazzi! Estremizzo il mio discorso sul napoletano come lingua del teatro non come lingua geografica. Poi può darsi che faccio Ferdinando di Ruccello e poi riprendo L’Infinito di Tiziano Scarpa, un testo molto curioso e strano in cui un giovane Giacomo Leopardi ventiduenne, che interpreterò io, appare ad un altrettanto giovane studente liceale, che si sta dannando sul celebre idillio il giorno prima di fare gli esami di maturità.